UNA STORIA SBAGLIATA

Sergio Luzzatto, Giù in mezzo agli uomini. Vita e morte di Guido Rossa, Einaudi 2021

Quando ho cominciato ad usare la
dinamite,allora credevo anch’io in tante cose… in
tutte, e ho finito per credere solo nella dinamite

(“Giù la testa”, 1971)

In un convegno nel nostro territorio, ormai diversi anni fa[1], lo storico Salvatore Lupo, aprendo il suo intervento, esplicitò un concetto basilare per chiunque sappia come si ricerca, si scrive, insomma come si fa storia. Ma che non pare essere così per un’ampia fetta di popolazione. E, certamente, lo è ancora di meno nel panorama mediatico. Il concetto era ed è abbastanza semplice, ovvero che lo storico non può preoccuparsi di essere più o meno “divisivo” (come si usa dire oggi); non è quello il suo compito, e, anzi, può darsi che, proprio il suo rimestare negli archivi, possa riattizzare gli animi.
Mi venivano in mente queste parole durante la lettura dell’ultimo lavoro di Sergio Luzzatto, dedicato a Guido Rossa, l’operaio della FIAT ucciso dalle Brigate Rosse nel 1979.
Il lavoro che fa Luzzatto, autore di alcuni testi fondamentali per la storiografia italiana[2] è, appunto, quello di uno storico.
Ovvero: documentarsi attraverso le fonti disponibili, ricercare testimoni, ovvero le famose “fonti orali” (sempre fonti sono, ovviamente questo vale per la storia più recente), costruire un percorso coerente e non dare nulla per scontato.
Sono trascorsi 42 anni dall’uccisione di Guido Rossa e la sua trasformazione in una icona non solo non ha reso giustizia alla persona in carne ed ossa, ma ha anche fatto aggio sulla necessità di conoscere i fatti, i contesti, la storia, insomma, della violenza politica in Italia negli anni ‘70 del secolo scorso.
Beninteso, vi sono ottimi e numerosi lavori sulla violenza politica, sul terrorismo.[3] Purtroppo non sempre molto frequentati e c’è ancora scarsa conoscenza, nel pubblico più ampio, e nel panorama mediatico del dibattito storiografico che è giunto ad un discreto punto di maturità.
Stiamo parlando di fatti che risalgono ad oltre un quarantennio addietro. Se si pensa che, a pochi anni (spesso pochi mesi) dalla fine del secondo conflitto mondiale, quella fase era già stata, perlomeno in parte, ampiamente storicizzata e trattata con gli strumenti dello storico, capiamo meglio di cosa stiamo parlando.
Luzzatto non è uno storico neutro, figura che non esiste (e della quale il compianto Enzo Collotti aveva scritto in un suo testo fondamentale[4]). Prende posizione, ma non si accontenta dell’agiografia. Uno storico non lo deve mai fare.
Le agiografie spiegano se stesse e non aiutano a capire. Quindi, Guido Rossa. La sua storia. Si parte da quella della sua famiglia, dai nonni. Dai genitori, con l’esperienza importante della mamma, balia da latte, che emigra a Torino, [5] raggiunta dal padre.
Il personaggio di Guido è inserito nella sua epoca, ma è un tipo particolare, complesso, un po’ ribelle e in cerca d’adrenalina. Amante della Montagna, scalatore e poi paracadutista durante il servizio militare. Addirittura partecipa ad una spedizione che finirà in tragedia sull’Himalaya. Arriva relativamente tardi alla politica.
Questo percorso di avvicinamento è importante. La morte di Rossa non è un destino inscritto nella vita di un “martire”.
La sua partecipazione al sindacato e al partito sarà estremamente coerente, profonda e anche capace di analizzare i cambiamenti di fase economica.
L’acribia dello storico serve a portare conoscenze dove spesso vi sono impressioni non supportate da un metodo scientifico.
Luzzatto affonda le mani anche nella parte più dolorosa e meno pacificata della nostra storia “recente”: quella della violenza politica. Un fenomeno che in Italia sarà particolarmente presente e duraturo. Una violenza che si confronterà con le bombe nelle piazze e con lotta armata portata avanti da tanti gruppi e gruppuscoli (dei quali i più famosi saranno le Brigate Rosse e Prima Linea).
Come già Giampaolo Pansa e Giorgio Bocca, nelle loro inchieste avevano evidenziato, la violenza di sinistra non avverrà nel vuoto. Ci saranno consensi, ambiguità, zone grigie.
Per il Partito Comunista Italiano, avviato con il percorso del compromesso storico verso un dialogo con la DC, l’avversario politico storico, per farsi forza di governo, la presenza di forze politiche che si richiamavano alla stessa origine ideologica e che si manifestavano con le armi, aveva un carattere devastante.
Qui Luzzatto ricorda il rifiuto, da parte della sinistra parlamentare, di considerare la galassia della violenza politica come un ramo della propria storia. Fino ad addebitare alle Brigate Rosse l’epiteto di Brigate Nere. E ritenere tali soggetti dei provocatori, di destra. Dei fascisti. E fa bene lo storico a ricordare l’articolo di Rossana Rossanda, molto citato e poco compreso (e spesso completamente frainteso) sull’”Album di famiglia”.[6]
L’uccisione di Guido Rossa avvenne quindi in un contesto assai poco pacificato ed ambiguo. La storia è nota. La denuncia da parte di Rossa di un dipendente della FIAT accusato di aver distribuito volantini delle BR in fabbrica.
A premessa di questa denuncia, Luzzatto sviscera, in maniera esemplare, la svolta del PCI verso la collaborazione con le forze dell’ordine. La scelta di difendere lo Stato. Una vera e propria rivoluzione rispetto alla sua storia.
Alla denuncia di Rossa seguirà la condanna delle BR, l’agguato e l’uccisione.
Ma anche analizzando questa fase, tragica e devastante (un gruppo armato che si richiama al comunismo uccide un operaio militante del PCI e sindacalista), Luzzatto non dismette mai i panni dello storico. E scava anche nelle modalità dell’agguato (Le BR avrebbero dovuto “solo” gambizzare Guido Rossa) proponendo una dinamica dei fatti veramente notevole per acume e sottigliezza.
Lo storico alla fine non compulsa solo documenti, ma, come scriveva Marc Bloch, li deve anche far parlare e, a volte, deve pure avere il coraggio dell’interpretazione originale (previo avvertimento che di interpretazione si tratta).
Questo saggio non è un giallo, ma non voglio qui rivelare quale sia questa interpretazione invitando davvero alla lettura di un’opera scritta in maniera esemplare.
Ai funerali, un operaio, ammetterà che Guido Rossa era stato lasciato solo (cosa che affermerà anche Lama dal Palco) per tutta una serie di atteggiamenti che non riesce a pronunciare per la commozione riuscendo solo a dire “scusaci!”[7].
Certamente questa pagina tragica per la storia del movimento operaio segnerà la vera fine delle Brigate Rosse e della lotta armata, ma segnerà una frattura incolmabile nello stesso movimento operaio.
Qualche anno più tardi anche l’impegno politico tout-court diventerà un pallido ricordo e la marcia dei 40.000 chiuderà una intera epoca
Un libro davvero importante per la storia d’Italia e per un periodo denso e importante per il quale sarebbe davvero venuto il tempo di uno studio approfondito e senza remore.
Grazie a Luzzatto per questo lavoro che segna un punto fondamentale per la ricerca storica.

[1] Il convegno “La tradizione antifascista a Empoli” si tenne il 23 aprile del 2004 presso il Cenacolo degli Agostiniani ad Empoli. https://www.empoli.gov.it/comunicato-stampa/la-tradizione-antifascista-empoli-un-convegno-agli-agostiniani?page=3928
[2] Tra gli innumerevoli lavori di Luzzatto è da ricordare perlomeno Il corpo del Duce, Einaudi. 2011. Uno studio innovatore e che è ormai diventato un classico.
[3] Tra le numerosissime pubblicazioni sulla lotta armata e sul terrorismo, non tutte ugualmente valide, si segnalano in particolare: D. Steccanella, Gli anni della lotta armata. Cronologia di una rivoluzione mancata, Bietti, 2013 e V. Satta, Odissea nel caso Moro. Viaggio controcorrente attraverso la documentazione della Commissione Stragi, Edup, 2003.
[4] E. Collotti, Fascismo fascismi, Sansoni, 1989, p.4 : “Come se fosse possibile (e finanche auspicabile) isolare politica e cultura, tanto più in un settore così sensibile ai due versanti com’è quello della storia contemporanea”.
[5] Luzzatto affronta qui la storia, ancora poco conosciuta, delle balie da latte nel nord Italia. Tale fenomeno socio-economico assai importante si presentò anche in Toscana,. Per gli studi pioneristici su tale tematica vedi i numerosi e fondamentali lavori di Adiana Dadà.                                                                                                                                 [6] L’articolo di Rossana Rossanda fu pubblicato sul “Manifesto” del 28 marzo 1978, a cui seguì un altro corsivo, del 2 luglio 1978 intitolato esplicitamente “L’album di famiglia” in risposta alle polemiche suscitate. Per la lettura dei 2 articoli vedi https://ilmanifesto.it/br-e-album-difamiglia/ e https://ilmanifesto.it/il-veterocomunismo-della-lotta-armata/ .
[7] Il video, citato da Luzzatto, è visibile su https://www.youtube.com/watch?v=fknBWPPPahg. La testimonianza dell’operaio è al min. 17.

Andrea Bellucci