Il lavoro non è più un diritto

“Il lavoro non è un diritto”, lo ha dichiarato con qualche giro di parole la ministra del lavoro al “Financial Times” e questa è la più sostanziale riforma costituzionale che il governo Monti abbia fatto.
Certo la Costituzione formalmente è ancora li ma nei fatti quell’edificio di garanzie per il lavoro costruito in 75 anni di lotte operaie, la dignità del lavoro affermata in Costituzione grazie ad una guerra di liberazione contro il fascismo e la sua politica contro gli
operai e contadini, che era stata inserita nel patto di convivenza fra le classi sancito dalla Costituzione non c’è più.
Abolito l’art. 18 della Statuto dei lavoratori, che rappresentava uno dei risultati più rilevanti del ciclo di lotte degli anni 1969-1970, il Governo Monti ha portato in Europa lo scalpo del movimento  operaio in Italia e nessuno tra gli interlocutori europei se n’è accorto Si è discusso d’altro, a riprova che l’interesse per la questione era tutto ideologico e per molti versi tutto interno alla prova di forza che è in corso nel nostro paese tra capitale e lavoro Le classi subalterne non solo devono pagare la crisi ma ridurre il loro tenore di vita per aver vissuto “al di sopra delle loro possibilità”. La Crisi è
come una guerra: deve distruggere il tessuto produttivo, radere al suolo aziende e beni materiali; desertificare il territorio; deve uccidere i più deboli attraverso la distruzione dell’assistenza pubblica e la disperazione delle fasce sociali deboli, costrette al suicidio, perché ogni guerra che si rispetti ha bisogno di morti, quelli veri; deve ridistribuire la ricchezza; trovare nuovi settori di investimento,consentendo in un futuro non troppo vicino di far ripartire l’accumulazione. La crisi deve durare perché deve seminare lutti e rovine, perché la distruzione deve scavare in profondità per poter essere efficace. Per accumulare i profitti della guerra/crisi ci vuole un certo tempo e oggi il capitale non potendo fare una guerra ricorre a questa forma moderna di distruzione di beni e servizi per poi far ripartire su basi diverse una nuova fase di accumulazione.
Basta percorrere i diversi territori del paese per vedere che la crescita smisurata della
disoccupazione, il taglio delle pensioni, la riduzione della copertura sanitaria, la crescita della povertà, producono morti veri, e che l’appello a una maggiore mortalità nei paesi di vecchio sviluppo economico lanciato dalla Banca Mondiale è stato diligentemente accolto dai governi mettendo in atto gli opportuni provvedimenti soppressivi. Per dare piena attuazione all’eutanasia sociale occorre un po’ di tempo ma questo c’è, grazie all’assenza di sbocchi politici, alla incapacità di reazione delle classi sfruttate, prostrate dalla crisi e dell’attacco alle condizioni più elementari di vita., piegate dalla disoccupazione.
Ci hanno raccontato che bisogna affrontare fenomeni nuovi e inattesi come la delocalizzazione e la globalizzazione, che non siamo abituati a combattere. Eppure Adam Smith nel suo “La ricchezza delle nazioni”, scritto tra il 1767 e il 1773 non solo descriveva già il fenomeno della globalizzazione, ma parlava diffusamente sia di decentramento produttivo tra le diverse aree economiche che di “modo di produzione asiatico” , e sul mercato del lavoro il lavoro salariato era solo uno dei tipi di utilizzazione della forza lavoro, accanto al lavoro forzato e alla schiavitù, allo sfruttamento
dell’emigrazione, al genocidio programmato di intere popolazioni attraverso il loro sfruttamento organizzato come lavoratori: esattamente come oggi!
Certo molto è apparentemente cambiato, ma nella loro essenza i fenomeni sono gli stessi. E’ solo l’ottica che è divenuta più globale e consente a Marchionne di dire che la sentenza del Giudice di Roma che impone alla Fiat di Pomigliano di assumere 145 tesserati FIOM che avevano fatto domanda di assunzione e sono stati discriminati perché iscritti al Sindacato risponde a “Regole folkloristicamente locali”, e questo senza che nessuno senta il bisogno di dire qualcosa a riguardo nel Governo e nelle istituzioni che dovrebbero sostenere le sentenze dei loro Tribunali.
Del resto la democrazia liberale che abbiamo conosciuto dalla metà del secolo scorso è finita da tempo. In ogni paese la farsa elettorale accetta la manipolazione dei risultati attraverso l’attribuzione di un consistente premio di maggioranza al partito che ha raccolto proporzionalmente più voti, un premio di maggioranza di consistenza tale da neutralizzare non solo ogni opposizione, ma ogni gioco democratico all’interno delle aule parlamentari. Si dice che la democrazia è in crisi e che cala la partecipazione elettorale, si attribuisce alla corruzione, pure dilagante la causa della crisi della politica,
ma tutti, proprio tutti, omettono di dire che comunque il risultato elettorale è sempre falsato, che tanto sarebbe lo stesso. In nome della “stabilità” si tagliano le minoranze fingendo di ignorare che da sempre questo paese è stato stabile nel senso che le classi al potere e l’alleanza delle oligarchie dei vari schieramenti è sempre rimasta graniticamente unita e solidale.
Perciò come scandalizzarsi, se sostenuti da un Presidente con funzioni di manutengolo delle classi dominanti, la maggioranza dei partiti, concordi, sostengono un “Governo tecnico”. Ma quale governo, così fortemente caratterizzato ed espressione delle classi dominanti, è più politico di questo ?
l’unico vantaggio di questa situazione è che il gioco è chiaro e scoperto e che la crisi di
rappresentatività sia pure formale delle istituzioni è palese. Il Governo non è elettivo ma composto di nominati !

Antipolitica e riformabilità della politica

Di fronte a questa situazione c’è chi sostiene che il sistema della rappresentanza delegata sia riformabile e predica e pratica la lunga marcia nelle istituzioni, cercando consensi a partire dal livello locale. Si tratta di una iniziativa che ha del comico e come tutte le cose comiche contiene elementi di drammaticità. Gli sforzi di Grillo e grillini, di un movimento che con auto ironia si definisce a cinque stelle, come una stanza d’albergo, rivela tutti i suoi limiti nel momento in cui non costruisce partecipazione nella fase del potere conquistato, ma solo aggregazione nella fase pre elettorale, ne lo potrebbe perché non concepisce la creazione di spazi di contro potere, di auto gestione e affida ancora la partecipazione alla “democrazia informatica”, alla partecipazione virtuale.
La creazione di una alternativa reale presuppone invece la presenza di strutture di partecipazione stabili, di strutture di democrazia diretta sul territorio, di filiere di organizzazioni sindacali che si coordinano e vivono nelle lotte reali, di comitati e gruppi che si auto-organizzano, di collegamenti internazionali di solidarietà; presuppone insomma la creazione di una strumentazione che consenta la partecipazione attiva, che non disdegni di ricorrere anche a supporti informatici di comunicazione, ma di supporti appunto, e non di elementi sostitutivi della partecipazione personale, fisica, diretta. La
partecipazione si costruisce con lo spazio lasciato all’auto-organizzazione, con la partecipazione alle scelte operative, con la revoca del mandato in conseguenza della possibilità di verifica.
Da comunisti anarchici noi opponiamo, in modo per ora insufficiente e lacunoso, certamente, la militanza nella lotta di classe, l’azione diretta, l’attività sindacale, la presenza attiva nei movimenti, l’elaborazione di un’analisi costante della fase, la diffusione degli strumenti di conoscenza e delle elaborazioni acquisite, che ci consenta di sviluppare in modo efficace la nostra opposizione e di supportare la lotta di classe a livello nazionale e internazionale.
Se questo è l’obiettivo di fondo una delle necessità della politica è capire quale sia la fase nella quale ci troviamo e analizzare la strategia del capitale in modo da costruire l’alternativa nelle lotte.

La distruzione del sistema sociale ed economico europeo….

Fino a qualche hanno fa il modello sociale europeo si distingueva dagli altri sistemi capitalistici di sfruttamento per aver accettato di destinare una parte della ricchezza prodotta a fini sociali, sostenendo tipi differenziati, più o meno intensi di welfare. Gli strumenti adottati andavano da un sistema pensionistico prevalentemente pubblico, a un sistema sanitario tendenzialmente universale, a un insieme di servizi pubblici erogati per rendere vivibile in territorio. Certo le carenze erano molte e spaziano dalla mancata tutela dell’ambiente, con inquinamento del suolo, dell’aria e delle acque, all’uso spregiudicato di diverse modalità di sfruttamento della forza lavoro, all’utilizzazione
dell’emigrazione come esercito industriale di riserva, ecc. Le esigenze di accumulazione del capitale e la ricerca di sempre nuovi profitti, di fronte al ridursi di quelli provenienti dal settore delle trasformazioni, spingeva verso una degenerazione che aveva come conseguenza costi certamente più alti, l’apertura alle attività economiche di nuovi settori di mercato attraverso la sussidiarietà delle imprese rispetto allo Stato nel partecipare alla gestione dell’erogazione dei servizi, traendone profitto.
In una parola il tessuto di servizi alla persona diveniva anch’esso luogo di estrazione di profitto, innalzando i costi richiesti alle popolazioni in cambio dei servizi erogati. Così la tassazione era costretta a crescere per poter corrispondere quote di reddito parassitario e assicurare occasioni di profitti più o meno leciti.
La crescita spietata della concorrenza internazionale, lo spostamento in quote sempre maggiori delle attività di trasformazione verso i paesi cosiddetti BRICS, il peso della speculazione finanziaria hanno contribuita insieme al mutare di questi elementi strutturali a produrre la crisi sempre maggiore del sistema di produzione europeo. Da qui lo smantellamento di intere filiere produttive, nella convinzione che la produzione di numerosi settori possa essere progressivamente decentrata verso aree vergini individuate di volta in volta nei paesi dell’Est Europa, quando non nell’Estremo Oriente o in Cina o nel Sud America o nel Sud Africa.
Si tratta di investimenti per lo più “deboli”, caratterizzati dal basso costo del lavoro e da scarsi investimenti in innovazione tecnologica che saccheggiano e devastano il territorio, lo inquinano a livello materiale e sociale, desertificandolo al momento del ritiro dall’investimento. Una tecnica quindi che non aiuta i paesi poveri ma consente di piegare i lavoratori dei paesi cosiddetti sviluppati imponendo un livellamento al ribasso dei salari, delle condizioni di vita e di lavoro, delle libertà civili.

…e la nuova distribuzione internazionale del lavoro e dei profitti

Questa politica si è dimostrata efficace ed è riuscita a creare momentaneamente nuova
occupazione e nuovo sviluppo ma è stata utilizzata come una clava potente verso il movimento operaio organizzato dei paesi europei. Ognuno di questi a livello nazionale ha risposto a questa fase di trasformazione con una propria strategia:
La Germania attraverso un’alleanza tra capitale e lavoro a discapito di ogni altro; la Franca mettendo a punto una legislazione finalizzata a proteggere la permanenza delle attività produttive sul territorio e una efficace politica di acquisizione di aziende all’estero, al fine di controllare e regolamentare la concorrenza acquisendo quote di monopolio; l’Italia senza nessuna strategia a causa della presenza di un Governo di nani e ballerine in tutt’altre faccende affaccendato.
Così la struttura dei distretti produttivi, fatta di piccole e piccolissime imprese, è stata lasciata a se stessa, incapace di difendersi e di mettere a punto una propria strategia di tutela. Per avere una misura di questo disinteresse basti riflettere sulla soppressione dell’ICE (Istituto per il Commercio Estero), attuata come uno dei provvedimenti simbolo dal Governo di Berlusconi e soci. In questa situazione di quindici anni di assenza di strategie la capacità e la struttura produttiva del paese sono state lasciate sole e non hanno potuto che accettare la nuova distribuzione internazionale del lavoro e dei profitti. Per questo motivo le attività economiche del paese si restringono sempre di più e cresce il processo di terziarizzazione dei servizi, al quale si accompagna il tentativo cercare nuove fonti di investimento e di profitto per il capitale da rinvenire nella privatizzazione delle aziende pubbliche e soprattutto delle municipalizzate, nella messa a disposizione dei privati dei beni comuni, a cominciare dall’acqua, alla faccia dei risultati del referendum.
Dalla situazione attuale non si esce se non ripensando completamente l’uso del territorio e delle risorse, riprogettando condizioni di vita e di lavoro ma per fare questo occorre creare istanze e occasioni di organizzazione sul territorio – altro che “democrazia informatica” – capaci di sviluppare iniziative; occorre imporre, come cerca di fare la FIOM precisi impegni a carico dello Stato sul rilancio delle attività produttive sulla base di piani di settore la cui redazione deve essere partecipata.

Mario, Mario, Mario e Mariano

E invece vi è chi confida nei tre Mario e in Mariano. Le forze politiche che governano l’Europa si crogiolano nell’applicare all’attuale congiuntura economica scelte di politica neoliberista. Mario (Monti) e Mariano (Racoj) avrebbero imposto alla Merkel una nuova politica di tutela dei debiti sovrani e delle economie europee, mentre in realtà non fanno altro che drenare risorse a favore delle Banche che non hanno mai fatto tanti utili in un mercato di investimenti sui titoli di Stato sostanzialmente protetto. Ambedue i paesi e tutta l’area europea continuano ad applicare una politica di disinvestimento, di recupero del debito che invece cresce a causa della riduzione del PIL e della base produttiva, avvitando in sistema in una spirale incontrollabile di crisi. Intanto applicano ricette di
macelleria sociale spacciando una nuova manovra economica di tagli ai servizi per spending review quasi che l’uso del termine inglese possa nascondere la reale portata del provvedimento i cui effetti sono ben presenti nella vita di ogni giorno. Si mette così in atto quella eutanasia reale che produce e sempre più produrrà un decremento della popolazione per accorciamento della vita dovute alla restrizione del reddito e della possibilità di cure e al tempo stesso a una politica dissennata di aumento dell’imposizione fiscale sui ceti meno abbienti. e di allentamento della pressione sui patrimoni dei ricchi.
A tenere bordone alla coppia pensa il secondo Mario (Draghi), dall’alto della poltrona della BCE, che dispensa indirizzi di azione economica e finanziaria, mai abbandonando scelte di politica neo liberista, a sostegno dell’azione di normalizzazione progettata, complice la speculazione internazionale, sia negli ambienti Bilderberg che in quelli della Trilateral, dove i tre Mario sono di casa e nei quali attingono l’autorevolezza per occupare i posti che occupano. Se Mariano è stato legittimato dalle urne gli altri due Mario sono stati designati dai grandi elettori, costituiti dalla finanza e dalle oligarchie finanziarie internazionali, Tra i due Mario e Mariano sta il terzo Mario, nero e spontaneo, figlio di genitori ghanesi, nato a Palermo e brianzolo di adozione, il solo che ha cercato la legittimazione nelle proprie gambe e nella capacità di fare affidamento sulle proprie risorse per combattere la battaglia nella quale è impegnato.
Non è solo per spirito sportivo che agli altri preferiamo il terzo Mario (Balotelli)

La Redazione