Il Governo e l’ art. 18

(comunicato stampa dell’Unione dei Comunisti Anarchici d’Italia 23.03.2012)

Ora Monti ed il suo governo “tecnico” hanno svelato il loro volto reazionario, anche per le anime candide del PD, che ci ha raccontato e si è raccontato la favola dell’equidistanza, auspice un Presidente della Repubblica che da arbitro si è fatto giocatore a tutto campo. L’Esecutivo voleva scompaginare l’articolo 18 della legge
300/70 per menarne vanto ai propri referenti internazionali. Poco importava il fatto che il reintegro riguardasse la modesta cifra di circa cinquanta lavoratori l’anno; poco importava la constatazione che nessun investimento estero è stato bloccato dalla sua esistenza; poco importava che non esista alcuna verità dimostrata sul fatto che le assunzioni abbiano subito effetti malefici sulla soglia dei quindici dipendenti per non incappare nelle sue maglie. Il traguardo è stato perseguito ostinatamente, al di là di ogni ragionevolezza per scopi puramente politici e per recuperare al padronato quel pieno dominio sulla forza di lavoro, parzialmente perso nelle lotte degli anni sessanta, perdita sancita, appunto, dalla legge Brodolini. Ma il merito delle novità sul mercato del
lavoro, come si delineano al momento, vanno brevemente esaminate. Queste si dividono in due parti: flessibilità in entrata e flessibilità in uscita.
Flessibilità in entrata. I sindacati concordatari menano vanto dei risultati ottenuti in questo ambito e forniscono l’alibi ai flessibili del PD per dire che l’imminente riforma contiene dei lati positivi che vanno salutati con giubilo. In sostanza sarebbero stati ridotti i tipi di contratti precari per l’accesso al lavoro dei giovani e si graverebbe sulle imprese un maggior costo per le assunzioni non a tempo indeterminato in modo da
rendere queste ultime più vantaggiose. Né l’una né l’altra sono grandi successi. Vengono sì ridotte le tipologie di contratti precari, ma solo un po’; ne restano ancora tanti da soddisfare la fame dei datori di lavoro, perché il dato di flessibilità in entrata introdotto nella legislazione del nostro paese dalla legge 30 del 2003 era ben superiore alle necessità delle imprese; tant’è che molte forme previste nella scempio Biagi-Maroni non sono state mai praticamente adoperate. Ridurre un po’ queste forme in realtà non crea assolutamente un mercato del lavoro in ingresso meno precario. Se poi il contributo aggiuntivo richiesto alle aziende è di minima entità non si può certamente far credere che esso possa seriamente disincentivare le aziende dall’assumere con contratti effimeri. Resta l’ambito delle cosiddette “partite IVA”, lavoratori assunti come liberi professionisti, ma in realtà adibiti a lavori subalterni; Angeletti, primo Rodomonte a genuflettersi alla volontà governativa, ci comunica che il meccanismo per combattere questi abusi è già pronto: si verifica che il detentore della partita IVA lavori insieme ai lavoratori dipendenti ed il gioco è fatto: ma chi verifica? L’ispettorato del lavoro privo di organico?
E se tutti i lavoratori presenti sono falsi liberi professionisti? Diviene un po’ come l’evasione fiscale: ogni tanto si riesce ad accertare qualche violazione, ma la montagna dell’eluso resta pressoché invariata.
Flessibilità in uscita. L’articolo 18 parlava genericamente di licenziamenti senza giusta causa: su ricorso il giudice accertava l’eventuale insussistenza di un valido motivo ed in certi casi disponeva il reintegro del lavoratore. La fantasia è al potere, ma non è la vittoria del sessantotto! Si è spacchettato il licenziamento in tre fattispecie: discriminatori, disciplinari ed economici. Non c’è alcuna logica apparente nel voler modificare un meccanismo molto semplice e lineare, per sostituirlo con un mostro di complicazione. Ma se non v’è logica apparente, ce ne una ben solida nascosta e riguarda la terza fattispecie. Tanto per cominciare non esistono licenziamenti per motivi economici individuali: se un’azienda ha un esubero non licenzia il mitico Cipputi, ma
un numero di dipendenti non individuati per nome. Se poi è una mansione che è divenuta obsoleta, questo comporta che su quella mansione, una volta licenziato Cipputi, nessun altro venga assunto. Ma se questo viene acclarato il giudice non può più ordinare il reintegro, perché la nuova normativa glielo vieterà! Qui casca l’asino. I licenziamenti individuali non avranno mai motivazioni discriminatorie o disciplinari, perché quale fesso dichiarerà mai di licenziare un dipendente perché donna, nera ed incinta? I motivi disciplinari sono già ben declinati nei contratti di lavoro collettivi. Gli attivisti sindacali sgraditi verranno licenziati per motivi “economici” e se questo costerà un po’ all’azienda in termini di mensilità da corrispondere, essa sarà comunque sicura di essersi liberata del molestatore ed inquinatore delle coscienze dei lavoratori. I menestrelli di Monti cinguettano che, però, la nuova normativa riguarda tutte le aziende, mentre il vecchio articolo 18 interessava solo quelle al di sopra dei 15 dipendenti; ma ciò va inteso nel senso che mentre prima potevano licenziare solo piccolissima aziende, ora lo potranno fare tutte. Il diritto che viene generalizzato non è quello della sicurezza
del posto del lavoro, ma solo quello di perderlo!
Monti sta riuscendo in quello che una destra arrogante ed una classe imprenditoriale all’inseguimento di un dominio totale sulla forza di lavoro (Marchionne docet) inseguiva da tempo. E questo non significa rendere più “moderna” l’Italia, ma solo riportarla alle condizioni che i lavoratori vivevano cinquanta e più anni fa.
Gli scioperi spontanei dei lavoratori, la crescente opposizione, hanno già indotto il Governo a trasferire il provvedimento in un disegno di legge, invece che in un decreto. Pertanto è necessaria una mobilitazione costante e incisiva che restituisca i professori ai loro studenti: sia Monti che la Fornero!

Unione dei Comunisti Anarchici d’Italia