Le cronache giudiziarie offrono un ampio catalogo di modalità con le quali si facevano affari nel passato regime berlusconiano. Ci si procurava un congruo numero di escort e le si metteva a disposizione del potente da corrompere e dal quale ottenere in cambio il finanziamento, l’appalto, la commessa desiderata. Non è un caso che uno dei luoghi di smistamento di questo traffico fosse il verminaio connesso al Ministero delle attività
produttive, non a caso tenuto ad interim dal premier per lunghi mesi.
Una delle cose che dovrebbe cambiare è certamente questa perché da questo Ministero dipendono molte situazioni di crisi e perciò vi è un interesse dei lavoratori a fare pulizia nel settore non tanto per moralismo o per ripristinare la legalità ma per restituire a questo organismo una funzione di presidio e di stimolo dell’occupazione. Per questo motivo il Ministro Passera – le cui ambizioni ci vengono descritte come molto
rilevanti – ha una buona occasione per farci capire se il tempo delle passere è passato e finalmente si può fare sul serio.
Le ferite aperte
Per farci capire e metterlo alla prova non ci rimane che fare almeno alcuni tra i tanti esempi possibili. Si potrebbe iniziare con l’Italcantieri e predisporre finalmente un piano per la cantieristica che sposti dalle navi da crociera ai traghetti e alle navi da trasporto di breve tragitto la produzione, magari provvedendo a acquisire brevetti e tecniche costruttive innovative che pure ci sono e sono frutto della ricerca in Italia. La conseguenza sarebbe quella non solo di rilanciare un settore in crisi, ma di mettere finalmente mano al rinnovo della flotta da trasporto passeggeri e merci da e per le isole e decongestionare il trasporto su gomma per quanto attiene le merci non deperibili, ricordando che la conformazione della penisola è tale da consentire l’uso della via
marittima quanto meno allo stesso modo di come fa la Francia che utilizza per il trasporto interno l’economica rete di canali. Un investimento di questo tipo non inciderebbe solo sulla cantieristica ma stimolerebbe investimenti sui porti e sul raccordo ferroviario e stradale di questi alle reti di comunicazione.
Altro settore direttamente collegato a questo è l’investimento sul potenziamento della rete ferroviaria.
Ma qui il distacco dal passato sarebbe più significativo perché l’investimento non dovrebbe riguardare l’alta velocità per rendere concorrenziale il trasporto marcato Montezemolo-Della Valle-Passera sui treni ad alta velocità ma il potenziamento della rete a vantaggio del trasporto dei pendolari per i quali occorrono non solo il
rafforzamento delle linee, ma anche treni nuovi e più moderni che si differenzino dai carri bestiame attualmente usati. Né il piano trasporti si ferma al solo settore ferroviario perché va recuperata – riscattandola dalla Fiat – la produzione di autobus e corriere destinata al trasporto pubblico su gomma.
Vi sarebbe poi da rilanciare l’intervento prioritario nella chimica di base e nella filiera dell’alluminio, recuperando la funzione e le quote di mercato con un finanziamento delle produzioni che ridarebbe vita non solo al Sulcis e all’intera economia sarda ma anche al polichimico di Marghera e ad altri insediamenti produttivi come ad esempio Ravenna.
Gli interventi sopra segnalati, ed altri se ne potrebbero indicare, richiedono però un riassetto del territorio e della sua gestione e la predisposizione di infrastrutture capaci di stimolare e facilitare gli insediamenti produttivi. Ciò significa che una parte delle risorse possedute dai cosiddetti comuni virtuosi potrebbe da essi essere impiegata per dar vita a assi attrezzati dotati di una legislazione speciale a accesso facilitato alle procedure burocratiche per le imprese che scelgono di insediarvisi, alle quali vanno poste come
condizioni di reciprocità l’obbligo a contratti di lavoro a tempo indeterminato, almeno per il tempo di durata del finanziamento pubblico che ottengono o dal credito locale o dalle strutture pubbliche in modo che le risorse del territorio vengano impiegate sul territorio dal quale provengono. Questo è possibile anche semplicemente copiando quanto ha fatto la Svizzera, con eccellenti risultati, per attirare investimenti esteri sul suo territorio
(anche dall’Italia). Lo Stato potrebbe offrire un know out che è già disponibile, costituito dai lavoratori ex Eutelia che potrebbero trovare una ricollocazione nella realizzazione delle reti informatiche di collegamento di queste aree e offrire l’assistenza necessaria far entrare in relazione i vari segmenti e siti produttivi.
La riprogettazione del domani
Si tratta di intervenire con creatività magari obbligando la Cassa depositi e prestiti a impegnarsi su iniziative di questo genere, requisendo ogni risorsa destinata a spese futili come il ponte sullo Stretto, impegnando le industrie a partecipazione statale a intervenire sul territorio, piuttosto che a delocalizzare verso altri paesi. La ragione sociale dell’investimento delle imprese pubbliche è infatti costituita non solo dal
perseguimento del profitto ma anche dalla ricaduta positiva sul paese dell’investimento, anche in termini di occupazione. La redditività dell’investimento va perseguita con l’innovazione, la realizzazione di economie di scala piuttosto che mediante una compressione del salario. La ricaduta dell’investimento in termini di aumento
della domanda interna e del PIL ripagheranno ampiamente la scelta fatta.
Ma dove potremo veramente misurare se siamo di fronte alla fine dell’epoca delle escort e all’inizio dell’era Passera è se il Governo appena insediato vincolerà ogni aiuto alle Banche all’obbligo di destinare una quota del loro capitale alla concessione di finanziamenti alle iniziative industriali e agli investimenti che si collocano all’interno del piano di sviluppo del Governo.
Inutile dire che una tale politica potrebbe trovare l’appoggio delle organizzazioni sindacali le quali potrebbero e dovrebbero contrattare le condizioni di lavoro in una prospettiva del perseguimento del massimo impiego possibile, di lotta alla disoccupazione giovanile e al precariato. Sarebbe necessario accompagnare
questo piano con provvedimenti di carattere sociale, elaborando un piano più complessivo, ma intanto si potrebbe partire da poche cose molto concrete.
E’ del tutto evidente che nella linea di queste modeste proposte delle quali va colto l’obiettivo strategico sta un mutamento radicale di politica economica che comporta l’abbandono del liberismo e l’adozione di una politica di espansione della quale si sono fatti promotori economisti come Paul Krugman.
Ma forse questo a Passera (e a Monti) non piacerà.
Gianni Cimbalo