PACE سلم

É scoppiata la pace. Sotto il patrocinio e con la mediazione cinese si sono svolti a Pechino colloqui fra le delegazioni della Repubblica Islamica dell’Iran e l’Arabia Saudita che hanno portato al ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due paesi, interrotte nel 2016. Il riavvicinamento tra gli Stati leader, rispettivamente della componente sunnita-wahhabita e di quella sciita-teocratica dell’islamismo, può mutare profondamente le politiche all’interno del mondo islamico e merita un’attenta analisi che evidenzi i diversi fattori che hanno indotto le parti all’accordo.
La Repubblica Islamica attraversa una delle fasi più difficili della sua storia, insidiata da una rivolta interna che mette in discussione principi e ideologia del regime, ne denuncia la corruzione, ne mina la base sociale. Il movimento di protesta nato in risposta alle repressioni iniziate a settembre continua anche se i media occidentali hanno messo la sordina alle nuove efferate aggressioni contro le studentesse in lotta per i loro diritti e omettono di denunciare l’uso contro di esse dei gas da part di gruppi paramilitari ben noti al regime. Ciò malgrado le cause politiche ed economiche della crisi non sono venute meno ed il regime ha bisogno di rompere il fronte di opposizione pacificando i rapporti con la componente sunnita e il suo clero, presenti nel paese, che si sono schierati a sostegno della protesta. Pertanto ragioni di politica interna hanno indotto gli ayatollah ad un accordo con i loro nemici di sempre.
Se queste ragioni si aggiungano quelle di politica estera relative all’adozione di politiche convergenti e concordate sull’energia (estrazione e prezzi di gas e petrolio) in questa delicata fase dell’economia mondiale, l’interesse comune è quello di dar via a un’area economico-politica dei paesi islamici che faccia fronte comune in un mondo multipolare di grandi blocchi contrapposti che si va configurando.
È, a nostro avviso, proprio questo obiettivo comune la principale ragione che ha spinto l’Arabia Saudita all’accordo, ma non poco ha pesato e pesa per entrambi i paesi il costo dei conflitti in corso tra le due componenti dell’islamismo, conflitti che hanno avvantaggiato Israele e fatto prevalere gli interessi anglo americani di controllo del
Medio Oriente, dilaniato da guerre e divisioni intestine.
In questo coacervo di interessi la Cina si è inserita abilmente e ci ha messo di suo la promessa di investimenti e l’applicazione della sua politica di costruzione e messa a disposizione di infrastrutture per i paesi che accettano di relazionarsi con la sua economia. D’altra parte la Cina ha bisogno di un accesso costante e privilegiato alle fonti di energia e quindi sia del petrolio iraniano che di quello saudita: il gas e il petrolio prodotto dai due paesi fa gola alla Cina, anche perché la produzione iraniana e dell’Arabia Saudita avviene in territori più vicini al paese asiatico e consente la
costruzione di oleodotti e metanodotti che partendo dai giacimenti potranno direttamente servire il territorio cinese.
Ma vi è di più: l’accordo ricuce i rapporti all’interno del mondo islamico e può potenzialmente portare al raffreddamento dei conflitti in corso in quest’area, a cominciare da quello dello Yemen, per passare poi all’area libanese e siriana, allentando la presa su questi territori da parte degli Stati Uniti e di Israele, contenendo l’espansionismo turco, un pericoloso concorrente per i due paesi islamici. Inoltre, in un mondo ormai multipolare dove, come la guerra ucraina dimostra, il possesso e l’accesso all’atomica è garanzia essenziale di autonomia e di sicurezza, potere – anche se in prospettiva – accedere all’arma nucleare è considerata una garanzia e l’Iran, non va dimenticato, è a un passo dal possedere l’arma nucleare e potrebbe facilmente disporre di vettori idonei. Ecco perché l’Arabia Saudita guarda oggi all’attività iraniana di costruzione dell’atomica con un sempre minor sospetto, pronta a fare di questa disponibilità una garanzia complessiva e comune, all’interno di un’alleanza fra paesi islamici che fanno fronte comune all’interno di un mondo ormai multipolare.
Sono queste le possibili ragioni dell’accordo fra Iran e Arabia Saudita che va guardato con attenzione e promette conseguenze imprevedibili, ma certamente e importanti sullo scacchiere internazionale, capaci di scardinare il progetto egemonico degli Stati Uniti che in questo momento sono il principale obiettivo della politica estera cinese, la quale,
muovendosi con prudenza e lungimiranza, mira a creare le condizioni più ampie possibili di un mondo multipolare.
Questa politica è testimoniata dal rafforzamento dell’area dei Brics della quale la Cina fa parte e nella quale svolge un ruolo rilevante.
L’importanza e le conseguenze del successo di questa strategia sono inequivocabili e risiedono nella forza dei paesi che fanno parte dei Brics i quali si sono tutti astenuti nel votare pronunciandosi sulla mozione di condanna della Russia sulla guerra Ucraina e detengono nel loro insieme il 40% del Pil e del commercio mondiale.