Patè de foi

Macron è stato rieletto con il 58,5% dei voti, grazie ai meccanismi elettorali della Quinta Repubblica, ma ricorda le oche utilizzate per fare il paté de foi, le quali per farle ingrassare, vengono inchiodate con un piede a terra. La vittoria è stata possibile grazie all’indispensabile sostegno fornito degli elettori di Jean-Luc Mélenchon che certamente condizionerà il suo sfrenato liberismo e lo costringerà a scendere a patti sulle politiche sociali; è infatti pensabile che il neopresidente preferirà concentrare gli effetti del consenso sulla politica estera della Francia e dell’Europa e cercherà di approfittarne per dare una sterzata alla politica estera dell’Unione, prendendo le distanze dall’alleato americano e soprattutto dalle trame inglesi tendenti a dividere l’Unione.
Su quali saranno gli effetti in politica estera della sua rielezione, per il momento non si possono che formulare ipotesi ed auspici e quindi torneremo a concentrarci per valutarne gli effetti più immediati. Ciò che preme è l’analisi del voto attraverso il comportamento degli elettori perché da questo si possono ricavare interessanti elementi di valutazione sugli umori, i comportamenti e le aspettative della popolazione francese, sottoposta a una propaganda guerrafondaia capillare e martellante, a fronte dell’emergere di minacce serie all’occupazione, al lavoro, al tenare di vita, alle libertà politiche, alle prospettive di pace per il futuro.

Il risultato delle primarie

In occasione del ballottaggio di domenica 24 aprile Macron ha ottenuto il 27,84 per cento dei voti, Marine Le Pen, il 23,15 per cento dei sostegni e ha avuto accesso al ballottaggio a fronte del 22% dei voti a Mélenchon, titolare di un ‘pacchetto’ elettorale da 7,7 milioni di voti di soli 400 mila voti inferiore. Si può quindi incontestabilmente affermare che il leader di Insoumise ha portato la sinistra un passo dal ballottaggio, con un panorama politico che vede i socialisti ridotti al lumicino. Ciò è stato possibile grazie alla costruzione paziente e sistematica di un programma elettorale condiviso e discusso alla base, caratterizzato da un ottimo radicamento territoriale e da una piattaforma organizzativa ben rodata frutto di proposte chiare e riconoscibili. Mélenchon vorrebbe sostituire il ministero dell’Agricoltura con quello dell’Alimentazione per indicare che occorre uscire dalla logica produttivistica nel settore per proporsi di rispondere alle richieste di una alimentazione “bio”, che necessita di buoni stipendi. L’obiettivo è dunque, giustizia sociale ed ecologismo. Mélenchon propone l’abbandono del nucleare e di ottenere il 100% dell’energia da fonti rinnovabili, chiudendo le centrali nucleari e opponendosi al piano di Macron di diffusione dei piccoli reattori. Per attuare questi piani occorrono cinquemila operai specializzati per smantellare le centrali nucleari e trecentomila contadini per poter fare dell’agricoltura biologica su larga scala. A costoro occorre fornire un adeguato insegnamento professionale e quindi fare investimenti nella ricerca e nella formazione, inclusa quella di base. La Francia ha cinquantasei reattori nucleari, ma quasi nessuno fa ricerca su come ridurre la radioattività delle scorie. Non si può dunque finanziare solo la ricerca applicata.
Occorre investire in tre settori fondamentali: il mare, lo spazio e il digitale, le tre direzioni del futuro. Una delle principali proposte è quella della regola verde da inserire in Costituzione: non si deve prelevare dalla natura più di quanto essa è in grado di rigenerare. La riconversione ecologica va gestita con la pianificazione (una parola che sa di sovietico). La giustizia sociale deve accompagnare la riconversione ecologica, ridurre l’orario di lavoro, aumentare i salari un minimo di 1.400€ netti mensili, riformare la pubblica amministrazione come garante in ultima istanza del pieno impiego per tutti, per affrontare i bisogni sociali non soddisfatti. Occorre affrontare l’emergenza abitativa con la requisizione degli alloggi sfitti.
Su questo programma i militanti si sono mobilitati, consapevoli che bisognava portare al voto due terzi dei francesi che alle ultime elezioni amministrative non avevano votato; tra questi gli abitanti delle periferie e delle zone rurali, delle città di provincia; mentre i ricchi hanno votato, le classi popolari e i giovani si sono astenuti. L’erosione della rappresentanza democratica fa il gioco dell’oligarchia che gestisce la Quinta Repubblica e perciò i militanti di Insoumise hanno lanciato una campagna di contatti porta a porta, secondo le modalità sperimentate da Obama per bussare a un milione di case e iscrivere un milione di persone nelle liste elettorali, organizzato weekend formativi in una decina di città per preparare i militanti a questo compito.
Mélenchon, ha scelto di contrastare l’islamofobia che pervade la campagna elettorale della Le Pen e perciò è stato accusato di “islamo-gauchista”. Alla Le Pen, come a Macron, Mélenchon ha risposto con convinzione che ci sono bel paese sei milioni di musulmani francesi, non seconda o terza generazione di immigrati, ma “francesi” a tutti gli effetti.
Questa strategia sembra essere stata in grado – visti i risultati – di mobilitare e mettere insieme i piccoli borghesi declassati della provincia (i gilets jaunes), i banlieusards, figli o nipoti di immigrati, e i giovani precari usciti dalle università. All’appello mancano purtroppo gli operai delle cui rivendicazioni il candidato della sinistra non sembra essersi fatto carico a sufficienza.
Un programma al quale dovrebbe guardare con interesse tutta la sinistra riformista europea, e in particolare quella italiana, incapace di autonomia culturale, politica, di darsi un programma credibile e una strategia vincente, com’è dimostrato dai risultati elettorali e che ha scelto come ceti di riferimento gli abitanti dei centri urbani, prova ne sia che
guarda a Macron come partner politico ideale.

I risultati elettorali

Il bottino dei voti di Insoumise ha costituito il serbatoio al quale Macron ha attinto. Del resto, Mélenchon aveva dichiarato “non un voto alla Le Pen”, ben sapendo che i suoi elettori sarebbero stati quantomeno restii a sostenere l’attuale capo dell’Eliseo, noto neoliberista, di centro e moderato. Se, malgrado ciò, molti di loro lo hanno votato è perché si attendono delle contropartite e soprattutto si apprestano ad affrontare le legislative nel tentativo di stabilire una coabitazione con il Presidente; se si guarda al discorso pronunciato dopo la vittoria sembra che l’eletto se ne sia reso conto.
Macron è consapevole che mai la destra è stata così vicina alla vittoria, e non solo perché ha raccolto il 41,5% dei voti; mai il numero degli astenuti è stato così alto, ben 13 milioni (30% degli elettori), e 5 milioni sono state le schede bianche. La destra ha assunto la difesa della Francia impoverita, delle campagne, degli operai vittime delle crisi aziendali;
ha fatto della lotta antislamica della Francia profonda una bandiera, è radicata sui territori, quindi, punta anch’essa alla vittoria alle elezioni politiche che si terranno 12 giugno e il 19 (secondo turno).
Anche se nelle elezioni politiche è probabile un ritorno di gollisti e socialisti, sospinti dai rapporti clientelari e dal radicamento territoriale, il Presidente dovrà scegliere in che direzione guardare per una coabitazione che si esprimerà in una prima fase nella formazione del nuovo governo, che probabilmente rispecchierà una maggiore attenzione ai problemi dell’ecologia e dell’ambiente, ma dovrà anche annunziare di rivedere il progetto di riforma delle pensioni, la politica energetica e quella del lavoro. Se prima delle elezioni Le Pen era la peste e la sinistra il colera, ora sventolare pericoli non serve più: bisogna passare alla fase di proposta, ricucendo la frattura generazionale con l’elettorato di sinistra che, votando per Macron, si è turato il naso, ricordarsi che gli elettori del Presidente sono concentrati nei centri urbani delle grandi città e cercare di recuperare quelli che vivono nelle aree urbane delle città di medie dimensioni che hanno votato Mélenchon.
Il Presidente sa bene che, guardando ai voti assoluti raccolti nel primo mandato, questa volta mancano all’appello ben 5 milioni di voti. La campagna elettorale per le elezioni politiche costituisce di fatto un terzo turno elettorale che comincia oggi, anzi è già cominciato, ed è articolata su tre poli: anche dopo il voto di giugno il Presidente non potrà che guardare a sinistra, ma dovrà cercare soluzioni almeno peralcuni dei temi sociali che la destra difende, recuperando un rapporto con operai e contadini. È questa la grande sfida alla quale è chiamato non solo Macron, ma lo stesso Mélenchon che deve dimostrare la solidità e la compattezza di Insoumise nel difendere il suo programma e tenere insieme il consenso raccolto.

Macron Presidente

Se il terreno di divaricazione è evidentemente costituito dalle politiche sociali, quello di incontro è certamente la politica estera che avvicina Macron alla maggioranza dell’elettorato, soprattutto se il Presidente accetterà di battersi per una politica europea che prenda le distanze da Washinton e Londra, anche e soprattutto a riguardo della guerra in Ucraina.
Di fronte alla politica divisiva dell’U. E. e violentemente antieuropea della Gran Bretagna, la Francia è il solo paese in grado di fare argine, rivitalizzando l’asse con Bon del Trattato franco-tedesco e tentando di attivare quello con l’Italia, recentemente firmato, sottraendo l’Italia al servilismo e all’appiattimento sulle posizioni USA.
Su questo terreno si misurerà la portata e l’importanza per l’Europa della vittoria di Macron. I 5 “anni diversi” del suo prossimo mandato, annunciati dal Presidente nel suo discorso post-elettorale, passano per una decisa opposizione alla politica della Gran Bretagna, contrastando le iniziative di Johnson in ambito NATO e sullo scacchiere politico
internazionale, ricordando al britannico che l’Inghilterra è un’isola e che Macron rappresenta un continente, facendo notare a Biden che l’Europa ha interessi propri, diversi da quelli degli Stati Uniti.
Solo a queste condizioni Macron potrà giocare di sponda con la Russia e aprire una trattativa reale, realizzando l’ambizione di un’Europa a trazione francese, ma fondata su un nucleo forte del continente che mette ai margini i sovranisti, del resto sconfitti proprio nello stesso giorno in Slovenia ( 41% agli europeisti). Nell’attuare questa sua politica
che è del resto coerente non solo con il suo programma politico e le sue ambizioni personali, ma anche con le posizioni storiche e con gli interessi della Francia, Macron non solo ha l’occasione di fare finalmente i conti con la Gran Bretagna e lo scapigliato e baldanzoso leader londinese, ma anche di ritrovare una prospettiva di sviluppo sostenibile per il suo paese.
Se è vero che il nucleare francese mette relativamente al riparo il paese dal ricatto energetico, non altrettanto è per il suo maggiore alleato tedesco, in crisi non solo economica, ma di leadership; mettere a disposizione dei contadini francesi fertilizzanti a basso costo, materie prime per l’industria, mercati appetibili per i prodotti francesi è un obiettivo condivisibile. Tutto questo passa per la pace in Europa e serve per consolidare la direzione francese della politica europea, caratterizzandola per lungimiranza. La missione è indubbiamente difficile e fa tremare le vene ai polsi, ma va tentata.
Le elezioni francesi proiettano interessanti effetti anche sull’Italia e non solo in relazione alla sua collocazione internazionale nella crisi ucraina, ma per i riflessi di quanto avvenuto nello schieramento di destra francese rispetto ai partiti italiani. L’emarginazione della destra radicale dimostra che il radicalismo non paga e, d’altra parte, una destra divisa
parte sconfitta e incapace di governare, ridotta a un ruolo di testimonianza ed esclusa dal potere. Il suo punto di forza è uno solo: al momento non esiste in Italia un partito riformista di sinistra degno di tal nome.

La Redazione