Un evento produce un trauma, un cambiamento (può essere la chiusura di una fabbrica o un lutto) e le persone non hanno più una casa (o non hanno più ragione per abitarla) e di questa necessità, alcuni di loro fanno una specie di scelta di libertà.
Una libertà individuale ed individualista, anche se vede il formarsi una comunità pseudo-tribale molto lasca (quasi una forma larvale) in cui si fanno discorsi sull’economia e sulla società che ci riportano a tematiche millenarie e millenaristiche.
Dove il ‘900 delle lotte sociali e dell’emancipazione pare scomparire o venir virato, al massimo, in una specie di indignazione morale/religiosa.
La realtà, materiale, è che questa gente fa una vita infame, dove mancano i servizi essenziali, le cure, dove la pensione non permette di vivere una vita minimamente decente e domina una solitudine che pare essere ricompensata solo da una natura bellissima e gigantesca.
Dove i lavori sono precari e intercambiabili (non esiste più il lavoro ma i “lavoretti”) e dove le multinazionali come Amazon hanno creato addirittura “corridoi” assunzionali specifici per homeless e anziani in pensione.
Non c’è nel film neppure un accenno di critica.
Che una fabbrica chiuda o un figlio muoia, si tratta di eventi “naturali”.
Non c”è altro orizzonte e altra libertà che non quella che il sistema economico ti consente o ti lascia.
Non voglio aprire qui noiosissime parentesi sulla mancanza di critica sociale e sicuramente non è questo il punto del film, anzi è proprio la glacialità Brechtiana a dare potenza e bellezza all’opera.
Si tratta, invero, di una antropologia specifica che noi “europei ammuffiti” forse non siamo in grado di leggere ma che ci sta penetrando ampiamente.
Mi ricorda, per certi versi, “Nelle terre selvagge” e il mito velleitario dell’individuo solo nella natura. Incapace di sopravviverci e illuso della propria libertà che lo porterà alla morte.
Poi certamente in Nomadland c’è la solidarietà fra i “nomadi” e la creazione di una comunità “resiliente” (appunto!) ma che fa parte a pieno titolo del sistema che l’ha originata (“meglio che niente”, verrebbe da dire).
Andrea Bellucci