Il vero significato della proroga dei poteri emergenziali

La proroga della legislazione emergenziale ha sollevato le proteste dell’opposizione, come di autorevoli costituzionalisti che hanno denunciato questa scelta del Governo come liberticida, ritenendo cessata la situazione di emergenza. La questione è mal posta non solo perchè l’epidemia è ancora in atto ma perchè volutamente ignora la sostanza del problema, fingendo di ignorare l’obiettivo del Governo di poter partecipare alla spartizione della torta costituita dai 209 miliardi di prestito europeo che il sistema Italia potrà gestire, somma alla quale va ad aggiungersi probabilmente la gestione di altri 36 miliardi del Mes.
Questo quando il Governo sta già gestendo attraverso i provvedimenti anti crisi 100 miliardi di debito pubblico, attuando una manovra di bilancio pari a quattro volte il bilancio ordinario di una finanziaria.

La gestione del malloppo.

I provvedimenti contenuti nei tre decreti emanati per contrastare gli effetti della crisi covid sono tutti gravanti sul debito pubblico e costituiscono un indebitamento netto che ha messo in atto una redistribuzione di risorse fatte da un insieme di provvedimenti di carattere fiscale, da finanziamenti a fondo perduto, ecc. che per la prima volta da tempo
presentano una parvenza di redistribuzione verso le classi e i ceti diversi e non si esauriscono nel solito finanziamento esclusivo alle imprese. È questo il principale motivo di irritazione della Confindustria che lamenta il blocco dei licenziamenti e la messa a disposizione di risorse per i diversi ceti sociali attraverso reddito di cittadinanza e reddito di emergenza per far fronte alla crisi degli strati più deboli di popolazione.
Con questo il Governo in carica non è il Governo del popolo, ma un governo “democristiano” che fa una politica distributiva di risorse con l’obiettivo primario di garantire una tenuta sociale, barcamenandosi tra mille mediazioni tra ceti e classi con una caratteristica: i partiti fuori del Governo non toccano palla, berciano inutilmente e cercano di cavalcare il dissenso. Quello che al momento è saltato è il sistema spartitorio appropriativo, nel senso che una parte e una sola da il mazzo e vince.
Non pochi sono coloro che dicono che non va bene, perché vengono lese le regole democratiche, che il Parlamento è esautorato, nascondendosi dietro la foglia di fico della democrazia, dello Stato di diritto,della divisione dei poteri, non avendo il coraggio di ammettere nella loro ipocrisia interessata che il sistema democratico borghese fa acqua da tutte le parti, che lo Stato di diritto è una fictio Juris, uno specchietto per le allodole, che maschera il governo di una oligarchia alleata del grande capitale finanziario e del capitale imprenditoriale,(in stato decrescente di influenza).
Tutto ciò sta avvenendo complice la crisi Covid che ha indotto tutti a dire che pubblico è bello, visti i danni prodotti dai privati, visto l’egoismo del capitale finanziario, vista la spregiudicatezza dei monopoli e delle multi nazionali, vista la pirateria manifesta e criminale di molti imprenditori. Dalle macerie dell’epidemia ecco riemergere il concetto di interesse pubblico preminente, la necessità di un gestore che sia arbitro del funzionamento del mercato, che spieghi che non tutto è mercificabile e vendibile, perché ne va delle possibilità di vita di ognuno, padroni compressi. É il ritorno del
uolo dello Stato come regolatore del mercato.
E allora ecco la riscoperta del servizio sanitario pubblico come priorità nazionale e universale, a causa dell’interconnessione delle società e dello scambio continuo di presenze sul territorio che va vigilato per impedire che con il venir meno della tutela del bene vita venga meno la possibilità non solo di vivere, ma di sfruttare, di ridurre in
schiavitù, di vendita della propria vita e del proprio lavoro attraverso il salario. E questo perché senza vita non c’è niente, soprattutto quando la morte può colpire tutti, ricchi e poveri, cittadini e migranti, residenti e persone in transito. Ciò fatto bisogna combattere per garantire i diritti e promuovere la giustizia sociale.
L’intervento sulle strutture di comunicazione (strade, autostrade, ferrovie) passa necessariamente per la consapevolezza acquisita dell’interesse pubblico su questo settore e perciò lo Stato deve ritornare proprietario e gestore del trasporto pubblico, sia per quanto riguarda le infrastrutture che l’organizzazione dei servizi. Nel farlo non può che privilegiare il trasporto delle categorie che necessitano del servizio pubblico per poter lavorare.

La torta da spartire

E non è finita. C’è da spartire debito per due volte tanto quanto si è già fatto fin’ora e se si aggiungono i fondi del MES si arriva a circa 250 miliardi per il sistema Italia. L’attuale Governo, restando in carica, sta mettendo una seria ipoteca sull’utilizzazione e la gestione di questa massa enorme di risorse e perciò vale la pena di cominciare a capire dove e come pensa di impiegarle: converrà andare per voci:
La sanità, c’è differenza tra finanziamento del sistema sanitario pubblico e distribuzione delle risorse adottando la nefasta formula pubblico-privato. In un paese come l’Italia dove gli imprenditori sono stati sempre una categoria assistita, forti si faranno le voci di chi ha investito nel settore sanitario, lucrando sulle disfunzioni di quello pubblico e
accumulando finanziamenti pubblici. Sarà per loro difficile capire che la pacchia è finita!:
Ad esempio la scelta di potenziare il sistema sanitario a livello territoriale pubblico già destinerebbe in modo potenzialmente sano almeno una parte delle risorse; se poi si riuscisse a creare dei poli territoriali avanzati di cura distribuiti tra il nord, il centro, il sud e le isole si potrebbe porre fine al sistema di pendolarismo della salute verso la sanità
lombarda, smantellando un nido di predatori di risorse che spacciano per pubbliche iniziative imprenditoriali private, ritagliandosi un ruolo strategico nel sistema sanitario: emblematico, un esempio per tutti, il San Raffaele di Milano, struttura assolutamente privata retta dal denaro pubblico e finalizzata al profitto.
L’opinione di molti converge sulla necessità di dotare il paese di una infrastruttura di comunicazione digitale ma anche qui bisognerà prestare particolare attenzione non solo alla progettazione della rete, ma anche alla sua gestione e soprattutto potenziare un sistema di garanzia sul controllo dei dati, sia a fini economici che di tutela della privacy.
La stessa cosa va detta a proposito della gestione del territorio perché su questo terreno si svolge la battaglia per la gestione futura delle città e dei centri abitati. C’è differenza tra procedere a ulteriore cementificazione o iniziare un’opera seria di manutenzione del territorio e di recupero del costruito, nella direzione di ridurre il consumo di suolo, gestire il verde come verde sociale e reale, o gestirlo in modo industriale, creando falsi prati sull’asfalto, conditi di alberelli incassati in cassoni di compost, o piuttosto piantare veri alberi e non disboscare il verde residuo presente nelle città e nei borghi. C’è ancora differenza nel concepire reti di distribuzione alimentare a chilometro zero piuttosto che puntare ai grandi gruppi di distribuzione a domicilio attraverso il sistema dei raider, che si accollano la consegna delle
merci a prezzi da fame e lavorando con un’organizzazione del lavoro neo schiavista.
C’è ancora differenza tra intervenire sulla filiera alimentare per rimuovere il caporalato e il lavoro nero sottopagato e introdurre una meccanizzazione assistita da lavoratori agricoli pienamente tutelati nei loro diritti di orario di lavoro, condizioni di lavoro, salario equo e invece limitarsi a continuare ad introdurre la meccanizzazione e trasformare
sempre più il lavoro nero e precario in elemento strutturale di sistema. C’è ancora differenza nel gestire il mercato del lavoro in modo selvaggio e senza regole e normare invece il lavoro a distanza contrattualizzandone le condizioni, nel monitorare le politiche aziendali, ostacolando fiscalmente e amministrativamente le delocalizzazioni e il decentramento produttivo, avendo cura di mantenere il controllo pubblico sugli asset produttivi di sistema, in modo da impedire che produzioni essenziali abbandonino il territorio, disertificandolo e creando miseria e disoccupazione.

Il ruolo dell’opposizione sociale

La questione non è dunque qual è il Governo che gestisce l’accumulazione capitalistica, che nomina i boiardi di Stato che vanno a gestire questa o quell’azienda, ma vigilare sulle scelte dei settori sui quali intervenire, sulle modalità adottate, sul coinvolgimento sociale, sul rispetto dei diritti dei lavoratori, nel quadro più generale della tutela degli interessi collettivi e sulla funzione sociale dell’intervento pubblico. Il problema non è se lo Stato diventa imprenditore, sfatando il vecchio adagio che il pubblico per definizione non sa gestire la produzione, ma privilegiare il fine sociale
dell’investimento.
Per fare un esempio se si ritiene che produrre acciaio in Italia sia essenziale per la produzione metal meccanica e di macchine utensili ebbene l’acciaieria di Taranto va al più presto riconvertita, eliminamdo il carbone, salvando la città dai tumori prodotti dalle polveri, Lavorare non può significare ammalarsi o far ammalare gli altri e questo è un intervento pubblico che va perseguito con risorse pubbliche.
Nel fare questa analisi dei fenomeni non bisogna commettere l’errore di pensare che “il treno che va da Prato a Marghera va in un’unica direzione “come affermavano anni fa alcuni compagni francesi. Infatti ul sistema Prato si è trasformato ed è ancora in piedi e Marghera ha chiuso: Bisogna capire che il capitalismo progetta e si evolve utilizzando
modi di produzione “arretrati” ed “avanzati” in un mixer funzionale a produrre il maggior profitto e il maggior sfruttamento. Questo è il metro con il quale dovremo valutare l’utilizzazione delle risorse reperite a debito perché conferire una finalizzazione sociale all’investimento e all’accollarne l’onere alle generazioni future ha una sola
giustificazione possibile che risiede nel oreminente fine sociale da perseguire.

La Redazione