SENTENZA LUCANO

Il 17. 12. 2021 è stata depositata la sentenza 607 del Tribunale di Locri, che consta di ben 904 pagine, relativa Mimmo Lucano e altre 27 persone, con la quale l’ex Sindaco del Comune di Riace viene condannato a 13 anni e due mesi di carcere. Il Tribunale individua le motivazioni dei ben 22 capi di accusa nel “…forte movente politico che ha indotto Lucano a commettere i vari delitti per cui si procede, in forza del quale, da una parte, egli ha consentito ai vari rappresentanti delle singole associazioni di arricchirsi mediante sottrazione costante del denaro dell’accoglienza, allo
scopo di averne un ritorno di natura elettorale tramite il loro appoggio, e, dall’altra, operando egli stesso per conseguire dei vantaggi, tramite la patrimonializzazione di Città Futura, che gli permetteva un forte ritorno di immagine, oltre che economico, quest’ultimo derivante sia dalla gestione del frantoio che, soprattutto, delle case da destinare al turismo dell’accoglienza, quali alberghi diffusi sul territorio, che gli producevano reddito, per l’attrazione di livello internazionale che egli aveva saputo pubblicizzare, valorizzando il sistema dell’inclusione e dell’integrazione dei migranti attuata su quei territori.” (sentenza: https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2021/12/Sentenza-607_21-LUCANO.pdf, pag 181).
La particolarità dell’impianto accusatorio, la dura condanna, il clamore politico del caso, la risonanza politica e mediatica del modello di accoglienza messo in atto a Riace e il bisogno del ceto politico di smantellarlo, meritano un commento approfondito, maggiori informazioni conoscenza, del contesto e alcune considerazioni.

L’antefatto

L’attività di accoglienza a Riace inizia nel 1998 dopo lo sbarco sulle coste della Calabria di profughi siriani e curdi inizialmente accolti dalla Curia di Locri che aveva allora come Vescovo mons. Giancarlo Maria Bregantini, vicino alle posizioni di Papa Francesco. L’anno dopo viene costituita a Riace da Giuseppe Puglisi l’associazione “Città Futura”
con l’intento di trasformare Riace in una città dell’accoglienza. Il progetto politico è quello di costruire una cittadina basata sugli stessi valori della cultura locale, incontaminata dal capitalismo e dal consumismo, nella convinzione che una cultura dell’ospitalità trova sempre il modo e lo spazio per accogliere dei forestieri; tra i soci fondatori Mimmo Lucano.
L’associazione inizia la propria attività di volontariato e nel 2004, Lucano viene eletto Sindaco una prima volta. La sua presenza in Comune si protrae per un secondo mandato e l’attività dell’associazione cresce: il Comune di Riace dichiara la propria disponibilità, come non molti altri Comuni in Italia, ad accogliere migranti e si dice disponibile ad ospitarli.
Aderisce successivamente al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), creato il 30 luglio 2013, che si articola in una rete di centri c.d. di “seconda accoglienza” destinati ai richiedenti e ai titolari di protezione internazionale.
Quando, con la crescita degli sbarchi, vengono creati nel 2014 i Centri di Accoglienza Straordinari (CAS) gestiti dalle Prefetture, il Comune di Riace si dichiara ancora una volta disponibile ad ospitare, come fa più tardi con i minori stranieri non accompagnati (MSNA). diventando uno dei Comuni destinatari del progetto. Nell’insieme Riace giunge ad ospitare ben 320 migranti contemporaneamente, sulla base di progetti presentati dal Comune e gestiti da strutture che si creano nel paese dando lavoro anche alla popolazione del luogo.

Stroncare “l’anomalia” Riace

Riace conta 1.726 abitanti, distribuiti tra il Borgo, posto su una collina a 300 metri di altitudine e a 7 Km la Marina divenuta nota per il ritrovamento dei Bronzi e da allora meta turistica. La parte attiva della popolazione locale è concentrata alla Marina; i migranti e le associazioni che li gestiscono e ne organizzano l’alloggio sono situate nel Borgo, dove quindi il rapporto tra popolazione migrante e autoctona è di uno a due. La popolazione del Borgo è prevalentemente composta da anziani e quindi la presenza dei migranti ridà vita al Borgo, permette la riapertura della scuola, immette un volume consistente di risorse costituito dai finanziamenti erogati per ogni migrante: trenta euro al mese. L’economia del paese rivive anche perché si stimolano i migranti a darsi delle attività e vengono create delle botteghe artigiane. Il Sindaco Lucano, si rivela molto abile e capace nella gestione mediatica dell’accoglienza e soprattutto dimostra di possedere un progetto politico che guarda ad un insediamento stanziale dei migranti e al loro inserimento nel tessuto sociale del paese, anche al fine di rivitalizzarlo, tanto che si comincia a parlare del “modello Riace” come un modo diverso, inclusivo, di gestire il problema.
La sperimentazione messa in atto a Riace potrebbe costituire un esempio di come si può affrontare il calo demografico, ripopolare i piccoli centri, riprendere a curare il territorio, costruire possibilità di sviluppo in luoghi desertificati dall’emigrazione e soprattutto mostrare che la presenza dei migranti è un’occasione di sviluppo e di crescita.
L’esempio è politicamente scomodo soprattutto per chi pratica le politiche del respingimento o quelle della ghettizzazione dei migranti nei CARA, veri centri di detenzione e sfruttamento dei migranti, circondati di filo spinato, e soprattutto
sottrae braccia al mercato del lavoro clandestino e illegale che gli avversari dell’emigrazione praticano. Perciò il “modello Riace” va smantellato perché politicamente invasivo: se ne fa carico Domenico Minniti (detto Marco), quando giunge al ministero degli Interni. Già considerato nel PCI alla destra del Partito, e ora uomo d’ordine del PD, vicino ai servizi (tanto da dimettersi poi per andare a ricoprire il ruolo di manager a Leonardo che produce e vende anche armamenti) i nuovo ministro “mostra i muscoli” e si segnala per un irrigidimento della politica migratoria. Nel mentre tratta con le tribù libiche perché trattengano i migranti nei lager del paese, impedendo loro di partire, pratica i respingimenti, limita l’attività delle ONG.
Minniti proviene da Reggio Calabria. Era l’anima nera del suo partito nella Regione, dilaniato da una guerra per bande;i suoi sodali sono parte di una politica spartitoria relativa agli affari nella sanità calabrese dissestata, sono al centro di rapporti soprattutto con il clan Occhiuto e si dividono con la destra tutte le occasioni per depredare i beni pubblici.
L’operato di Lucano è la sintesi di tutto ciò che Minniti odia, è l’antitesi della sua politica: uno dei suoi primi atti, è quello di impartire nuove disposizioni al Prefetto Michele di Bari di Reggio Calabria, di fresca nomina, (si proprio colui che recentemente si è dimesso a causa dell’incriminazione della moglie per sfruttamento di manodopera clandestina a 5 € al giorno in quel di Foggia). Si decide che a Riace occorre ridurre il numero dei migranti, in modo da far deperire le strutture locali di accoglienza: ciò si può fare ritardando ulteriormente l’arrivo dei fondi per il finanziamento delle attività (che è
un ritardo strutturale), evitando di inviare nuovi migranti e promuovendo una attività ispettiva della Prefettura su Riace.
Si susseguono 4 ispezioni disposte dal Prefetto: tre relazioni sono fortemente critiche e rilevano delle anomalie gestionali e scorrettezze amministrative nella gestione e nella rendicontazione delle spese, mentre la quarta ispezione pone in risalto l’efficacia del modello di accoglienza e gli aspetti positivi, pur non negando disordine gestionale e
anomalie contabili e di rendicontazione. D’altra parte, queste anomalie si erano rese in qualche modo necessarie per mantenere l’attività di accoglienza.
Infatti le strutture operanti a Riace, su indicazione del Sindaco, responsabile dei progetti, per rispondere alla strategia di attacco messa in atto avevano cominciato, a partire dal 2016, a mettere in atto una strategia di risposta continuando ad ospitare i cosiddetti lungo permanenti, ovvero coloro che avrebbero dovuto essere allontanati, perché era scaduto il periodo di accoglienza previsto dalla legge, assumendo a motivo che si trattava, in molti casi, di persone in grande difficoltà o di nuclei familiari che altrimenti sarebbero stati smembrati. Questa scelta aiutava oggettivamente i migranti ma – rileva il Tribunale – compensava il mancato invio di nuovi migranti e manteneva in vita il tessuto sociale e di solidarietà costruito. Su indicazione di Lucano era stata adottata la cosiddetta “moneta di Riace”, ovvero dei bonus di pagamento emessi dalle strutture che assistevano i migranti, dei sostanziali “pagherò”, in modo che i migranti avessero di che vivere e sostenersi. Queste anticipazioni di spesa venivano poi onorati all’arrivo dei fondi, non senza che ciò producesse difficoltà di rendicontazione e disordine contabile.

Accoglienza e sottosviluppo in un Comune di Calabria

Lucano era consapevole della fragilità del suo progetto che non si limitava solo all’accoglienza e alla solidarietà verso le persone ospitate, ma era altresì consapevole del sottosviluppo economico e sociale del suo Comune, afflitto a sua volta e impoverito dall’emigrazione dei riacesi; vedeva quindi nei migranti dei nuovi potenziali cittadini che avrebbero compensato il declino demografico, rilanciato le attività economiche, anche grazie all’immissione di denaro nel territorio, derivante dai finanziamenti a loro sostegno forniti dallo Stato.
Guidato da questa prospettiva Lucano, acquisita consapevolezza che il sistema di sostegno ai migranti era costruito su un’ipotesi di assistenza individuale e meramente assistenzialista che lui non condivideva perché alla fine del periodo di protezione. lasciava il migrante privo di mezzi. Perciò, forzando le norme e i regolamenti suggerisce di indirizzare parte delle risorse verso la creazione di botteghe artigiane e laboratori, la ristrutturazione di immobili ad uso abitativo, la creazione di cooperative di lavoro per i migranti e decide anche di produrre, con il consenso dei gestori dell’associazione “Città futura”, l’accumulo di una sorta di ”capitale primitivo”, derivante dai risparmi di gestione del sistema, mediante il quale sviluppare delle attività economiche, consistenti nell’acquisto e gestione di un oleificio (l’area si caratterizza per la coltivazione dell’ulivo) e la creazione di attività alberghiere nelle quali i migranti avrebbero potuto essere impiegati. La proprietà di tali beni restava collettiva essendo intestata all’associazione “Città Futura”.

L’inchiesta e la sentenza

Intanto mutavano gli equilibri politici a livello nazionale e il Prefetto di Reggio Calabria veniva posto da Salvini Ministro a responsabile del Dipartimento immigrazione del Ministero degli Interni. Le risultanze delle ispezioni a Riace venivano trasmesse alla Procura della Repubblica di Locri che affidava le indagini alla Guardia di Finanza, autorizzando un insieme di intercettazioni a strascico di tutte le persone coinvolte nella gestione dei migranti e di numerosi degli stessi migranti.
Le indagini muovono dalle tre relazioni ispettive e tralasciano la quarta favorevole al “modello Riace”, effettuano il sequestro della documentazione contabile di tutte le associazioni che gestiscono l’accoglienza e trasmettono ai magistrati le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche ed ambientali che costituiranno gli elementi fondamentali dell’accusa.
Viene formalizzata l’accusa e Lucano viene posto agli arresti domiciliari, il sistema di accoglienza di Riace smantellato: Salvini, Ministro degli interni annuncia trionfante di avere chiuso il “modello Riace”. Si svolge il processo e Lucano viene condannato a 13 anni e 2 mesi di carcere da uno dei Tribunali e da una procura che operano in un territorio ad altissima densità criminale, dove a comandare e la ‘ndrangheta. È questo Tribunale, sono questi giudici, che avendo tanto tempo disponibile si impegnano nel redigere una sentenza di condanna di ben 904 pagine.
Le prime settanta pagine della sentenza sono dedicate alle eccezioni procedurali. Poi la sentenza procede prendendo in esame l’ammissibilità delle intercettazioni come elementi di prova essenziali all’inchiesta; tali elementi vengono valutati accettabili dai giudici che incorporano per esteso nella sentenza la giurisprudenza connessa in forma
pressoché integrale il che spiega insieme alla trascrizione dei verbali di intercettazione, certamente copiosa, la prolissità abnorme della pronuncia. Una vota individuati i reati, si costruisce con dovizia di citazione giurisprudenziale, una interpretazione delle norme penali violate, applicate con tutte le aggravanti e accresciute dall’aver agito in associazione con altri in modo che la pena da comminare per ogni singolo reato sia quella massima possibile.
Nel merito, oltre a specifici comportamenti delittuosi, ad appropriazioni indebite a distrazione di fondi a furto di beni o di denaro viene contestato al sistema di ospitalità messo a punto a Riace di aver utilizzato la cosiddetta “moneta di Riace” ovvero di aver fornito i migranti di bonus con i quali pagare gli acquisti e ciò per sopperire all’assenza di liquidità dovuta al mancato arrivo delle sovvenzioni governative rilevando che il modus operandi sfociava nell’emissione di una sorta di cambiale onorata poi all’arrivo dei finanziamenti. Tuttavia. questo sistema aveva, per i giudici, due effetti perversi: il primo di non rendere contabilmente documentabile la spesa in quanto l’eventuale e difficoltoso accostamento tra il cosiddetto bonus e gli scontrini di acquisto creava una documentazione impropria; non solo, ma il sistema si prestava a confusione, imprecisioni e consentiva eventuali distrazioni nell’utilizzazione delle risorse. Come risultato del disordine amministrativo. peraltro necessitato dai ritardi ministeriali, le somme erogate si configuravano perciò come appropriazione indebita, furto e quant’altro. Rilevavano i giudici che questa situazione ha facilitato disservizi, ulteriori
comportamenti illegittimi e alimentato un clima di illegalità che ha finito per pervadere sia la componente migrante che gli enti gestori e i loro dipendenti che a loro volta vedevano procrastinati i tempi di corresponsione delle loro retribuzioni.
Non mancavano casi di effettiva distrazione di fondi ad uso personale da parte di alcuni dei coimputati.
I giudici riconoscevano che Lucano non si era personalmente appropriato di denaro anche se adombravano il sospetto che ciò fosse avvenuto artatamente nella prospettiva di trarre un ritorno sul piano politico di tutte queste attività e la prospettiva di benefici futuri e peraltro incerti, desumibili da sue ipotesi formulaste in occasioni di momenti di
sconforto, di delusioni di eventi avversi, desunte dalle intercettazioni.
La sentenza fa di Lucano il responsabile apicale e l’ideatore di quello che la Corte definisce il “sistema Riace”.

LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA: vedi pdf

Limiti politi e gestionali dell’”esperimento Riace”

Non è nostro compito entrare nelle singole problematiche e nelle illegittimità analizzate dai giudici; tale compito spetta ai successivi gradi di giudizio. Possiamo e dobbiamo invece cogliere l’occasione per sviluppare alcune considerazioni politiche dopo aver informato e ricostruito i fatti.
Innanzi tutto, solidarietà a Mimmo Lucano per la condanna artatamente abnorme rispetto ai reati eventualmente commessi. L’intento persecutorio del collegio giudicante è evidente per chi avrà la perseveranza di leggersi la sentenza e laddove si compari la natura dei reati commessi con quelli di mafia o altri relativi a delitti certamente ben più gravi, puniti altrove con pene enormemente minori. L’impianto accusatorio nella fase edittale di configurazione del reato denota l’intenzione del collegio giudicante di predeterminare per ogni reato la comminazione della pena apicale.
D’altra parte, il Tribunale di Locri non è nuovo a questa politica; lo testimonia il contemporaneo processo per la cosiddetta “‘ndrangheta connection” per il quale si è fatto ampio uso di intercettazioni e che ha visto il PM chiedere complessivi trecento anni di carcere. Avrebbe perciò dovuto prendere atto che l’attività di accoglienza ha creato nel territorio delle isole come Riace nelle quali la criminalità organizzata non è riuscita a penetrare e ciò malgrado anche in queste aree di “debole criminalità”, si dispiega l’attività repressiva della magistratura e dell’attività inquirente.
Nell’ottica con la quale agiscono le istituzioni – come si vede dalla motivazione riportata – crea qualche imbarazzo che a Riace vi sia stata accoglienza, solidarietà e integrazione per i migranti: l’errore di Lucano è quello di aver voluto attribuire un valore e un significato politico a quest’opera. E allora si sfrutta la sua stanchezza, si utilizzano i suoi momenti di sconforto per distorcerne gli intenti facendo prevalere una lettura egoistica e elettoralistica dei fatti e dei fini, quando invece Lucano era prigioniero del suo ruolo di Sindaco se voleva che i progetti di accoglienza continuassero ad essere presentati e sostenuti. Su di lui pesano i 14 anni di mandato e i 20 di impegno politico che avrebbero piegato le forze di chiunque
Lucano paga le conseguenze di aver costruito un’aggregazione politica di tipo prevalentemente elettoralistico, caratterizzata da un verticismo forse eccessivo, che non ha a sufficienza responsabilizzato politicamente ed eticamente i soggetti coinvolti che hanno piuttosto operato sulla base della coesione dettata dai rapporti amicali e parentali invece che politici. Prova ne sia che è venuto progressivamente meno il ruolo delle strutture collettive di confronto e discussione che coinvolgessero gli autoctoni e i migranti, contribuendo alla crescita di coscienza di tutti e quindi consentendo una vigilanza collettiva e al tempo stesso una maggiore mobilitazione ideale che avrebbe evitato molti dei comportamenti contestati.
La generosità nel fare, il bisogno di risultati, il dover rispondere ad esigenze reali immediate e drammatiche ha costituito un monito costante per Lucano che ricorda bene Becky Moses di 26 anni, morta tra le fiamme a San Ferdinando l’11 gennaio 2018, bruciata viva nel rogo della baraccopoli dove era finita, lei lungo permanente a Riace, che si era vista negare il diritto d’asilo ed era tata scaraventata nell’inferno di San Ferdinando.

Gianni Cimbalo