Per l’uguaglianza e la solidarietà contro l’autonomia differenziata

Ci giunge notizia che nell’intento di contrastare le norme contenute nel disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata delle Regioni si vanno costituendo sul territorio per iniziativa di molti compagne e compagni comitati per dire “No all’Autonomia differenziata per uguali diritti da Nord a Sud”.
Si vuole così contrastare una riforma che provocherà un aumento delle diseguaglianze territoriali e sociali, in particolar modo nella Sanità, nella Scuola e nei trasporti, creando un ampio fronte di lotta che coinvolga i lavoratori e le lavoratrici dei diversi settori, gli utenti, tutti i residenti nei territori, senza alcuna discriminazione e indipendente dalla loro collocazione politica e partitica, in quanto l’unità va ricercata su obiettivi comuni e condivisi.
Vista la natura della vertenza la creazione di comitati di lotta sul territorio e una mobilitazione che parta dal basso sono essenziali per la costruzione di un fronte di lotta e pertanto promuoviamo e guardiamo con favore alla costituzione di comitati a livello comunale che procedano all’esame e al commento del provvedimento ministeriale e organizzino sul tema discussioni e confronti pubblici, simulino le conseguenze dell’applicazione del provvedimento, mettendo a punto mozioni e elaborando documenti critici sulla proposta sui quali chiamare a pronunciarsi le assemblee auto convocate e
successivamente gli organi di governo degli enti locali, in modo che la mobilitazione segua parallelamente il terreno del confronto sociale e di quello istituzionale.
Questa modalità di operare ha il vantaggio di non richiudere il confronto al livello istituzionale, ma di instaurare un rapporto dialettico con quelle istanze istituzionali che sarebbero quelle più colpite dal contenuto del provvedimento e che vedono le loro risorse operative ridursi per effetti della nuova ripartizione delle competenze, delle condizioni di accesso alle risorse del territorio e che si troverebbero nella condizione di dover gestire la riduzione dei servizi alle popolazioni amministrate
Ne può essere tralasciato – affrontando queste problematiche – di pronunciarsi sul problema più generale della leva fiscale, rivendicando criteri di equità e progressività nel procedere al prelievo fiscale generale, come alla distribuzione del reddito che va fatta applicando i principi di solidarietà sociale, con particolare attenzione per le fasce più povere e disagiate della società.
Il posto di lavoro deve e può costituire uno dei luoghi nei quali sviluppare il confronto e la discussione collettiva, nonché la mobilitazione, così come gli organi di governo delle strutture sanitarie sul territorio devono e possono pronunciarsi e prendere posizione su queste tematiche che sono di loro interesse e di sicuro impatto sul funzionamento
delle strutture e su qualità e quantità dei servizi erogati.
Solo una presenza organizzata sul territorio può permettere di condizionare efficacemente il quadro politico approfittando del fatto che le tematiche in questione superano per molti versi la divisione partitica, ma vedono gli interessi aggregarsi e riconoscersi in relazione alla collocazione territoriale. Occorre far si che la fruizione dei diritti, l’accesso ai servizi e alle prestazioni sia caratterizzato dall’uguaglianza e non dipenda dal territorio o dalla regione nella quale si vive.
In questa lotta costituisce un punto di riferimento essenziale della mobilitazione quanto afferma l’art. 4 della Costituzione;
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
Se lo spostamento delle competenze dallo Stato alle Regioni venisse attuato per tutto ciò che riguarda le scelte fondamentali relative a materie come l’istruzione, i trasporti, le comunicazioni, le reti dell’energia, le condizioni di lavoro e dei lavoratori, l’ecologia, l’ambiente, la sanità, al posto di una disciplina legislativa ne avremo venti, ognuna con
efficacia territoriale limitata al territorio regionale. Ne consegue che al posto del contratto collettivo di lavoro, verrebbero ripristinate le gabbie salariali; di fronte a una nuova pandemia, avremo l’impossibilità di determinare delle regole di profilassi comuni, vi saranno risorse differenziate per affrontare l’epidemia. Non sarà possibile programmare una politica energetica per la transizione ecologica e la decarbonizzazione dell’economia. Inoltre, la presenza di venti mini Stati regionali farà decollare la spesa pubblica legata al costo dell’apparato amministrativo che crescerà a dismisura: una scelta insensata, inefficiente, costosa e caotica.
Per contrastare questo progetto è necessario dar vita a un forte movimento di massa che blocchi il processo legislativo, innanzi tutto facendo pressioni sulle opposizioni parlamentari perché su questo tema non vi sia trattativa e mediazione alcuna. Ciò può avvenire solo a condizione che queste siano spinte ad agire e a schierarsi sotto la pressione di un forte movimento di massa che induca il Governo a recedere dai suoi propositi. Questo risultato è ottenibile solo a condizione che l’informazione sull’autonomia differenziata cresca e si sviluppi facendo chiarezza sulla mancanza di
attualità ed interesse della sua attuazione anche per le regioni del nord del Paese nella nuova situazione economica creatasi nel centro e dell’Europa per effetto della guerra e della crisi energetica che modificherà gli assi di sviluppo del paese.

La Redazione