CARA FIGLIA

Il caso di Saman, la ragazza scomparsa, probabilmente uccisa dai familiari perché si è rifiutata di dare il proprio assenso ad un matrimonio combinato avrebbe dovuto aprire una infinita serie di discussioni ma, nell’era del consumo immediato e dell’ipocrisia travestita da perbenismo politicamente corretto, abbiamo assistito solo ad un grande silenzio e la “palla” è stata lasciata alla cronaca e l’”interpretazione” alla destra. Innanzitutto sgombriamo il campo dagli equivoci, qua siamo di fronte ad una inchiesta per omicidio del quale vi è una ragionevole certezza da parte dell’autorità inquirente, ma su cui si sta ancora indagando. Il reato è uno dei più gravi del Codice Penale, ovvero l’omicidio. Non è intenzione di questo breve scritto trattare della vicenda sotto il profilo penale.
Si tratta invece di parlarne dal punto di vista politico ed indagare alcune questioni sulle quali pare evidente che ci si trovi di fronte ad un corto circuito tale da mettere in difficoltà molti punti di vista.
1) RELIGIONE. seppure parrebbe essere l’oggetto degno di maggiore attenzione essa non offre qui molti punti d’attacco se non per interpretazioni più generali che riguardano la maggior parte delle credenze. L’Islam, così come il Cristianesimo, l’Ebraismo, è una delle grandi religioni monoteistiche universali, nei cui libri possiamo trovare le indicazioni più disparate, spesso soggette ad interpretazioni che sono mutate nel corso degli anni. Vi è poi la divisione fra la religiosità popolare, e “colta”, la commistione con usi e costumi pre-esistenti o inglobati, la diversa strutturazione. Insomma la religione è un fenomeno culturale e storico al quale possiamo addebitare tutto e il contrario di tutto, ma non serve molto per approfondire contesti come quelli di cui stiamo parlando, se non declinandola in maniera specifica.
2) CULTURA . Il discorso sulla cultura non solo è complesso, ma fuorviante. Non esiste persona che sia di per sé portatrice della cultura di un intero popolo ed è anche difficile declinare quella stessa cultura in senso più generale. Nella società globalizzata le culture sono state da una parte spianate da usi e costumi (quelli del mercato) per cui troviamo le stesse marche, gli stessi negozi, le stesse modalità di acquisto nei posti più distanti fra loro. Ma, nello stesso tempo ci troviamo di fronte a caratteristiche specifiche di questa apparente uniformità.
– in primis la stratificazione di classe, che, per quanto possa riferirsi a società organizzate in maniera diversa (diversa ma non certo anticapitalista, neppure nelle strutture che sembrano mantenersi fedeli ad una certa prevalenza di presunti valori “spirituali”) è oggettivamente presente e incide in maniera importantissima sulla stessa concezione di cosa possa esser cultura;
– la insofferenza, aumentata negli ultimi decenni, di fronte al fallimento, o alla disillusione, provocata dall’adesione a valori “occidentali”, siano essi stati quelli del libero mercato o del socialismo. In entrambi i casi l’adozione di questi valori (si pensi a tutta la fase della colonizzazione e alla laicizzazione messa in atto nei paesi medio orientali e africani nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale) non ha fornito le risposte sperate. O perché l’aspettativa era eccessiva, o perché una parte di quelle risposte era troppo avanzata rispetto a situazioni concrete in cui viveva parte della popolazione. Situazioni concrete che disponevano anche di un loro codice culturale e consuetudinario (usanze arcaiche, riti tribali, credenze).
– La riscoperta dell’identità Questi codici, spesso ormai tralasciati o in via di superamento sono stati “riscoperti” o anche, spesso, letteralmente inventati (secondo la lezione di Hobsbawn in merito all’”invenzione della Tradizione” Dove al posto del Kilt potremmo mettere il Burka ) ma non per questo meno reali, al fine di sopperire allo smarrimento della trasformazione della società. Una trasformazione che spesso non solo è apparsa traumatica ma che, in moli casi, non ha portato neppure quel benessere diffuso che in occidente (perlomeno nei gloriosi 30) sembra aver fatto.
Questi incisi, molto superficiali, ci possono servire per capire che queste dinamiche, legate al sostanziale fallimento dell’adesione dei paesi che una volta venivano definiti “in via di sviluppo” ai valori “occidentali, hanno dato un contraccolpo epocale alla strada che pareva ormai tracciata fino a qualche decennio fa. In effetti, senza nulla togliere alle responsabilità specifiche della deriva neo-fondamentalista che ha colpito buona parte
dei paesi musulmani (altrimenti potremmo essere tacciati, e a ragione, di paternalismo) vi è da dire che le azioni dell’occidente sono state disastrose, soprattutto a partire dalla prima Guerra Mondiale, dove il cinismo delle potenze europee ha posto le basi per l’oggi. Basti pensare alla fine dell’impero Ottomano che era stato garanzia di stabilità per secoli e l’esportazione del nazionalismo in realtà che ne erano prive.
Questo nazionalismo, fondamentale per il processo di decolonizzazione, si era innestato su valori occidentali quali la laicità (nascita della Turchia) i diritti nati dalla Rivoluzione Francese (Algeria) ecc…ma è virato verso un fondamentalismo aggressivo e anche inedito nel momento in cui, come dicevamo sopra, è apparsa chiara la disillusione, caratterizzata anche dal perdurare del cinismo (nascita di Israele, la questione palestinese, l’appoggio occidentale ai paesi più fanatici e totalitari come l’Arabia Saudita).
Ebbene, questo groviglio storico che cosa ha a che fare con la vicenda di Saman? Il Pakistan non è certo uno staterello come quelli in balia dei colonialisti dei quali abbiamo appena accennato, ma è uno paese dove si è manifestato con maggiore virulenza il neo-fondamentalismo.
Ma anche il paese che, mentre dava supporto ad Al-Qaeda era coccolato dagli Usa che facevano la guerra all’Afghanistan per “cercare Bin-Laden” (che era in Pakistan!) in realtà per motivi geopolitici e strategici rivelatisi fallimentari.
Bene, anzi male, da quel paese ha origine la vicenda di Saman. Più che legata all’Islam, quindi, semmai alle “tradizioni” arcaiche le quai, abbiamo visto, sono mescolate con la contemporaneità, proprio per ribadire una identità sempre più smarrita nella globalizzazione e nella incapacità del capitalismo di dare risposte a tutto
l’essere umano.
Poi c’è, ovviamente, la mentalità “patriarcale”, o meglio, la sua rivisitazione, anche qui, in una inquietante chiave post e pre-moderna e che attanaglia tutta la famiglia, Il miscuglio di smartphone e social + il pensiero arcaico e arretrato. L’abbiamo già visto all’opera con il Pontificato di Giovanni Paolo II, che Le Goff chiamo “il medioevo più la televisione”.
Quello che c’è da dire, alla fine, è che queste usanze miserabili, in cui il predominio maschile si innesta su usanze riprovevoli non può aspettarsi nessun rispetto. Né storico (perché storico non è) né culturale (perché non ha nulla a che vedere con qualsiasi cosa voglia dire questa parola) né religioso. E certo non serve neppure per poter lavorare su una qualche forma di “egemonia” come nella Russia del 1917 dove si traduceva, agli inizi della rivoluzione, la parola “lotta di classe” con “jihad” per farsi comprendere dai popoli musulmani.
Il fatto che l’Italia abbia abolito il delitto d’onore nel 1981 non può esimerci dal condannare senza appello questa barbarie. Anzi, quella e questa sono 2 barbarie che rafforzano la condanna e certo non la diminuiscono, con la scusa di un qualche inopportuno senso di colpa.
E, fatti tutti i distinguo del caso, e tutte le analisi sociologiche e politiche, probabilmente non ci resta che chiudere con le parole di Gaber del lontano 1980:
“Speriamo che a tuo padre gli sparino nel culo, cara figlia”.

Andrea Bellucci