UN LUNGO TRENTENNIO POSTMODERNO – ASCESA, TRIONFO E CADUTA DEI 5 STELLE

Quando nacquero i 5s la reazione della stampa e dei media in generale, per tacere dei partiti all’epoca esistenti, fu tutta improntata alla condanna “morale”.
Non uno straccio di analisi seria del perché in quel preciso momento storico venisse alla luce un composito movimento politico con caratteristiche originali che poi sono state copiate da tutte le realtà politiche (l’uso della rete, dei social, dello streaming).
Al massimo si sparavano le solite boutade dietrologiche sul complotto universale con le quali, in genere, si cerca di spiegare tutto ciò che non si capisce o che non rientra in una visione della realtà che funziona solo nelle storie di Sherlock Holmes.
Oppure ci si è soffermati per anni sulla forma del movimento, antidemocratica in quanto non corrispondente alle forme partito tradizionali.
Come se, dal 1945 in poi, le forme partito non si fossero trasformate in maniera totale. E come se la nascita di un soggetto politico dovesse rispondere ad una forma precostituita e non, come sempre accade, dovesse invece quest’ultima ad adattarsi ad una realtà in procinto di nascere.
Addirittura, le critiche provenivano anche dai settori della destra post-1a repubblica, quella facente capo ad un partito-azienda nato per la volontà di una persona. Anche nel caso di quel partito, novità assoluta, quando nacque, in Italia e in Europa, le analisi erano tutte virate dal punto di vista del giudizio etico.
In tutti questi casi si sono adoperati paroloni come fascismo, populismo, addirittura nazismo nei confronti del M5s. Come è andata a finire? Che tutto il tempo passato a lasciare invettive contro i 5S è stato tempo perso e non più recuperabile.
Mentre adesso si cerca addirittura di fare dell’asse PD-5S il nuovo orizzonte politico della “sinistra”. Ma i buoi ormai sono scappati, quella fase è terminata e la normalizzazione attuale pare premiare, nei sondaggi (che contano in quanto misurano ma, soprattutto, creano anche la stessa realtà) un partito di Destra-destra come FDI,
che risponde ad un assetto politico riconoscibile dagli elettori e che, molto  intelligentemente, è rimasto all’opposizione.
Fare politica non è lamentarsi del mondo crudele, chiusi in una specie di “suprematismo morale”, ma, dovrebbe essere, la capacità di leggere il reale con l’obiettivo di trasformarlo. Altrimenti o si rimane velleitari e ininfluenti oppure ci si adegua all’esistente.
Ora, l’ultimo trentennio è stato caratterizzato da una sempre minore considerazione della politica come luogo di partecipazione e progettuale, di scontro e di incontro delle idee e della prassi.
La politica è divenuta invece accomodamento all’esistente (pura amministrazione in molti casi) lasciando alle ali più “estreme” (il virgolettato è d’obbligo) il velleitario compito di prodursi in utopie considerate irrealizzabili.
L’aspetto curioso, ma non troppo, è stata la saldatura di questa perdita verticale di importanza del “fare politica”, da ambedue i lati, con il moralismo spicciolo (ereditato al periodo delle c.d. “mani pulite”).
E con il moralismo è stato guardato al fenomeno dei 5S, come se essi fossero sorti dal nulla e non, invece, il risultato proprio di quella caduta di cui sopra.
Anni di smobilitazione strategica e tattica, dopo il disastro di Genova 2001 (che di questa smobilitazione è stata la cartina al tornasole. Un movimento composito e confuso, pieno di buone intenzioni- e anche di ragioni – ma completamente dimentico, ad esempio, delle minime questioni organizzative di un qualunque corteo), hanno dato fiato ad una visione smaterializzata, populista (nel senso peggiore del termine: il populismo dall’alto, dei media e dei giornali), odiatrice di qualunque struttura organizzata, tutta tesa verso le magnifiche sorti e progressive della “fine delle ideologie”.
Che cosa poteva nascere nel deserto creato in questi 30 anni? Il m5s, 10 anni fa, aveva catturato buona parte degli orfani della sinistra di massa, ma anche della destra, del centro.
Tutti quelli, insomma, rimasti senza una bussola, uno sguardo più ampio. Che avevano conosciuto della politica il lato peggiore, amministrativo e burocratico e dei “movimenti”, ugualmente nefasto, quello delle lotte “parcellizzate”, tipiche dei comitati. Lotte parziali senza sguardi d’insieme (era già grasso che cola il fatto che esistessero).
Un fenomeno che si era presentato, in maniera simile, decenni prima, quando alla ribalta salì il movimento dell’Uomo Qualunque, ma che, proprio grazie ad una politica fatta di partiti, strutture, lotte reali, si sciolse in poco tempo all’interno delle diverse collocazioni.
Qua è successo il contrario. Dal dileggio sistematico (e anche un po’ squadrista) messo in atto contro il M5S la politica, i partiti, si sono accodati al loro modus operandi nella comunicazione, nell’uso dei mezzi di comunicazione, nelle stesse battaglie.
Non è una novità, era accaduto lo stesso con “Forza Italia”. Altra forza politica nata dalla disgregazione della c.d “Prima Repubblica”. Dall’attacco quotidiano sulle questioni prettamente “morali” (e spesso moralistiche. Basti vedere i decennali titoli soprattutto di “Repubblica”) all’assorbimento di Berlusconi nell’area dei moderati, con cui fare accordi contro il nuovo nemico Salvini. Anche lui divenuto, nel frattempo, “accettabile”.
Non si tratta qui dell’ovvia considerazione, sopra accennata, del dover dialogare e confrontarsi con i soggetti diversi. Qui siamo di fronte all’omologazione di tutta la politica sulle questioni fondamentali dell’economia e del mercato, per differenziarsi su faccende se non secondarie, certamente appartenenti ad un’altra sfera, come ad esempio quella dei diritti civili, ovvero a quella parte della vita sociale per sua natura interclassista e universale.
Ed è proprio la mancanza di diversificazione sulle faccende basilari che ha fatto sì che l’attacco ai 5S sia stato sferrato dal lato morale, per poi decadere mano a mano che un progetto velleitario e inconcludente come quello di Grillo, si è confrontato con i luoghi reali del potere (politico).
Così la rabbia pre-politica che ha fatto da benzina per i Grillini, per sua stessa natura priva di qualunque sostanza realmente rivoluzionaria, si è spenta, disseminando i suoi ex-elettori o verso la destra-destra o verso quelle famiglie di appartenenza dalle quali erano partiti.
Le diatribe Conte/Grillo, con Grillo che ha ceduto perché spiazzato da un movimento ormai integrato (avendo espulso la sua parte più “radicale” di destra e di sinistra), possono essere interessanti non certo per il loro valore in sé. Ma poiché dimostrano il compiuto giro di boa di una realtà che non vedeva l’ora di essere accolta nel mondo degli “adulti”.
La questione fondamentale non è qui la morte o la nascita di questo o quel soggetto politico, spesso più impolitico di una bocciofila, ma il fatto che quella lunghissima fase postmoderna, aliena ad ogni visione ampia, all’analisi materialista, che pareva non finire mai ma, adesso, è in piena rotta di collisione con un paese sempre più frantumato da precariato, povertà, sfruttamento. Insomma, quella narrazione che è sembrata funzionare negli anni passati non è più sufficiente. È il concetto stesso di narrazione che non ha più presa, in quanto la realtà-effettuale si è ripresa i suoi spazi e la storia pure.
Se nei prossimi anni non vi sarà una risposta reale alle questioni materiali (salario, salute, casa, stato sociale) varrà la regola che nessun vuoto esiste in politica e questo sarà riempito, come già successo in passato, da forze che parranno rispondere (con il cinismo che gli è proprio) alle domande reali delle persone reali con formule semplificatorie, scioviniste, razziste (e certo non anticapitaliste, come, del resto, avviene dalla parte opposta).
Che sia morto il Movimento 5 stelle non è una gran perdita, ma i suoi eredi potrebbero essere molto peggio e, questa volta, fare sul serio.

Andrea Bellucci