
POST-VIETNAM
Chiariamo subito un fatto, il referendum non è e non può essere l’arma d’elezione del conflitto sociale. Uno strumento improprio già per la democrazia “liberale”, sia essa rappresentativa che diretta, in quanto strumento di per sé interclassista. I referendum in Italia sono stati certamente importanti per le conquiste civili, per l’acqua pubblica, o per impedire pericolosissime modifiche della Costituzione. Mentre, per difendere o incrementare i diritti sociali e del lavoro, l’arma si è rivelata spesso spuntata.
TURARSI IL NASO?
Nelle società capitaliste l’ordine sociale è nelle mani delle classi dominanti, che non permetteranno mai, per le vie del voto, una qualche modifica che possa spuntare loro le unghie.
Soprattutto nel periodo storico attuale, dove il capitale è divenuto ormai religione di stato e i padroni del vapore non vengono neppure più redarguiti da quella che era la vecchia DC. Anticomunista e interclassista sì, ma assai prudente verso ogni forma di liberismo senza paracadute (non fosse altro che il capitale lasciato a se stesso è un potente macinatore di ogni mito, rito e credo).
Detto questo, e premesso che le elezioni in genere non possono essere lo strumento con cui si possano ottenere dei cambiamenti strutturali dell’ordine socio-economico, bisogna ragionare in maniera razionale e realistica e, soprattutto, non scambiare l’anarchismo con il nichilismo o con il velleitarismo parolaio.
HIC RHODUS
Ovvero: qui siamo e qui bisogna giocare. Nella convinzione che ci sono momenti nei quali si debbono percorre strade strette e in pessima compagnia e anche nella consapevolezza che il settarismo, per quanto spesso possa davvero sembrare una forma di difesa anche ragionevole,[1] può portare a splendidi ma del tutto inefficaci isolamenti. Laddove fare politica è necessariamente, come avrebbe detto Pintor, uscire dalla solitudine.
NON MORIREMO TAFAZZIANI?
Dunque, per i 5 referendum bisogna andare a votare e bisogna votare 5 sì. L’attacco pluridecennale in atto contro il mondo del lavoro ha ormai raggiunto livelli intollerabili. Se raggiungessimo il quorum (con la inevitabile vittoria dei sì) saremmo riusciti a mettere almeno una zeppa in questa deriva.
Inoltre, la convergenza sui referendum di una fetta ampia della acciaccatissima sinistra italiana darebbe almeno una indicazione di quali dovrebbero essere i fondamentali di una qualunque forza che a queste radici si richiami.
Per quanto, ovviamente, la cosa ci indisponga in maniera quasi viscerale, la forza più ampia ancora in campo è rappresentata dal PD. Un PD che presenta al suo interno una importante presenza di renziani ed ultraliberisti e che non aspettano altro che la Schlein (che non è certo una rivoluzionaria di professione ma rappresenta una specie di ultimo e tenue barlume) batta il grugno per levarsela dalle scatole. Del resto se persino Bersani fa un endorsement a favore di Draghi possiamo capire dove e come siamo messi.
RITORNO AL FUTURO
Lasciando da parte queste perle non molto edificanti di puro politicismo, rimane l’importanza in sé dei quesiti referendari che vanno tutti a toccare fondamentali diritti sociali. Tutti, anche quello sulla cittadinanza. Pare impossibile che si sia oggi a combattere una tale battaglia di retroguardia, ma siamo nell’ultima trincea prima della resa totale.
Se leggiamo i quesiti vediamo che siamo non solo dalle parti della difesa dei diritti di base, ma perfino della civiltà. Con l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, si impresse sicuramente una svolta moderata all’autunno caldo (anche se nessuna rivoluzione era in vista all’epoca) ma la si impresse all’interno dei valori costituzionali. Valori di compromesso ma che oggi appaiono quasi bolscevichi. Con quello statuto si indicò anche un elemento fondamentale. Il lavoratore era un cittadino con pieno godimento di tutti i diritti, anche quando era sul posto di lavoro. Che quella impalcatura sia stata abbattuta dai dirigenti di quello stesso partito che oggi vota sì ai referendum può fare sicuramente salire il sangue agli occhi. Ma nella storia raramente si danno situazioni purificate e lineari. Se il PD porterà almeno una parte dei suoi votanti
a far vincere il referendum a noi va bene. Però preme qui ricordare che è anche per responsabilità sua se oggi siamo a lottare per diritti del secolo scorso. Non essere licenziati senza giusta causa, ottenere congrue indennità di licenziamento, contratti a tempo indeterminato come norma, rendere responsabile l’azienda che subappalta, dare la cittadinanza (e quindi diritti pieni) in tempi ragionevoli. Sono tutte questioni basilari, evidenti.
Sì
La destra ha già fatto le sue ovvie mosse. Innanzitutto, scegliendo una data difficile per il quorum. Poi, ovviamente, dimenticando del tutto il referendum fino ad indicare l’astensionismo. Ora, a me pare che si tratti di scelte lapalissiane verso le quali è inutile stare a questionare. L’invito all’astensione è venuto, nella storia dell’Italia Repubblicana, da diverse parti e, francamente non mi pare uno scandalo. Non è qui che si deve combattere questa battaglia. Bisogna convincere gli indecisi, i diffidenti, gli stanchi delle parole, gli sconfitti. Tutti sentimenti che possiamo fare nostri. Non siamo di fronte ad un bel panorama e veniamo da narrazioni tossiche, fatte proprie da chi si proclama erede dei comunisti.
Non sarà facile. Tuttavia bisogna ribadire che a noi interessano i quesiti non il politicismo d’accatto che ci sta dietro (e che, casomai, contribuirà a danneggiare proprio il referendum). Si tratta di questioni reali, concrete, sulla pelle viva dei lavoratori.
PER QUANTO VOI VI CREDIATE ASSOLTI
Allora sarà bene chiarire, in chiusura di questo articolo breve e discretamente confuso, che noi voteremo sì ai referendum convintamente, ma il 10 giugno, comunque sia andata, non dimenticheremo chi sia stato il responsabile di questa deriva antisociale. Non sarà certo l’aver appoggiato referendum sacrosanti che ridarà la verginità politica ad una compagine che ne ha da fare di strada (se la vorrà fare) prima di tornare ad essere credibile tra i lavoratori. Che dovrebbe scegliere se tenersi dentro i Bonaccini-Picierno e tutta la frangia renziana-masson-liberista-filoisraeliana o, dopo decenni di
ondeggiamenti, spostarsi da un’altra parte.
Ma, siccome, sappiamo che questi sono sogni ad occhi aperti, intanto votiamo per i referendum. Per il resto, per dirla con De André continueremo a “mandarli a cagare”.
[1] Amadeo Bordiga, in una intervista a Zavoli del 1970 (l’ultima fatta poco prima di morire) ebbe a dire “Se fosse cosa attendibile che io dia, dopo tanto tempo, un giudizio storico sulle mie stesse qualità e qualificazioni, dichiarerei oggi che trovo gradita la definizione di settario, e veridica quella di non essere mai stato duttile e capace di lasciarmi suggerire evoluzioni elastiche dal mutevole avvicendarsi delle situazioni politiche e dei rapporti di forza tra le classi sociali” (https://enricoberlinguer.org/home/saggi-e-studi/amadeo-bordiga/76-una-intervista-ad-amadeo-bordiga.html)
Andrea Bellucci