Che c’è di nuovo

La Germania e l’obolo di San Pietro

Non c’è pace per la Chiesa cattolica in Germania. Non si tratta solo delle richieste di riforme provenienti dalla base: abolizione del celibato, sacerdozio femminile, benedizione alle coppie omosessuali, ma della scarsa trasparenza con la quale vescovi, cardinali e preti hanno gestito i tanti casi di pedofilia.
Trasferimenti da una parrocchia all’altra, o in altre diocesi; vittime messe nella condizione di non potersi difendere, così numerose da impensierire oltre all’opinione pubblica anche il Governo e il Vaticano. In Germania – al contrario di quello che accade in Italia, dove i vescovi non hanno l’obbligo di denunciare i preti pedofili alla polizia e alla magistratura – i religiosi tedeschi sono tenuti a segnalare i casi di pedofilia dei
quali venissero a conoscenza.
Tra il 1946 e il 2014 oltre 3.600 minorenni hanno subìto molestie e violenze sessuali da parte di preti cattolici in Germania. Lo ha rivelato un rapporto di un anno fa realizzato da tre Università del paese e commissionato dalla Conferenza episcopale tedesca. Secondo il rapporto, 1.670 preti avrebbero abusato sessualmente di 3.677 minori nel periodo di 70 anni esaminato. Almeno un caso su sei ha riguardato episodi di stupro e violenza sessuale. La maggior parte dei minori erano maschi, più della metà aveva meno di 13 anni quando subì le violenze. Solo il 38 per cento dei casi è stato affrontato dalle autorità ecclesiastiche, spesso con provvedimenti disciplinari di modesta entità, senza che i responsabili venissero denunciati alle autorità, con forti pressioni nei confronti delle famiglie coinvolte perché non diffondessero notizia e presentassero denuncia.
Anche se a detta del portavoce della Conferenza episcopale tedesca la Chiesa “è sconcertata e prova vergogna”, mentre il Vaticano non ha commentato la notizia, che si aggiunge a una lunga serie di casi e segnalazioni su episodi di pedofilia, maltrattamenti, molestie e violenze sessuali sui minori non mancano di produrre effetti.
Con la fine dell’anno fiscale e la presentazione delle denunce di redditi i nodi sono giunti al pettine ed emerge che 220.000 fedeli hanno abbandonato la Chiesa Cattolica in Germania, compilando l’apposito modulo o redigendo un atto notorio di rinuncia a pagare la tassa ecclesiastica dall’8% o 9% dell’imposta lorda versata (Einkommensteuer).
Ma il fatto più grave è che la Conferenza episcopale tedesca è stata fino ad ora il
contributore più generoso delle finanze vaticane, versando una quota molto alta all’”obolo di San Pietro”, le offerte che i fedeli fanno annualmente per il mantenimento della Sede Apostolica e alle quali si aggiungono i versamenti delle singole Conferenze episcopali.
Per sanare il vulnus arrecato all’immagine della Chiesa cattolica è in corso da tempo uno scontro tra l’ala conservatrice e l’ala progressista della Chiesa cattolica tedesca. I Vescovi fedeli a Francesco hanno messo a disposizione il loro mandato, pronti a dimettersi per non aver saputo governare il fenomeno. Al contrario i Vescovi tradizionalisti hanno deciso di restare ben saldi ai loro posti. Era partita da uno di loro la sconfessione pubblica dei documenti innovativi emanati dal Pontefice nell’esercizio del suo magistero.
Ne consola la Chiesa cattolica il fatto che un fenomeno simile anche per dimensione coinvolge la Chiesa evangelica; i dati rilevati dicono che l’abbandono avviene intorno ai trent’anni quando i contribuenti acquistano pienezza del loro ruolo social, e la loro situazione economica si stabilizza.
Il fatto è che che il senso comune suggerisce una sostanziale inutilità sociale delle Chiese come avvenuto ad esempio durante la Pandemia: le confessioni religiose non sono state socialmente visibili ne per l’aiuto agli indigenti, ne nel conforto dei fedeli. Da qui la sensazione dell’inutilità delle istituzioni ecclesiastiche.