Autonomia differenziata

Il governo Draghi paga le sue cambiali alla Lega, decidendo che il DDL “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’art.116, 3° comma, Cost.” è uno dei disegni di legge collegati alla legge di Bilancio 2022-2024 contenuta nel Documento di Economia e Finanza 2021. Viene così garantito un iter legislativo privilegiato a una proposta di legge che introduce l’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. Questa procedura, inoltre, poiché interviene sui capitoli di bilancio 2022-2024 della legge finanziaria, potrebbe sottrarre il provvedimento a qualsiasi richiesta di referendum abrogativo, in quanto le materie economico finanziarie sono sottratte, a
norma della Costituzione, al giudizio referendario.
È proprio questo l’intento leghista in quanto i sostenitori della proposta sono consapevoli che l’esito di un eventuale referendum boccerebbe quasi certamente il progetto dopo le prestazioni miserevoli delle Regioni nell’affrontare la pandemia.

Il peso della pandemia

Ciò che è avvenuto negli ultimi due anni ha dimostrato l’inefficienza delle Regioni nella principale materia affidata alla loro competenza e gestione, quella dell’organizzazione e del funzionamento del sistema sanitario. Malgrado questa prova di incapacità manifesta alcune Regioni hanno l’impudenza di voler definire autonomamente e velleitariamente le norme e le regole in ambito di scuola, trasporti, beni culturali e tanto altro. Capofila dell’operazione è la Lombardia la quale, come la pandemia ha ampiamente dimostrato, ha avuto una gestione della sanità criminale e disastrosa. avendo smantellato tutto il servizio sanitario territoriale per ingrassare la sanità privata, ma ha anche emanato
leggi inique e discriminatorie a riguardo di buono scuola e finanziamento delle scuole private, dimostrando che l’autonomia regionale può essere utilizzata come strumento per alimentare discriminazioni e diseguaglianze quando non per favorire comportamenti criminali.
La scelta politica di procedere all’attivazione dell’autonomia differenziata per le Regioni che ne hanno fatto richiesta, aumentandone le competenze (Lombardia, Veneto, Venezia Giulia, Emilia Romagna, ma altre chiedono di accodarsi), esige chiarezza su quali elementi si possano desumere dal principio costituzionale che assicura le autonomie territoriali che va posto in relazione al contesto nel quale l’autonomia differenziata si inserisce e, in altre parole, bisogna chiedersi in che misura e con quali modalità fare ricorso al principio di sussidiarietà nella sua integra portata. La
Costituzione prevede che “possono” essere attribuite alle Regioni che ne fanno richiesta “forme e condizioni particolari di autonomia” nelle materie di legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni, ma non impone alcun obbligo né prevede alcun termine. Già con la riforma del Titolo V voluta dal centro sinistra con una maggioranza risicatissima si è aumentato il clientelismo lo spreco e le diseguaglianze ed ora si continua ad andare in quella direzione.
Ma al di là dei dubbi sul piano teorico nell’aumentare le materie delegate alle Regioni viene da chiedersi se è opportuno proprio ora che l’attuazione del PNRR è alle porte, operare una frammentazione dei processi decisionali e non invece riflettere su come rispondere alle nuove esigenze, simulando quali effetti di sistema produrrebbero le progettate innovazioni, per capire se è opportuno in questo momento mutare le procedure e devolvere competenze e materie a enti che hanno dimostrato di funzionare malissimo.
Difatti, procedendo nella direzione della attribuzione dell’autonomia differenziata ad alcune Regioni certamente si accentuerebbero diseguaglianze, come è avvenuto per l’accesso ai vaccini tra i cittadini e le cittadine delle diverse Regioni. È noto, infatti che il conferimento di poteri decentrati accentua le differenze e le diseguaglianze in campi e
settori nei quali occorre garantire eguali diritti. Va da sé che consentire scelte e criteri diversi di organizzazione che investono, ad esempio, il rapporto tra pubblico e privato e quindi il ricorso alla sussidiarietà orizzontale, ha effetti devastanti sull’efficacia del sistema e il livello della prestazione che finisce inevitabilmente per essere diseguale in qualità e uguaglianza. Basti pensare a quanto è accaduto in Lombardia dove ben il 42 per cento delle risorse per il sistema sanitario va hai privati o in Calabria dove il servizio sanitario è inesistente per motivi che abbiamo dettagliatamente illustrato.[1]
Inoltre, proprio ciò che è successo e sta succedendo in conseguenza della riforma del 2001, compresi gli scontri e i continui conflitti di competenza tra Stato e Regioni, dimostrano che un solo passo in più sulla strada dell’autonomia regionale aprirebbe scenari inquietanti di vera frantumazione della Repubblica, di balcanizzazione del Paese. Ciò di cui ha bisogno il Paese è invece di fermarsi a riflettere, non di procedere ulteriormente nella divisione delle attribuzioni di competenze.
Se le burocrazie e i politici regionali che nel loro insieme costituiscono un ceto parassitario, hanno bisogno di vacche da spremere per alimentarsi, che vadano a cercare le risorse altrove e non nelle risorse destinate a erogare servizi ai cittadini in campo sanitario, scolastico, dei trasporti e nel tanto altro si vorrebbe inserire nelle nuove competenze regionali.

Sussidiarietà verticale e orizzontale e principio di uguaglianza

Come comunisti anarchici abbiamo ben chiaro il significato delle autonomie e delle attribuzioni tra Stato e strutture territoriali. Questa materia, poiché riguarda la concezione dello Stato e il suo ruolo e le concrete possibilità di consentire a tutti di partecipare alla gestione dei servizi pubblici garantendo efficacia efficienza, giustizia sociale ed eguaglianza nei diritti e doveri è tra le principali preoccupazioni del comunismo anarchico.
Per questo motivo il comunismo anarchico ha tenuto conto della nozione di sussidiarietà, ma ha assunto posizioni differenti a proposito della sussidiarietà verticale e di quella orizzontale, guardando con attenzione ed interesse alla prima e avversando in ogni modo quella orizzontale. [2]
Ha sostenuto perciò che le competenze vanno attribuite alle entità minori, e quindi a quelle decentrate ma che esse devono essere conferite alle entità più generali quando si vuole garantire una prestazioni uniforme ed eguale di una prestazione in tutto il territorio /è appunto il caso della sanità) e soprattutto ritiene inopportuno e contrario agli interessi dei cittadini coinvolgere nella prestazione il privato (sussidiarietà orizzontale) perché questi cerca il profitto a svantaggio della qualità della prestazione e non riesce a garantire la neutralità del servizio in quanto è spesso gestito da enti confessionali o ideologicamente orientati. Quant’anche ci trovassimo di fronte ad un privato che persegue il profitto questi lo fa cercando di massimizzarlo e incamerando il profitto di impresa che invece in una gestione pubblica può incrementare il servizio in quantità e qualità.
Ciò è tanto più vero oggi che questa tematica si ripropone sotto nuove forme, poiché il prevalere del mercato globale nell’economia mondiale ha imposto un ridimensionamento dei poteri degli Stati nazionali e ha stimolato la crescita a livello istituzionale del ruolo e delle funzioni di quelle entità politiche-territoriali minori, quali Regioni, Provincie, Aree Metropolitane. Comuni, che rischiano di balcanizzare il territorio suddividendolo tra tante agenzie che ne drenano le risorse.
È per questo motivo che noi, nemici dello Stato burocrate e tentacolare optiamo per una gestione pubblica dei servizi che non si caratterizza per essere ”dello Stato” ma per il fatto che è pubblica ovvero consente agli utenti di controllare il suo funzionamento, ma presta servizi uniformi sul territorio, neutrali, qualificati, al meglio di ciò che la
scienza e la tecnologia possano offrire, ideologicamente neutrali, gestiti con criteri propri del profitto di impresa, quindi con efficienza, ma senza perdere di vista l’obiettivo sociale della prestazione. Ciò vuol dire ad esempio che nel prestare le cure l’obiettivo è costituito dalla massima efficienza delle prestazioni a favore del paziente, dall’efficacia delle cure, dall’umanità e dall’uniformità della prestazione medica, dalla neutralità ideologica nelle prestazioni che rispetta i convincimenti di tutti.

Un esempio per tutti: l’assistenza religiosa nelle strutture sanitarie.

Un esercito di cappellani ospedalieri si aggira, lautamente pagato sui fondi del servizio sanitario nazionale nel rapporto di un cappellano per ogni 200 posti letto. Questa presenza viene gestita da 20 sistemi e legislazioni diverse, Regione per Regione, sostenuti da un impegno nazionale concordatario ad assicurare il servizio.
Nulla in contrario che il malato riceva l’assistenza religiosa, ma non si vede perché da un lato compilando la base di ricovero si dichiara d’ufficio che il malato è cattolico (a meno che l’interessato non sia i condizioni, abbia la lucidità di dichiarare altro, ammesso che glielo chiedano) facendo così lievitare il numero dei cappellani cattolici e non siano invece le confessioni ad addebitarsi il costo del servizio per cui l’ospedale si limita a consentire l’accesso ai ministri di culto: che è ciò che avviene per i culti diversi da quello cattolico.
L’autonomia differenziata, efficienza, uguaglianza di diritti Rispettare le richieste del territorio, far sì che il servizio erogato aderisca al territorio come il guanto ad una mano
significa innanzi tutto programmare la presenza del servizio pubblico sul territorio, garantire che esso sia presidiato da strutture gestite in modo trasparente da strutture che utilizzano le risorse pubbliche ed erogano un servizio uniforme in qualità e quantità. Chiunque chiede e voglia altro da quello che è garantito a tutti dovrà provvedervi a proprie spese.
Le strutture pubbliche non possono dover sopperire con l’iniziativa e il profitto dei privati che svolgono una legittima attività di impresa all’erogazione del servizio distraendo risorse pubbliche a vantaggio dei privati. Questa è l’autonomia per la quale noi comunisti anarchici ci battiamo convinti che l’erogazione di un eguale servizio pubblico in qualità ed efficienza sia il principale obiettivo di una riforma di sistema.

[1] Vedi Gianni Cimbalo, Sul fallimento del servizio sanitario in Calabria, Crescita politica, 16 Novembre 2020, Newsletter, Anno 2020, numero 139.                                    [2] Unione dei Comunisti Anarchici, La sussidiarietà come progetto eversivo del servizio pubblico e dello Stato sociale, http://www.ucadi.org/wpcontent/
uploads/2021/10/sussidiariet%C3%A0.pdf

Gianni Cimbalo