A volte la storia riserva sgradite conferme dell’ovvio. Previsioni che non sono tali ma semplici evidenze, volutamente nascoste da un malinteso “primato della volontà” che a sinistra emerge negli ultimi anni quasi come corollario irrazionale dopo che quel mondo ha tagliato quasi tutti i ponti con la ragione.
La partecipazione di PaP (Potere al Popolo) alle ultime elezioni, compagine alla quale ho dato il mio modestissimo contributo è una di queste “mancate sorprese”.
Se guardiamo la parabola della sinistra o “sedicente” tale nell’ultimo decennio appare chiaramente come si stia assistendo alla decomposizione (nel senso organico del termine) probabilmente definitiva di un intero mondo.[1]
Questo processo di scomparsa è iniziato parallelamente alla morte mediante “suicidio” (si potrebbe dire, con linguaggio da rapimento “Moro”) della compagine maggiore.
Morto, malamente, il Partito Comunista Italiano, la cd. “sinistra radicale”1 ha proseguito per qualche anno, nell’ombra del defunto, anche con risultati non disprezzabili, ma ormai confinata in uno spazio di minoranza.
È in questo spazio che la “sinistra radicale” ha perso il contatto con la politica iniziando un percorso esclusivamente valoriale. Voglio dire che, paradossalmente, mentre il PDS-DS-PD nasce come partito di potere tout-court, eliminando totalmente dal proprio orizzonte ogni velleità di trasformazione dell’esistente (la realtà non come dato di partenza ma come dato immutabile), la sua “sinistra” inizia la strada opposta.
Ovvero, quelli per cui sia sufficiente avere idee corrette (!) e analisi approfondite (!!) per attirare a sé “praterie” (!!!) di non si sa bene cosa (ce lo spiegherà meglio Toni Negri negli anni ‘90 con le sue “moltitudini”).
Potremmo dire che tutti e due i soggetti hanno abbandonato la razionalità per i “desiderata”. Ma in un caso, perlomeno, il “potere” era uno degli obiettivi raggiungibili.
Ma lasciando perdere la storia meno recente direi di passare all’analisi della sconfitta senza condizioni che ha subito PaP.
La lista elettorale (che di questo si è trattato, alla fine, riproponendo schemi che vanno avanti almeno da 15 anni), composta dal rinato PCI (con grossa e forse esiziale discussione interna per un partito rinato da 1 anno e mezzo), quello che resta del PRC (orfano dalla sceneggiata del Brancaccio), centri sociali (in fase ormai calante da qualche anno) guidati dal centro sociale Je’so Pazz di Napoli. Quest’ultima realtà assai interessante per il lavoro sul territorio e le istanze non meramente rivendicative portate avanti.
Quello che però emerge da PaP, è che non si è capito bene che cosa fosse, probabilmente, non l’ha capito neppure chi vi ha fatto parte.
Semplice cartello elettorale? Se sì, cosa ha significato l’assemblea del 18 marzo? Assemblea partecipatissima ma senza nessuna ipotesi di nascita di un qualche soggetto politico, ma la ripetizione dell’elenco già presentato in campagna elettorale. Elenco francamente ridondante e anch’esso appartenente al mondo della “volontà”.
Io credo che di organizzazione PaP non potrà parlarne neppure in futuro, tanta è l’eterogeneità di quella compagine, la quale, paradosso nel paradosso, proprio di una struttura avrebbe bisogno.
C’è poi la questione, fondamentale, e potremmo dire dirimente della partecipazione alle elezioni da parte di realtà che da sempre hanno visto nelle tornate elettorali nientemeno che una farsa borghese.
Questo, secondo chi scrive, ha portato ad un corto circuito, certamente non responsabile della vera e propria debacle della sinistra tout-court, ma da cui ci saremmo aspettati un’analisi realistica del voto e del dopo voto.
Innanzitutto, la sconfitta praticamente totale della sinistra non è certo stata data dalla presenza di PaP, in quanto il risultato ottenuto è stato davvero sotto ogni minima aspettativa.
L’elettorato ha risposto all’ultima tornata elettorale attraverso meccanismi di disinteresse (assenteismo) di voto “utile” e di disprezzo totale per la sinistra tutta. In questo rifiuto anche LeU ha pagato i suoi gravi ed esiziali errori politici.
Per fare attività politica non è affatto necessario presentarsi alle elezioni. Le elezioni borghesi possono essere uno strumento importante nel momento in cui si sia consolidata una certa forza, oppure anche per contare il proprio gradimento e rinserrare le fila (ad esempio il PC di Rizzo, che da solo ha preso 100.000 voti a fronte dei 390.000 di PaP. Ma quei voti pesano in maniera assai diversa).
Ma, una volta che ci si presenta, che si decide di partecipare alla tornata elettorale, quella diventa una cosa seria che non può essere gestita come si gestiscono le battaglie nei centri sociali, non può assumere aspetti meramente rivendicativi (quelli sono già occupati dallo schieramento di destra) e non può parlare, a milioni di italiani, il linguaggio dei centri sociali. Un linguaggio militante di chi è già politicizzato in un paese spoliticizzato da almeno 20 anni.
L’altro drammatico errore nella conduzione della campagna elettorale è stato quello di, nella già esilissima struttura e nell’assenza di forze, utilizzare tempo e risorse nello scontro contro LeU, quasi esso fosse il nemico principale.
Elemento incomprensibile a qualunque elettore mediamente informato, che, cioè, avesse avuto sentore della esistenza di PaP.
Quando si gioca il gioco elettorale bisogna anche saper usare in maniera razionale e militare la propria potenza di fuoco.
Il nome prescelto “Potere al Popolo” aveva dato l’idea di una novità alla Melanchon, in cui i dettami del populismo fossero stati “virati” a sinistra, parlando quindi ad una platea ampia.
Ma quella platea, quella presunta “prateria” è stata invece attaccata con i soliti argomenti della sinistra extraparlamentare (si sarebbe detto) postmoderna: diritti civili, femminismo, migrazioni, antifascismo
Tutte questioni importanti ma che non possono stare in una campagna elettorale del 2018. Casomai potrebbero essere inserite le programma di un partito di massa che avesse un ruolo pedagogico.[2]
In assenza di queste specificità e in un sistema mediatico ormai definitivamente nelle mani dei costruttori di “fake” questi aspetti hanno contribuito a ricacciare nella marginalità e nella minorità (non quindi nella minoranza) quell’esperienza.
Ruolo del resto in cui sono pienamente precipitati i leader, con le risposte pavloviane ad evidenti provocazioni televisive e mediatiche (che pure avrebbero dovuto conoscere bene).
Come avrebbe dovuto insegnare Napoleone, in presenza di inferiorità di truppe, la vittoria (o la non-sconfitta) la si può ottenere martellando un punto e non disperdendo le forze in miriadi di canali del tutto improduttivi.
Per il futuro sarà meglio ripartire dall’”arte della guerra” che dall’album dei ricordi. Sempre che si voglia continuare a giocare in un campo che offre ben poche possibilità di successo.
Quello che possiamo dire è che il 2018 è davvero l’anno zero forse della stessa parola che ha contraddistinto per decenni una certa collocazione.
[1] Già la denominazione, a metà fra l’oltraggio e il dileggio, appare francamente velleitaria, assumendo un linguaggio che lo pone come soggetto quasi “fuori dai giochi” da solo.
[2] Rimando ad un ottimo articolo di Carlo Galli. https://ragionipolitiche.wordpress.com/2018/04/10/la-sinistra-e-la-speranza/