Il “mare bianco di mezzo” البحر لبيض ألمتوسط

La caduta dei regimi tunisino ed algerino, le proteste popolari in Yemen, Algeri e Marocco fanno pensare a una crisi generale dei paesi arabi retti da quelli che la diplomazia craxiana definiva delle “dittocrazie”, ovvero dei regimi apparentemente democratici con un forte potere degli esecutivi, sostanzialmente dittatoriali. Si tratta di regimi che anche l’Italia aveva contribuito a far nascere come nel caso di quello tunisino o di quello libico, che esercitavano un controllo dei loro paesi in funzione
antifondamentalista e a difesa degli interessi occidentali, che si caratterizzano per la rapina sistematica delle risorse energetiche e per il sostegno più o meno dichiarato alla
politica israeliana., come nel caso dell’Egitto.
Certo vi sono tra questi paesi elementi comuni, sia economici che sociali, che hanno fatto precipitare la crisi ma esistono anche sostanziali differenze che determineranno probabilmente un diverso percorso degli eventi e differenti sviluppi politici.
Guardando agli elementi comuni notiamo che tutti questi paesi hanno vissuto negli ultimi venti anni dello sviluppo crescente dell’emigrazione che ha consentito di esportare fuori dal paese la manodopera eccedente e di poter beneficiare di crescenti rimesse da parte degli emigranti. Malgrado la crescita dell’industria petrolifera e del gas naturale, la politica di rapina delle classi dirigenti, soprattutto in Algeria e Tunisia, hanno
fatto sì che la popolazione non potesse trarre benefici da questa situazione. Tuttavia mentre il ciclo economico si presentava favorevole è stato possibile elevare, sia pure in modo insufficiente, il tenore di vita della popolazione e soprattutto registrare un notevole incremento demografico – vero tratto comune di tutti i paesi del Magreb, dell’Egitto come dello Yemen – al punto che ben il 50% – 60 % della popolazione è costituita da
giovani, in molti casi scolarizzati.
Le rimesse degli emigranti hanno incrementato soprattutto l’edilizia, stimolato l’acquisto di beni quali frigoriferi e televisioni, alimentato lo sviluppo delle comunicazioni. E’ così migliorata la qualità dell’alimentazione e di conseguenza la salute grazie all’introduzione della catena del freddo. La diffusione della televisione e soprattutto dell’ascolto di quelle satellitari hanno intaccato notevolmente il monopolio dell’informazione di regime. L’accesso alle reti informatiche ha favorito lo scambio di informazioni e creato una sorta di villaggio globale tra i residenti nei paesi d’origine e le comunità di immigrati.

Gli effetti della crisi e l’emigrazione di ritorno

La crisi nei paesi occidentali destinatari dell’emigrazione ha colpito prioritariamente le fasce più deboli di lavoratori e tra questi certamente gli immigrati. Una parte di essi ha ridotto le proprie aspettative di vita e ha accettato di vendere la propria forza lavoro entrando nel lavoro nero o accettando salari più bassi con la conseguenza di produrre un calo significativo delle rimesse. Le periferie delle città tunisine, i piccoli villaggi, ad esempio, sono costellati di edifici incompiuti per l’interrompersi del flusso finanziario che alimentava l’edilizia. Questo è il segno tangibile della crisi accentuato dal rientro forzato di molte famiglie che avevano seguito i lavoratori nell’emigrazione. Resta all’estero solo il capo famiglia o i giovani in età da lavoro e nemmeno tutti.
Improvvisamente questi paesi hanno visto ingrossarsi la parte di popolazione che domandava almeno la sussistenza, a fronte invece di un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità come perfino l’olio e il grano.
Ma ritornando gli immigrati hanno portato con sé l’immagine che una vita migliore è possibile, hanno portato con sé i valori che avevano orgogliosamente coltivato nelle comunità nate all’estero: la coscienza di essere popolo, la concezione tutta mussulmana della Ummah, del popolo che è solidale, unito, dotato di diritti e di valori. Non si tratta di una mera riproposizione di vecchi valori ma di loro rivisitazione alla luce della secolarizzazione delle società occidentali nelle quali erano andati a vivere che si incontravano e si legavano con lo sviluppo delle esigenze e dei costumi indotti dalla globalizzazione nei paesi d’origine. Ora la crisi economica ha avvicinato le sponde del “mare bianco di mezzo” – il nome che gli arabi danno al Mediterraneo, ad indicare
che i confini si avvicinano, che le situazioni si unificano, che un’altra vita è possibile.
Da qui il bisogno di regolare i conti con i regimi che governano i loro paesi, da qui la scelta del martirio, del sacrificio in nome del bene del popolo, della comunità. Il martire che si immola vive nella e della memoria  del popolo, non si è sacrificato invano, ha vissuto una vita degna di essere vissuta. Perciò i roghi, che hanno scosso le coscienze, infiammato gli animi, fatto capire che bisognava impegnarsi per gli altri, manifestare
insieme, combattere e abbattere i dittatori.
Le incredibili folle tunisine o egiziane che con dignità hanno chiesto e ottenuto la fuga dei tiranni inviano contemporaneamente molti messaggi.
Nulla sarà più come prima.
Non è vero che la sola soluzione ai problemi va cercata nello stato teocratico e nell’edificazione di una società islamica fondamentalista. Un’altra soluzione è possibile. C’è la capacità e la richiesta di costruire una società diversa che, pur non dimenticando alcuni valori tradizionali, si apre alla partecipazione delle donne su una base di parità, sceglie costumi e relazioni più libere, riscopre il sentimento di socialità nelle comunità anche virtuali, è capace di comunicare, di fare rete e reagire, possiede talenti e conoscenze ed è in grado di scendere in campo alla pari con altri contesti sociali ed economici. Sa che deve prendere in mano il controllo delle fonti energetiche e della ricchezza dei propri paesi, prima che sia troppo tardi, ponendo fine alla rapina sistematica dei vari caimani che li governano. Perciò si ribella e cerca di percorrere una nuova strada.
Le economie da costruire non vogliono vivere di delocalizzazione ma di vero sviluppo. Vogliono coltivare le loro specificità e si batteranno per un modello economico competitivo sul piano globale. L’offerta della partnership può avere successo, ma questi paesi non potranno essere considerati luoghi nei quali scaricare gli scarti industriali dei paesi ricchi dell’Europa.
A loro si rivolge l’attenzione degli Stati Uniti decisi a giocarli come argine all’espansione economica cinese in Africa e a mantenere i rapporti necessari ad assicurare la protezione di Israele, isolando ancor più i palestinesi. Un Egitto che assorbisse la striscia di Gaza e lasciasse ai soli territori della Cisgiordania il problema palestinese semplificherebbe notevolmente la politica estera statunitense. L’Europa avrà quindi un concorrente agguerrito da tenere a bada.
Tunisia, “emergenza umanitaria” e bisogno di solidarietà.
Ma i problemi di geopolitica non sono in questo momento prioritari per il popolo tunisino.
Nell’immediato è prioritario soddisfare i bisogni più elementari e perciò le fasce più povere della popolazione si accalcano sulle spiagge per cercare di attraversare quel mare di mezzo che non è stato mai vissuto come una reale frontiera, nella speranza che sia possibile trovare una soluzione alle difficoltà e ai bisogni attuali nell’emigrazione, perché le briciole dei “ricchi” sono sempre di più della miseria propria. Assisteremo probabilmente a una massiccia presenza di rifugiati anche se in una misura certamente minore di quello che fu l’esodo albanese. Tuttavia questa massa di senza lavoro andrà ad alimentare il mercato del lavoro nero e clandestino, con il rischio di tensioni sempre maggiori tra gli sfruttati e di scatenare una lotta fratricida tra lavoratori.
Questa volta se l’Europa vuole avere ancora un ruolo e una presenza nella sponda sud del mediterraneo dovrà accettare di essere presente con tutto il suo peso ma ne dubitiamo perché essa è impegnata a risolvere problemi interni di rilancio economico di difficile soluzione.
Chi abita in Italia non può negare invece la comunanza di interessi con i popoli rivieraschi del Mediterraneo al quale siamo legati da comuni interessi e da una cultura comune. Perciò a questo problema devono essere dedicate tutte le nostre forze soprattutto nel sud e sui mercati del lavoro agricolo attraverso un collegamento con tutti quei gruppi di compagni che in tanti modi diversi sono inseriti in queste realtà.
A loro è diretto prioritariamente il nostro messaggio.

Gianni Cimbalo