Il ritorno degli sciiti

Il ritorno sulla scena mondiale dell’Iran fa piazza pulita di tutti gli orfani della Fallaci che come lei vedono l’islam come un tutt’uno e sono incapaci di analisi che consentano di spiegarne la complessità. E’ perciò necessario fornire le conoscenze di base che consentano un approccio culturalmente e politicamente più maturo che consenta di comprendere la complessità e il pluralismo dell’islam e di valutare le conseguenze politiche ed economiche del ritorno dell’Iran sul mercato mondiale.
La firma degli accordi sul nucleare iraniano ha infatti sdoganato l’Iran, riammettendolo a pieno titolo nella comunità internazionale, ponendo fine a un isolamento iniziato con la rivoluzione iraniana del 1979, sotto la guida dell’Ayatollah Khomeini, dalla quale è nata la prima “Repubblica Islamica”, dotata di una Costituzione basata sulla shari’ah islamica, interpretata secondo la scuola giuridica duodecimana.
Le cronache recenti ci hanno abituato all’islam, ma hanno contribuito a darcene una visione parziale, limitata all’universo sunnita, senza approfondire alcuna differenza tra le quattro scuole classiche e maggioritarie del sunnitismo (Hanafita, Malikita, Safili’ta, Hanbalita), le quali si differenziano tra loro sia per gli strumenti ermeneutici usati per l’interpretazione della Legge Coranica, sia nella ritualità adottata per il suo rispetto, sia per le politiche gestionali ed espansive dell’islam da esse adottate. Particolare importanza riveste la concezione di quale debba essere il ruolo dello Stato nella gestione della società e quello dei religiosi nella gestione dello Stato.
La differenza basilare del mondo sunnita da quello sciita risiede nella definizione dei poteri attribuiti al successore del profeta: secondo l’islam sunnita il Califfo (in arabo khalifah) è il successore del profeta e il capo della comunità e suo difensore. Egli viene considerato come il guardiano della shari’ah, ma il suo compito non è quello di interpretare la legge divina e definire le questioni religiose in generale, bensì di amministrare la legge ed esercitare funzioni di giudice. Di conseguenza il Califfo non ha uno status di autorità religiosa per la comunità: gode soltanto del potere temporale e non di quello spirituale, non è considerato infallibile e la sua parola non è dogma di fede. Per gli sciiti, invece, il capo della comunità islamica non è il Califfo, ma l’Imam, il
successore del profeta.

Il ruolo degli Imam nella sci’a

Tutto iniziò dopo la morte di Maometto (632 d. c.), quando si dovette decidere della successione. La maggior parte dei credenti riteneva che egli non avesse designato alcun successore e che fosse compito della comunità islamica eleggerlo. Una minoranza invece sosteneva che Mohammad avesse già designato il suo successore nella persona di Alì, suo cugino e genero. Il primo gruppo, seguendo le regole comuni alle tribù del deserto, affidò la designazione a un’assemblea di saggi, che designò Abu Bakr, con il titolo di “primo Califfo” (Khalifah). Mentre questo avveniva, il secondo gruppo, minoritario, continuava a sostenere Alì, ritenendo illegittima l’elezione del nuovo Califfo e considerando Abu-Bakr un usurpatore del diritto di Alì. Da qui nasce la scissione nell’islam che persiste fino a oggi.
Coloro che avevano considerato giusta e corretta l’elezione del primo Califfo vennero chiamati “sunniti” per la grande importanza da loro attribuita alla Sunna, la Tradizione del Profeta. Gli oppositori dei sunniti, avversi alle elezioni del Califfo e seguaci invece del genero del Profeta, Alì, vennero definiti come “Sciiti”. La parola sci’a significa “fazione”, “partito” e fu impiegata per connotare questo gruppo in quanto coloro che
sostenevano e spalleggiavano Alì venivano chiamati Shi’atul Ali, che significa “il partito di Alì”. A guidarli vennero chiamati gli Imam, termine con il quale si indica la persona che “sta davanti”, ossia chi dirige la preghiera pubblica e collettiva del venerdì (ma il termine viene usato anche per il caposcuola di un indirizzo giuridico). In questo senso il vocabolo è normalmente usato nel linguaggio comune della Sunnah e anche della
Sci’a. Il governo fondato sulla religione è tenuto, secondo la tradizione sciita, a preservare nell’ambito della comunità il vero ordine islamico, in modo che l’uomo non adori altri che Allah, fruisca di libertà individuale e sociale nell’ambito delle sue possibilità e goda della giustizia, sia individuale che sociale. Secondo lo sciitismo
questi fini possono essere conseguiti solamente da un individuo infallibile e protetto da Allah, che perciò non ha possibilità di errare: l’Imam. La tradizione sciita attribuisce a Mohammad l’individuazione di questa figura prima della sua morte, durante il suo ultimo pellegrinaggio a La Mecca.
Il ruolo di Imam, ha anche un significato onorifico e qualifica la persona come capo della comunità religiosa, erede degli insegnamenti esoterici del Profeta. Egli è il difensore e l’interprete per eccellenza della rivelazione; il suo compito è triplice:
a) deve governare la comunità musulmana come rappresentante del Profeta;
b) deve interpretare i testi religiosi e la legge, cogliere soprattutto il loro significato interiore;
c) deve guidare gli uomini nella vita spirituale.
Quindi l’Imam è colui che guida la comunità islamica negli affari sociali, politici, materiali e spirituali, secondo l’ordine divino e tutti i musulmani devono seguirlo come una guida saggia e suprema. Per questo motivo l’Imam deve godere dell’Isma (in arabo “immunità dall’errore”) che gli viene concessa soltanto per volontà divina. L’imamato è dunque un’istituzione d’origine divina, in quanto continuazione della missione del Profeta. Tale istituzione, dopo la morte di Mohammad, inizia con la figura di Alì considerato il primo Imam dagli sciiti. Il suo diritto trova fondamento nel fatto che egli era consanguineo del Profeta e ne aveva sposato la figlia prediletta Fatemeh. Perciò l’imamato viene trasmesso per via ereditaria, di padre in figlio, e contiene il diritto alla guida non solo temporale, ma anche spirituale di tutto l’islam.
Secondo la dottrina sciita gli Imam si succedono come portatori della luce eterna di Dio (nur-oll- Allah), in una catena ininterrotta che sostiene il mondo, il quale crollerebbe se uno soltanto degli Imam venisse a mancare senza aver trasferito la funzione di guida al suo successore. Per questo la terra non può mai restare priva della presenza di un Imam, sia pure nascosto o ignoto e una volta che il Profeta dell’islam ebbe lasciato il
mondo, è stato l’Imam che, con la sua continua presenza, ha sostenuto e difeso la religione.

Un po’ di dati

Oggi nel mondo islamico circa il novanta per cento dei musulmani sono sunniti, mentre gli sciiti sono circa il dieci per cento e si trovano per la maggior parte in Iran, Iraq e nel sud del Libano, nello Yemen, ma minoranze sciite sono presenti ovunque nel mondo islamico. Allo sciitismo fanno capo inoltre numerose confraternite sparse per il mondo. Gli Alawiti, ossia i seguaci della Alawiyya, concentrati in Siria, rappresentano una
confraternita che troncò i propri legami con gli sciti duodecimali nel IX secolo, ma in tutta evidenza conservano il sostegno dell’Iran. La loro sconfitta contribuirebbe all’isolamento dell’Iran e consentirebbe di creare un territorio fortemente controllato dalla Turchia o dall’Arabia Saudita, paesi sunniti in concorrenza tra loro per la leadership del mondo sunnita nell’area medio orientale Pur considerando l’alto numero di sciiti arabi e indopakistani è da rilevare come i persiani formino sempre il gruppo più imponente dell’Islam sciita.
Approfondendo l’analisi si rileva che il mondo sciita è oggi articolato in tre grandi filoni: a) Ismaìlita, b) Zaydita c) Duodecimano, o Imamita. Il nucleo fondamentale della sci’a, sia per numero dei fedeli sia per la posizione centrale che occupa nella tradizione e sulla scena politica attuale, è quello duodecimano, o imamita; vi è poi la sci’a dei Sette Imam, o Ismaìlita, e la sci’a dei Cinque Imam, o zaydita.
La sci’a Ismailita risale all’VIII secolo d.C., quando nello sciitismo emerse uno dei personaggi più significativi della sua storia, Jafar al-Sadiq. Egli è considerato dai sunniti soltanto un mistico, mentre nel mondo sciita, eccetto che per gli zayditi, Jafar al-Sadiq, riveste il ruolo di sesto Imam. In effetti egli fu un giurista originale e può essere considerato il fondatore della scuola giuridica sciita. La disputa che diede origine all’ismailismo si fondò appunto sul riconoscimento del successore del sesto Imam Jafar al-Sadiq. Gli Ismailiti ritengono che la terra non possa sopravvivere senza un garante di Allah, conosciuto in arabo come hujjah. Il garante può essere di due specie: parlante (in arabo: natiq) o silente (in arabo: samit). Il garante parlante è il Profeta, mentre quello silente è l’Imam, l’erede o l’esecutore testamentario di un Profeta. Il garante è considerato in perfetta epifania divina e la sua figura viene vista quasi all’altezza di Dio.
Il principio del garante di Dio ruota attorno al numero sette (per questo gli ismailiti vengono denominati anche come gli sciiti dei sette Imam). Il Profeta, l’inviato da Dio, riveste la funzione del magistero (in arabo: nubuwwah) in quanto apportatore della legislazione (la shari’ah). Dopo di lui sorgono sette esecutori testamentari (in arabo: wasi) che adempiono l’esecuzione del suo lascito. Nella concezione degli sciiti imamiti il
concetto della “scomparsa” (in arabo ghayba) collegato, come premessa necessaria, a quello del “ritorno” (in arabo rig’a), è diventato una parte fondamentale del patrimonio teologico della sci’a, manifestandosi in modo particolare presso gli ismailiti e gli imamiti (o duodecimani). Oggigiorno gli ismailiti sono costituti da numerose piccole comunità e non superano nel complesso alcune centinaia di migliaia di persone.
Gli zayditi sono seguaci di Zayd Ibn ‘Alì, figlio del quarto Imam degli sciiti. Essi sono considerati l’ala moderata degli sciiti, in quanto concedono ben poco alla sacralizzazione della figura dell’Imam. Secondo il pensiero zaydita, l’Imam deve essere presente fisicamente nella comunità e difendere i diritti del popolo, se necessario, ricorrendo alla spada, e non possono essere prese in considerazione figure come un Imam occulto che un giorno tornerà a salvare la terra, concezione fatta propria da altri orientamenti dello sciismo. Le aree islamiche nelle quali questa componente raggiunse i maggiori successi furono quelle del Caspio e lo Yemen, che ancor oggi viene considerato la base principale degli zayditi. Tuttavia questa componente dello Sciitismo è ricorsa alle armi per difendere il proprio spazio vitale insidiato dai sauditi.

La Sci’a duodecimana

La Sci’a duodecimana (in arabo: ithna ashari), detta anche imamita, costituisce oggi la maggioranza del mondo sciita, e si concentra in Iraq, Iran e in parte anche in Libano. Gli imamiti affermano che la guida del mondo islamico, dal punto di vista sia spirituale, sia temporale, è prerogativa di Alì e dei suoi discendenti. Essi credono altresì che, in base all’esplicita designazione del Profeta, gli Imam della Casa Mohammadiana (in
arabo: ahl al bait ) siano in numero di dodici. La Sci’a duodecimana ritiene che il dodicesimo Imam, conosciuto come il Mahdi (“l’atteso” o “il ben guidato”) sia entrato in occultamento, ovvero sia scomparso (in arabo ghayba), nel 941 d.C. e che in un futuro egli comparirà nuovamente sulla terra, restaurando la religione e la giustizia, che rigenererà prima della fine del mondo (non sfuggano in questo caso le assonanze con l’apocalisse dei cristiani e ancor più con la concezione ebraica delle venuta del messia, concezione comune a molte religioni).
“L’atteso” è inoltre considerato dall’ortodossia sciita non semplicemente “presente in spirito”, ma vivo e vegeto, solo nascosto, sulla terra, miracolosamente longevo, e si ritiene che tornerà ad apparire, senza esser mai morto, alla fine dei tempi. L’Imam occulto viene definito “l’Imam del Tempo” o il “signore dell’èra presente” (in arabo sahibu’z-zaman). È convinzione sciita che la comunità musulmana e il mondo stesso non potrebbero sussistere senza un sempre vivo e attivo Imam. Solo che, in occultamento (salvo, a volte, per qualche misteriosa manifestazione dei suoi voleri), l’Imam fa conoscere la sua volontà con altri mezzi e, di fatto, mentre di fatto la
direzione spirituale e temporale della comunità è in mano ai dotti mojtahed e alle autorità politiche.
Si spiega così la struttura del potere nella Repubblica islamica e il ruolo cruciale ed essenziale svolto dal clero sciita. La struttura attuale della Sci’a duodecimana ha le sue origini nella visione di una confraternita di tendenze mistiche, la “Safawiyye”, che fece propria una forma di sci’ismo estremizzante diffuso nelle regioni al confine con la Siria e intorno al lago di Van. Nel 1501 uno dei capi safawi, Esmaìl, prende il potere in Persia,
fondando la dinastia Safavide che proclamo la Sci’a come religione ufficiale della Persia che, con la sua completa “sci’itizzazione”, separava i sunniti dell’Asia Centrale, dell’India e dell’Afghanistan da quelli della Turchia, dell’Iraq e dell’Egitto (in quel tempo sotto la sovranità dell’Impero Ottomano). L’emergere di uno Stato sciita venne visto dagli ottomani come un nuovo rivale politico ed ideologico contro il quale si schierarono tutte quelle forze e movimenti politici che cercavano di ricostruire un continuum territoriale tra i diversi paesi sunniti. E’ perciò che nei primi anni del XX secolo i Turchi sterminarono Curdi e Armeni. Si tratta degli stessi obiettivi che oggi guidano la politica turca in funzione anti siriana e quindi iraniana.
Il prevalere in Iran della dinastia safavide, trasformò la Sci’a da portatrice di un messaggio mistico e sofisticato, basato sulla teoria quietista, in contraddizione con l’idea di uno Stato islamico (din va daula), in quanto solo il dodicesimo Imam (il Mahdi) avrebbe potuto detenere legittimamente il potere sovrano in uno Stato aggressivo ed egemonico, impegnato a imporre la propria visione del mondo. I fedeli non avrebbero
dovuto semplicemente attendere il momento in cui il dodicesimo Imam sarebbe tornato a portare pace e giustizia su tutta la terra, ma battersi essi stessi per questi valori, costruendo uno Stato, retto dall’Imamato.
Con Esmail nasceva un regno in cui lo sciismo veniva utilizzato come ideologia politica in contrapposizione all’impero ottomano sunnita. Lo sci’ismo, che era sempre stato un movimento di opposizione, si era trasformato in istituzione politica: questo fu l’inizio di una nuova sci’a, talmente diversa dalla precedente che in seguito venne anche denominata “la sci’a safavide”, per differenziarla dalla fase anteriore, la “sci’a
alavide”. Il potere si concentrò soprattutto nella figura del capo dello Stato (lo Shah), considerato al tempo stesso discendente dei primi Imam e “l’ombra di Dio sulla terra”. Lo Shah acquisiva una posizione di gran rilievo e, attraverso la dottrina sciita, si giunse a giustificarne l’onnipotenza e l’infallibilità, al punto che Esmaìl, autore di poesie religiose, si autoproclamava “Dio” nelle sue composizioni.

La rivoluzione Komeinista

Con la Rivoluzione Komeinista secondo alcuni si ricrea come, nel periodo safavide, una sorta di clero nel mondo islamico, inserendo così nella struttura sociale iraniana una nuova classe di potere, quella religiosa, costituita da un corpo di dotti e giurisperiti imamiti devoti allo Stato che tendono a proporsi come la quinta scuola dell’Islam, accanto alle quattro scuole sunnite già esistenti. In tal modo l’eresia sciita assume il carattere di una dottrina in contrapposizione insanabile e irriducibile al sunnitismo che combatte sia sul terreno, in Irak come in Siria, sia sul campo più insidioso ed importante del mercato dell’energia, immettendo sul mercato mondiale la capacità produttiva iraniana fino ad oggi congelata e le riserve irakene sulle quali spera in prospettiva di mettere le mani, attraverso il controllo politico del paese.
Come si vede se collocato in questo contesto il ruolo di Daesh è più importante e strategico di quanto pure appare nella politica globale. La sua esistenza mira a interrompere il collegamento territoriale tra le diverse componenti sciite e i suoi alleati e a contenerne l’egemonia in una vasta area del mondo islamico.
Da parte sua l’area nella quale lo sciitismo è dominante rivolge la propria attenzione verso i mercati della Cina e dell’India e pone una pesante ipoteca, sul controllo del golfo arabico e di tutta l’area dei grandi fiumi. Dedicheremo particolare attenzione alle ambizioni strategiche commerciali ed economiche dell’area sciita nella direzione della Cina e dell’india in funzione di una ripresa dell’espansione di questa componente
dell’islam.

( 1. Continua)

G. C.

Le convinzioni degli atei e dei laici possono spostare le montagne più della fede dei credenti Laurent Sourisseau detto Riss (direttore di Charli Hebdo)