Nonostante negli ultimi giorni l’attenzione dell’opinione pubblica sia più che altro catalizzata dalle drammatiche immagini provenienti dal Giappone e dalle preoccupazioni che accompagnano la riforma della giustizia, vale la pena segnalare, riprendendo la più volte esaminata tematica del fine vita, che qualcosa di nuovo e di inaspettato si sta muovendo.
L’avvio del dibattito sul testamento biologico nel tentativo di soddisfare la Chiesa, turbata dai festini berlusconiani – fa registrare una prima significativa spaccatura nel fronte della maggioranza dove alcune personalità, da Ferrara a Bondi passando per la lobby dei medici facenti capo al Pdl, iniziano ad avanzare dubbi circa la reale applicabilità di una legge, che loro stessi ammettono essere piena di contraddizioni. Queste valutazioni non possono che dar forza ai reclami delle opposizioni che in maniera trasversale chiedono di rimandare il testo in Commissione per emendarlo e correggerne i vizi: uno su tutti quello che si riferisce al divieto di sospendere idratazione ed alimentazione. Dà da pensare che un Ministro della Repubblica veda con timore una fase ulteriore di dibattito e di perfezionamento che avverrebbe nell’ambito di un organo previsto in Costituzione. In altri termini non è accettabile la riluttanza ed il costante
disprezzo che la maggioranza dimostra nei confronti di ogni occasione di confronto. Di un dialogo serio e di orecchie attente a raccoglierlo in questo paese ce n’è tanto bisogno e ve ne è ancor di più rispetto a questioni di tale delicatezza.
Queste considerazioni fanno ritenere opportuna la proposta dei Radicali di dedicare spazi televisivi alla informazione in materia di biotestamento. Sarebbe una importante occasione di crescita per la gran parte della popolazione che si dimostra essere non molto informata rispetto a queste problematiche. Inoltre una volta incoraggiato il dibattito e il confronto sarebbe opportuno che il legislatore si dimostri tanto maturo quanto lungimirante, da redigere un testo capace di garantire un certo margine d’autonomia ai singoli. Solo così possiamo sperare di scongiurare l’imposizione di un’ “etica di Stato”. Le modifiche che si vogliono e che anzi si devono apportare al testo, sono fondamentali per evitare, come scrive Adriano Sofri, di arrivare “ad una manomissione anticipata della preghiera di morire in pace”.
“Morire in pace” può voler dire tante cose a seconda del sistema di riferimento di valori che è proprio di ogni individuo e che può spingerlo anche verso la scelta di “non farsi curare”. Riflessione questa abbastanza elementare che sembra condivisa da una fetta cospicua di opinione pubblica, mentre in Parlamento si difende l’“indisponibilità della vita”, concetto conteso e lottizzato da medici, magistrati, politici, religiosi e aggredito da
logiche di potere e di convenienza.
I relatori del testo continuano a insistere sul valore della autodeterminazione senza però rendersi conto di come questo concetto sia “pericoloso” per la strategia del potere che, messo all’angolo – seppur lentamente e con fatica – si ritrova a dover rivedere le proprie posizioni e ad ammettere) che forse sarebbe meglio rinunciare ad una legge in cui vita e morte si equivalgono pericolosamente tanto che “il sequestro del fine vita “ si ritrova a coincidere con “il sequestro delle vite”. Al capezzale della “vita” che ormai non c’è più, si strillano “certezze” con cui si arriva a dire che la vita va difesa, sempre e comunque, anche a costo di proteggerla dal suo stesso
titolare.
Logiche che segnano una oramai irrefrenabile deriva paternalistica che è solo anticamera di soluzioni totalitarie che moltiplicano tabù e divieti. La morte, nonostante molti dei “tifosi della vita” siano cattolici praticanti, proprio non la possono soffrire; è anzi la percepiscono come limitativa della dignità umana che deve sopravvive strenuamente ad ogni affronto. Ma in una democrazia anche queste voci devono trovar spazio, in
una alleanza di valori, speranze e concezioni di vita e di morte, di dolore, malattia e sofferenza, tutte necessariamente relative e non riconducibili ad un minimo comune denominatore.
Non si tratta di chiedere al paziente se è “pro vita” o “pro morte” perché si gli si andrebbe a porre un quesito irreale e impensabile che dovrebbe essere allontanato con forza da qualsiasi legislatore lucido e intelligente. La soluzione, oltre quella di lasciare una effettiva libertà di scelta ai pazienti, sarebbe anche quella di sostenere in maniera seria e solidale le tante famiglie che patiscono e sperano per la vita dei propri cari e che
ripongono così tante fiducie nella ricerca medica. Ma soluzioni del g)enere, tanto pacate e rispettose del prossimo, quanto pratiche e concrete, sembrano a dir poco irrealizzabili in un paese dove si tagliano fondi per l’assistenza ai malati oncologici e alla ricerca che si vede sostenuta dalle maratone televisive che fanno sentire l’italiano “buon cittadino dal cuore grande e generoso” senza però capire che certe problematiche non possono, e anzi non devono, essere affidate alla generosità o alla disponibilità dei singoli.
La battaglia è quella per un Servizio Sanitario Pubblico presente, ma non prepotente, capace di provvedere ai diversi bisogni e che sia in grado di avanzare proposte ma non di imprimere soluzioni antidemocratiche nell’ambito di tematiche di tal portata. Inoltre i tempi della discussione non possono essere contingentati, né si può promettere di ascoltare le indicazioni delle gerarchie ecclesiastiche solo per procurarsi una qualche indulgenza personale o qualche migliaio di voti.
Insomma la questione sembra essere più aperta che mai: la spaccatura politica che si sta consumando in queste ore va sostenuta dall’esterno del Parlamento con ancora più forza, per segnare con decisione la lontananza delle posizioni che ci distinguono da questo Parlamento, che oramai rappresenta in maniera vuota ed anonima solo se stesso. I cittadini che non si riconoscono più, sempre che vi si fossero mai riconosciuti, in una classe politica sciocca e arrogante che pretende di trattare tutti noi come tanti bambini da accompagnare e da seguire passo passo nelle nostre vite e nei nostri giorni di dolore. Perché qui nessuno deve liberare nessuno, tanto più che a ogni liberazione corrisponde una conquista e un’ennesima epoca di colonialismo che occupa il nostro pensiero e “soccorre” i nostri corpi: e questo non ce lo possiamo proprio permettere.
Letizia Solazzi