La guerra in Ucraina ha mutato profondamente le strategie militari e le politiche della difesa, incidendo sulle scelte necessarie per dotare un paese di una potenza militare definita pudicamente di deterrenza. Queste politiche riguardano da un lato la strategia di gestione di un eventuale arsenale nucleare, ma ancor più la disponibilità e la gestione di un esercito “tradizionale”. Tralasciando la questione nucleare certamente molto complessa, il dibattito va necessariamente ricondotto alla discussione sulla creazione di un esercito comune europeo che dovrebbe affrontare una guerra d’attrito sul tipo di quella dell’Ucraina.
In premessa va rilevato che un esercito che volesse aggredire uno degli Stati che fanno parte dell’Europa, in ragione dei legami che uniscono oggi i diversi paesi, dovrebbe poter disporre di un numero di effettivi ben superiore alla disponibilità di personale in armi dei quali dispone la Russia in rapporto alla sua popolazione per poter ipoteticamente raggiungere lo scopo. Invadere e mantenere occupato un così vasto territorio richiederebbe un numero di soldati di cui l’ipotetico invasore non dispone. Al contrario se solo si pensa alla lunghezza della frontiera russa, che va dalle coste del
Pacifico a quelle del Mar Nero e che è cinta da una frontiera di terra dall’Artico al Mar Nero. Viceversa l’insieme dei paesi dell’Unione europea dispone di una popolazione di 450 milioni di abitanti alla quale si contrappongono 148 milioni di russi e perciò ben si comprende il timore della Russia di essere invasa.
Ciò nondimeno rileviamo che l’esercito che la Russia si troverebbe a dover affrontare sarebbe composto da 32 eserciti diversi (quello della NATO) che si ridurrebbero a 27 nel caso la risposta venisse dalla sola Unione europea. Ne consegue che ogni discussione sulla creazione di un esercito comune europeo che dovrebbe affrontare una guerra d’attrito, ricca di variabili e incognite e risulta comunque mal impostata, inadeguata obsoleta, tanto più quando continua a far riferimento all’esistenza di 27 eserciti nazionali. Questo rilievo conserva la sua validità anche se ci si riferisse esclusivamente ad alcuni reparti di èlite che costituiscono oggi le truppe NATO e sono da questa Alleanza, coordinate.
Anche in queste forme l’esercito che ne costituirebbe la risultante è superato e obsoleto nelle sue strategie, nella sua costituzione, nei suoi reparti, nelle specialità, nei sistemi d’armi che lo contraddistinguono. La più diretta conseguenza di questa constatazione è l’impraticabilità e l’assoluta inefficacia della decisione di destinare 800 miliardi di
euro al riarmo, tanto più dopo che gli uffici di Bruxelles hanno rilevato l’illegittimità e i vizi della procedura adottata dalla Commissione per approvare la decisione della Von der Stupid. Ne consegue che la struttura di un esercito comune europeo andrebbe interamente ripensata nella sua composizione organizzativa, nella sua struttura e soprattutto per ciò che concerne i sistemi d’arma adottati e le strategie utilizzate, procedendo tuttavia a dotarlo di una direzione politico – militare che non può che venire dall’esistenza di una politica estera comune dell’Europa oggi inesistente e di la da venire.
Struttura e sistemi d’arma
Le strategie, le tattiche e le modalità di combattimento adottate durante la guerra d’Ucraina dimostrano che oggi un esercito efficiente non può essere più organizzato in forma tripartita tra marina, aviazione ed esercitato di terra, poiché non solo gli strumenti propri dei tre tipi di armamento si integrano più e diversamente dal passato nel combattimento, devono essere affiancati quantomeno da reparti aerospaziali e da tecnici elettronici.
Non solo, ma i problemi relativi alla costituzione, all’organizzazione, all’argomento differiscono a seconda degli scopi che si perseguono e ovvero a qual è la strategia di difesa adottata per le coste e i mari, quella dell’aria e quella di terra o se la decisione adottata riguarda la proiezione di una politica di potenza globale come parte di un equilibrio multipolare.
In questa sede c’è spazio ovviamente per brevi e sommarie considerazioni che riteniamo propedeutiche ad un dibattito aperto che siamo disposti ad ospitare che tuttavia cercheremo introdurre in modo che i quesiti posti siano sufficienti a rispondere a domande significative che riguardano la congruità e l’utilità della spesa in relazione agli
obiettivi. Restringendo le osservazioni all’adozione di una politica di riarmo limitata alla deterrenza e alla difesa rileviamo che nel conflitto ucraino vi è stata una importanza del tutto marginale della marina nelle azioni di guerra. Ciò non è dipeso solo dal fatto che tradizionalmente la Russia non è una potenza marinara, ma dalla particolare configurazione del campo di battaglia estremamente ristretto al Mar Nero. In questo scacchiere il conflitto ha dimostrato che l’operatività di una flotta dipende dalla disponibilità di porti sicuri. Tuttavia se quei porti sono nelle vicinanze della costa del paese nemico permettono al paese che si difende di svolgere un’azione efficace di contrasto alle potenzialità militari della marina anche non disponendo di navi da battaglia, in quanto è possibile realizzare oggi mezzi di attacco costituiti da piccole imbarcazioni dotate di droni o da batterie costiere di missili e di cannoni che sono in grado di neutralizzare il ruolo del naviglio di superficie. Considerata la configurazione delle coste mediterranee dell’Unione europea e quelle atlantiche a difesa di un attacco proveniente dal mare dovrebbe essere strutturata approntando mezzi di difesa agili e
snelli, in quanto per una politica di difesa l’era delle grandi navi da battaglia e delle portaerei sembra definitivamente tramontata.
Ne consegue che, a meno che uno Stato non voglia disporre di una marina in grado di coprire i mari per proteggere i propri traffici – nel qual caso quel paese deve dotarsi non solo di un naviglio costituito da grandi navi di superficie e da sommergibili, ma anche di portaerei, disporre di porti di appoggio e navi di rifornimento che forniscano la necessaria assistenza logistica e deve disporre di un’industria cantieristica in grado di alimentare costantemente la produzione e l’aggiornamento tecnologico di tale naviglio – sarà necessario e sufficiente dotarsi di strutture agili, capaci di inibire l’utilizzo di una forza navale di superficie e di contrastare quella dei sommergibili. Le basi inglesi e francesi ancora esistenti, sparse nei mari del mondo costituiscono una struttura residuale di nessuna efficacia, dai costi crescenti, dagli effetti strategici inesistenti.
Non solo ma. l’industria cantieristica europea, per quanti sforzi faccia, non è in grado di reggere le capacità produttive della Cina e degli Stati Uniti a livelli anche minimamente competitivi per quantità e qualità del naviglio del quale può disporre, e questo a prescindere dal gap incolmabile che attualmente separa l’insieme degli Stati europei dalle grandi flotte cinesi, statunitensi e russa. Persino alcune potenze regionali come la Turchia e l’India dispongono di una forza navale di tutto rispetto, in grado di competere con quella europea. In altre parole forze navali d’Inghilterra e Francia sono i cascami di antiche potenze ormai in disarmo, se non altro che per mancanza di equipaggi.
Queste considerazioni sono ancora più vere e realistiche se incrociate con quelle relative alla disponibilità di un’aeronautica militare in grado di fornire una sufficiente copertura aerea all’operatività di una flotta, certamente deficitaria per una scarsità evidente di portaerei disponibili per i paesi europei, senza contare il fatto che guardando agli effettivi in servizio nelle marine degli Stati nazionali si rileva evidente una carenza vocazionale di marinai in numero sufficiente in grado anche solo di far navigare il naviglio attualmente esistente.
Il ruolo dell’aviazione
Per ciò concerne il ruolo dell’aviazione questo sembra godere di migliori condizioni operative, considerato che è possibile con più facilità aggregare e coordinare un armata aerea di difesa, dotata di un opportuno sistema di avvistamento radar di sorveglianza del territorio, nonché di sorveglianza elettronica dello spazio aereo che peraltro ha bisogno di sistemi e coordinati appartenenti al settore aerospaziale e di avvistamento in volo dii aerei opportunamente equipaggiati, nonché di batterie missilistiche a terra che contribuiscano a formare uno scudo di protezione almeno in determinate aree.
Tuttavia gli obiettivi sarebbero tali e tanti e così disseminati che la difesa dello spazio aereo appare quanto mai problematica, tanto più che i servizi di avvistamento dipendono dal settore aerospaziale nel quale esiste un gap tecnologico e strumentale difficile da colmare in un lasso di tempo almeno ragionevole.
Per ciò che concerne l’ammodernamento dell’arma aerea si rileva che i cinesi hanno recentemente perché si è dimostrato che una guerra di attrito consuma inesorabilmente gli armamenti, sia a causa dell’uso ripetuto che per la distruzione di parte avversa.
Inaugurato il volo di un caccia di sesta generazione, i russi sono in stadio avanzato di progettazione di un aereo simile, mentre Stati Uniti seguo a ruota con un progetto molto in ritardo sui tempi. Ma ancor più in ritardo sono gli europei dove operano due diversi consorzi di paesi perciò anche in questo settore il gap da recuperare è abissale sia dal
punto di vista tecnologico, che progettuale. Ne consegue che per quanto si faccia è che qualunque sia la disponibilità di risorse messa a disposizione non è pensabile nel breve periodo disporre di aviogetti in grado di sostenere il confronto con i competitors internazionali maggiori o anche con potenze regionali come la Turchia, l’India, per non parlare di Israele o la Corea del nord.
Il ruolo dell’esercito di terra
È certamente vero che il conflitto ucraino ha fatto emergere la grande importanza di disporre di un esercito di terra in grado di condurre una guerra di attrito, ma anche in questo settore la configurazione delle forze europee sul campo è decisamente deficitaria e non tanto e non solo per la varietà dei sistemi d’arma adottati dagli eserciti NATO che produce la non intercambiabilità della disponibilità di munizioni e certamente crea difficoltà nella operatività delle truppe sul campo, ma pertanto gli armamenti ad alta tecnologia adottati dagli eserciti appartenenti alla NATO, sono soggetti ad un maggior deperimento, in quanto non si prestano ad essere recuperati e riparati per essere reimmessi sul campo di battaglia anche dopo uno scontro a fuoco, cosa che non avviene per quanto riguarda ad esempio l’armamento russo. L’uso dell’arma missilistica, soprattutto se di modello avanzato, si accompagna ad alti costi che possono essere meglio raggiunti e con altrettanta efficacia sul campo di battaglia attraverso l’uso delle bombe plananti e ancor più dei droni, settore nel quale la tecnologia occidentale si è dimostrata sul campo certamente inferiore alle prestazioni fornite dall’armamento adottato dall’esercito russo che non appare immediatamente replicabile. L’uso da parte russa nell’ottimizzazione combinata di Fab, bombe missili accorto e medio raggio cannoni di media e lunga gittata si è rivelato efficace e devastante, ma richiede un’alta capacità produttiva a livello industriale soprattutto per quanto riguarda la disponibilità di munizioni. In particolare la guerra Ucraina ha dimostrato che tra l’esercito combattente e i servigi di supporto e logistici esiste un rapporto del 30% di combattenti e il resto di servizi logistici e di supporto, ed è necessaria una rapida rotazione del personale addestrato a combattere da far ruotare sul campo di battaglia.
Inoltre grande spazio dovrebbe avere nel riarmo lo sviluppo del settore della guerra elettronica, dotandosi di specialisti in grado di svolgere azioni di contrasto e di guerra elettronica, consistente non solo nel boicottaggio delle comunicazioni, ma nello svolgimento attivo di raccolta di informazioni sul campo, perché le azioni, ancorché condotte da piccoli gruppi di uomini, richiedono una direzione costante, un’osservazione delle operazioni, che vengono monitorate e seguite in diretta, sviluppando in modo particolare, sia dal punto di vista tecnologico che creativo, nuovi utilizzi e prestazioni dei droni, in modo da poter condurre alla guerra a distanza nel modo più efficace ivi compresa la possibilità di colpire il nemico e difendersi agendo dallo spazio. Tutto quanto descritto, anche se sommariamente, richiede non soltanto
risorse ma soprattutto tempo.
Riarmo e rilancio delle attività produttive
Benché queste considerazioni facciano oggi parte di conoscenze condivise il riarmo proposto dall’Europa rischia di sfociare in investimenti finalizzati alla riconversione delle industrie, soprattutto metalmeccaniche, che verrebbero destinate alla costruzione di cannoni, carri armati e tradizionale armamento pesante, alla cantieristica navale, e in parte in investimenti tecnologici destinati all’aviazione e all’uso dell’intelligenza artificiale per scopi militari e la progettazione di nuove armi, anche se certamente almeno una parte delle risorse verrebbe utilizzata per la guerra elettronica e per i sistemi informatici di comunicazione e avvistamento.
Per rendere più appetibili e digeribili alle popolazioni le spese in campo militare vi è anche chi si affanna a sostenere che vi sono delle ricadute positive della ricerca in campo militare che finiscono per migliorare la qualità della vita, senza considerare l’altissimo potenziale di distruzione e di morte prodotto dal lavoro all’applicazione su larga scala sul territorio europeo della guerra più che ovunque a causa della densità di popolazione e della configurazione urbana del territorio.
Stante così le cose e viste le scelte che si profilano piuttosto che essere uno strumento per contenere un’eventuale aggressione russa il riarmo proposto ed attuato finirebbe per armare singolarmente i paesi europei creando le premesse per uno scontro interno tra di essi per affrontare e risolvere controversie mai sopite soprattutto nei contenziosi aperti nei Balcani e nei confini ad Est dell’Europa anche prima della frontiera con la Russia.
Ma ciò che, a nostro avviso, è più grave e preoccupante, è la configurazione che vanno assumendo la struttura produttiva ed economica e il regime degli scambi commerciali che è tale da portare con sé come una delle sue caratteristiche peculiari il riarmo reciproco e generalizzato. Bisogna infatti tenere conto che accanto alla guerra guerreggiata è in corso una guerra economica che sta portando ad una completa ristrutturazione delle ragioni di scambio delle merci e di fatto alla nascita di un’economia neocurtense fatta di tante isole produttive e di consumo che tendono alla riduzione degli scambi e del commercio internazionale e all’autosufficienza autarchica. La crisi dell’impero americano si accompagna ad un decadimento generale della dimensione globale degli scambi che consiglia ad ogni operatore globale che agisce sul mercato di recintare la propria sfera di influenza e di azione, garantendo con la forza l’esclusiva delle relazioni economiche, creando un sistema chiuso che si contrappone globalmente agli altri competitors, rivendicando la propria autosufficienza a scapito dello scambio. La diminuzione delle relazioni e delle interconnessioni che ne consegue spinge ad una recessione nella libertà delle relazioni e delle interazioni che, producendo meno comunicazione e scambio, finisce per causare un impoverimento della ricerca e delle innovazioni, con conseguente regressione dei tassi complessivi generali di sviluppo.
Ogni area economica, ogni paese o gruppo di essi, confederati di necessità per bilanciare la concorrenza e ridurne gli effetti, finisce per assumere una dimensione competitiva che può in ogni momento sfociare nel conflitto armato, visto come uno dei possibili elementi risolutori, una variabile della concorrenza, uno strumento di soluzione della competizione tra sistemi di relazione e modelli economici. La tendenza verso questo modello di relazioni è una caratteristica che tende ad affermarsi soprattutto negli stati di antica industrializzazione e sviluppo, come la vecchia Europa e si accompagna al declino demografico. Storia ha dimostrato e da sempre la crisi degli imperi si accompagna a conflitti fra territori che ne facevano parte e da esso si distaccano. Il processo di dissoluzione in atto è destinato col tempo ad esaurirsi e a produrre disgregazione sociale, surrogata dal prevalere di forme più dinamiche di relazioni economiche e sociali rappresentate dal modello di produzione asiatica, sociale collettivo, aperto, di massa.
G.C.