L’uso strategico della fame

La guerra in Ucraina, bloccando le esportazioni del paese, ha portato per ora il prezzo del grano da 260 dollari alla tonnellata a 436 dollari, (e il prezzo è destinato a salire ancora), questo mentre derrate di grano, mais, orzo, marciscono nei silos, vengono distrutti o diventano prede di guerra. Analoga sorte subisce la produzione di olio di girasole. Bisogna tenere conto del fatto che prima della guerra il 75% del Pil del Paese proveniva dal settore agricolo: Kiev copriva il 12% di grano, il 13% di orzo, il 15% di mais e oltre il 50% di olio di girasole dell’esportazione globale nel mondo, soprattutto verso il Medio Oriente e il Nord Africa. Si stima ora che, il 30% dei campi del Paese resterà inseminato, soprattutto nelle regioni più interessate dall’occupazione russa e dagli scontri tra i due eserciti. L’area di semina primaverile dell’Ucraina potrebbe essersi dimezzata rispetto al 2021, riducendosi, anche a causa della siccità, a 7 milioni di ettari rispetto ai 15 milioni previsti prima dell’invasione russa. Gli agricoltori avrebbero seminato un totale di 6,5 milioni di ettari di grano invernale per il raccolto del 2022, ma l’area dove avverrà il raccolto potrebbe essere solo di circa 4 milioni di ettari a causa della guerra. Particolarmente grave la situazione nella regione di Mykolayiv, a Sud dell’Ucraina, nei pressi di Odessa, che incide per il 7% della produzione nazionale di olio di girasole, per il 5% della produzione nazionale di grano e per l’1% della produzione nazionale di mais, dove i campi sono sconvolti da scontri particolarmente duri, disseminati di mine e proiettili inesplosi.
Tuttavia, la situazione è ancora più grave se si considera che manca il combustibile per le macchine agricole, a causa della distruzione dei depositi, dell’assenza di forniture anche per il blocco dei porti, e tenendo conto che i carburanti stoccati per i lavori agricoli primaverili sono stati dati all’esercito ucraino per i mezzi militari. Mancano poi i fertilizzanti che provenivano dalla Russia e dalla Bielorussia, anche considerando che prima della guerra l’economia dei tre paesi era interconnessa e reciprocamente dipendente per ciò che riguarda soprattutto il settore agricolo. Disastrosa anche la
situazione che riguarda il comparto dell’ortofrutta, pertanto il paese dovrà vivere di aiuti provenienti dalla U. E. e dagli Stati Uniti.
Ma anche qualora le sue strutture produttive fossero intatte, i terreni liberi e coltivabili, il paese con circa 7 milioni di sfollati (si calcola 1 milione verso la Russia, il resto in occidente) non avrebbe manodopera sufficiente per attendere i lavori agricoli, ancor meno sarebbe la disponibilità tenendo conto degli uomini alle armi: oggi la maggior parte dei piccoli agricoltori si trova al fronte. Il calo della produzione agricola dell’Ucraina non costituisce una minaccia immediata alla sicurezza alimentare europea, dal momento che l’U. E. dipende solo in parte dalla sua produzione cerealicola, anche se, in particolare, le carenze di grano cominciano a farsi sentire;così non è per il resto del mondo. È anche su questi fattori che puntano i russi, usandoli come armi a volte più potenti dei missili e dei cannoni, mentre il prezzo del grano continua a crescere insieme a quello dei fertilizzanti, come pure i prezzi delle altre granaglie.
(per vederla meglio visualizzare il pdf)

La guerra l’Europa e il mondo

La stampa di guerra dell’occidente ci presenta il mondo coalizzato contro la Russia e quest’ultima isolata, ma le cose non stanno esattamente così. Se è vero che la NATO è riuscita a riunire una coalizione di paesi contro la Russia che forniscono armi e aiuti all’Ucraina è anche vero che la maggior parte del mondo non è solidale con questa azione e con le sanzioni e lo si comprende bene se solo si considera che Cina ed India sostengono la Russia piuttosto che l’Occidente e i paesi del BRIK, molti paesi arabi (anche alleati degli USA) e africani fanno altrettanto. A fronte della grande solidarietà
mostrata verso gli ucraini in Europa e alla tanta accoglienza di profughi il resto del mondo si è reso conto che il trattamento riconosciuto ai profughi ucraini, bianchi ed europei, è ben diverso da quello riservato dall’Europa alle popolazioni del resto del mondo, asiatiche, africane, magrebine, subsahariane e ne ha tratto le conseguenze: è bastato vedere come sono stati trattate le persone non ucraine in fuga da quel paese a causa della guerra o pensare ai tanti migranti che attraversano il Mediterraneo o percorrono la rotta balcanica.
È questo il motivo per il quale sempre più sono i paesi che aspirano ad un mondo multipolare e vedono nella Russia un paese che può fornire il grano e i cereali mancanti sul mercato, vedono nella lotta del rublo contro il dollaro una battaglia verso la quale essere solidali, si attendono che la Russia riesca a mettere alle corde gli USA e i suoi alleati, non dimenticano le avventure coloniali britanniche e francesi. Rafforzano la posizione russa sul mercato dei cereali decisioni come quelle dell’India, seconda produttrice mondiale di grano, che pone il blocco all’esportazione, di fatto costringendo i
paesi in carenza alimentare a rivolgersi alla Russia la cui produzione nell’anno precedente è andata molto bene, per cui dispone di eccedenze, oltre alle derrate conquistate e quindi riuscirà a guadagnarsi la riconoscenza di questi paesi che
vedono nel superamento di una possibile crisi alimentare un motivo di stabilità, sopratutto se, come l’Iraq, hanno visto bruciata la loro produzione dal caldo torrido. Un quadro molto complesso nel quale l’Ucraina, i cui porti sono bloccati, non sarà uno degli attori. La guerra in Ucraina, se ha partorito il nazionalismo ucraino, ha anche sdoganato il terzomondismo di molti paesi. Una prova evidente viene dai paesi produttori di petrolio e dall’OPEC che si sono rifiutati di aumentare la produzione per far fronte all’embargo verso il petrolio russo e alle sanzioni; l’Arabia Saudita rifiutandosi di rispondere alla chiamata telefonica di Biden, mentre, non vergognandosi, gli Usa si sono rivolti al Venezuela per essere aiutati, contro il quale hanno elevato durissime sanzioni, ricevendone in risposta un no e la rinnovata solidarietà di Maduro alla Russia.
Occorre prendere atto che la guerra Ucraina sta modificando il quadro politico e strategico, riorientando il flusso dell’energia, l’accesso alle materie prime, ridisegnando equilibri e relazioni dalle quali ne esce un’Europa maggiormente coesa sul piano politico, si direbbe, spinta ad una coesione necessaria, ma vassalla degli USA e con un’economia subalterna ai centri di produzione asiatici nei quali si sposta il motore dello sviluppo.
In questa situazione la vittoria di Pirro non è quella della Russia malgrado che questa abbia visto fallire le proprie operazioni militari in Ucraina, o che comunque deve significativamente ridimensionare le proprie aspirazioni sul campo di battaglia, ma la politica degli Stati Uniti, guidata da una mancata presidente frustrata (Hilary Clinton) e dalle lobbie e dai circoli militari che la affiancano. A pagarne le conseguenze è il popolo dell’Ucraina, infettato di patriottismo e di nazionalismo revanscista, che è stato indotto dalle male arti di inglesi e statunitensi a combattere una guerra per procura che frantumerà comunque il paese e che lo porterà a pagare un costo incalcolabile di vite umane, il cui volume è impossibile da quantificare perché, mentre la stampa occidentale informa delle perdite militari russe, quelle dell’Ucraina sono segretate.

Fame ed emigrazione

Non ci sono dubbi, tuttavia, che complici anche le condizioni climatiche, l’afflusso di profughi dal resto del mondo verso l’Europa continuerà ed anzi crescerà sotto la spinta delle difficoltà alimentari. Ad essi, come si è detto, si sommano i profughi ucraini: più dura la guerra, maggiori saranno i costi che i diversi paesi occidentali dovranno sostenere per assisterli. Alla lunga il divario di trattamento tra questi e coloro che vengono dal resto del mondo non potrà che far esplodere le contraddizioni tra gli stessi profughi e la crisi demografica della gran parte dei paesi occidentali spingerà questi ultimi verso politiche di integrazione degli ucraini nel tessuto economico produttivo e sociale, in quanto ritenuti più ”compatibili” con le popolazioni autoctone, con il risultato di alimentare lo spopolamento del paese d’origine.
In tal modo una nazione e una patria appena nata pagherà un prezzo altissimo per questo parto, consegnando alla popolazione superstite un paese disertificato e raso al suolo nelle sue strutture produttive e sociali. Inoltre, le reazioni della popolazione alla guerra, diversificate rispetto ai diversi territori, mostrano disponibilità differenti verso
l’occidentalizzazione del paese, la cui popolazione superstite, a guerra finita, dovrà fare i conti con una componente nazionalista e di destra che ha trovato nella guerra un brodo di coltura nel quale crescere in numero e peso politico e che si salda con le posizioni conservatrici della Chiesa Ortodossa Ucraina Autocefala e del suo clero, molto diffusa nella società prima della guerra. Del resto queste due componenti politiche hanno un terreno di saldatura nei cappellani militari che hanno svolto il ruolo di “commissari politici” nei battaglioni della guardia nazionale e nei battaglioni dichiaratamente neonazisti. Questo blocco che non nasconde la propria avversione al liberalismo occidentale e ai suoi valori e perciò non mancherà di condizionare in modo rilevante la vita politica ucraina e renderà problematica l’adesione all’U. E. A guerra
finita non tutto potrà essere perdonato alla classe politica del paese, al suo populismo, alla visione autocratica delle istituzioni, compreso il rifiuto di valori fondamentali di libertà e uguaglianza al venir meno delle esigenze belliche.

G.C.