La strategia jihādista.

Il termine Jihād (letteralmente produrre il massimo sforzo) indica oggi la guerra condotta dalle organizzazioni nate da Al Quaeda. Esse dichiarano di avere intrapreso la lotta armata contro l’occupazione straniera o per combattere l’oppressione da parte di un governo interno la cui oppressione viola i principi dell’Islam. Questo tipo di jihād si definisce difensivo e non sarebbe altro che l’esercizio del diritto di resistenza
armata contro l’occupazione, che è riconosciuto sia dall’ONU che dal Diritto Internazionale. Dalla lettura del Corano e dalla tradizione islamica si fa discendere che quando i musulmani vengono attaccati è obbligatorio per tutti i musulmani difendersi dall’attacco, partecipando allo jihād. Ciò costituirebbe un obbligo personale per tutti i musulmani e giustifica la partecipazione al conflitto di tutti i mussulmani del mondo che si sentono moralmente chiamati a rispondere alla chiamata alle armi.
Su questa base si sono costituite organizzazioni come Al Quaeda che hanno iniziato la loro azione mettendosi al servizio dei contendenti internazionali nelle guerre imperialiste (tra americani e russi in Afganistan) per addestrarsi impadronirsi di armi ed essere poi in grado di agire autonomamente.
Mentre essi sviluppavamo una prima fase di azione attraverso gli attentati, più silenziosamente la guerra di Bosnia e quella di Cecenia costituivano il campo di sperimentazione per la re islamizzazione dei combattenti provenienti dalle aree di “Islam debole” – cioè laicizzato e occidentalizzato – e di addestramento alla guerra di
un numero sempre più ampio di combattenti, utilizzati al momento dalle grandi potenze per i loro fini, ma pronti a essere impiegati sul territorio là dove le condizioni fossero ritenute più favorevoli ai loro interessi.

Lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante

Lo Stato islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS) è uno dei frutti del conflitto iracheno e rappresenta l’ultimo stadio dell’evoluzione di Al Qaeda in Iraq. Dopo la sconfitta di Saddam Hussein lo scontro aperto tra sunniti e sciiti e l’insorgenza della componente curda ha portato alla balcanizzazione dell’Iraq. Cosi una parte di ex militari baathisti si concentra nella provincia irachena di Niniveh, saldandosi con le componenti islamiste
sunnite per assumere il controllo strategico della diga di Chambarakat sul fiume Tigri, la più importante del Paese.
Successivamente le milizie islamiste estendono il controllo sulla provincia di Al-Anbar e, spingendosi a sud, si impossessano del campo petrolifero di Baiji. La conquista della città di Mosul fornisce all’esercito dell’ISIS il controllo degli immensi depositi di armi americane li presenti, compresi carri armati ed elicotteri.
Parallelamente a questi eventi i miliziani dell’ISIS estendono la loro presenza in territorio siriano e sono in grado di proclamare la nascita del loro Stato per la fondazione del nuovo Califfato, che superando i confini tracciati dal colonialismo colpisce l’immaginario arabo e fa sognare al rinascita.. E’ indubbio che il movimento
ha saputo sfruttare le opportunità offerte dalla crisi siriana, diventando così una delle formazioni più importanti dell’insurrezione anti-Assad ed estendendo il proprio controllo su una striscia di territori che dalle province occidentali dell’Iraq arrivano sino alla Siria settentrionale e centro-orientale.
L’intervento in quest’area è stato attentamente studiato non solo per le risorse economiche che possiede, ma anche per la composizione delle popolazioni e della loro appartenenza religiosa ed etnica. La presenza in questo territorio permette loro di assumere il controllo di larga parte delle riserve idriche del paese e di impianti di produzione dell’energia elettrica. La disponibilità di queste risorse favorisce la produzione agricola attraverso il controllo dell’acqua e si accompagna a quello di impianti petroliferi che permettono la vendita sul mercato illegale del petrolio estratto. Sono cosi garantite all’ISIS le risorse necessarie per l’acquisto di armi e il sostegno
a una serie di servizi sociali erogati dalla entità statale da essi costituita alle popolazioni islamiche. Inoltre Niniveh e il suo circondario costituiscono un gigantesco giacimento culturale che può essere smembrato e venduto sul mercato internazionale per finanziare l’ISIS, tanto si tratta di una merce che non interessa gli islamisti i quali pensano che la storia sia nata con l’Islam.
L’area della quale ci occupiamo ha una composizione multi etnica multi religiosa e multi culturale ma l’ISIS ha come referente esclusivamente le popolazioni islamiche, perché uno degli obiettivi del Jihad è lo sterminio di quelle turcomanne, degli sciiti di rito shabak, dei cristiani. dei yazidi e dei curdi. L’eliminazione di queste minoranze non ha solo l’effetto di rendere omogenee dal punto di vista etnico e religioso le aree controllate, ma anche di ridurre i bisogni della popolazione che può quindi utilizzare risorse più ampie lasciate dalle popolazioni in fuga. E’ la tecnica della pulizia etnica appresa dai jihadisti sui campi di Bosnia e prontamente applicata L’operazione di pulizia etnico religiosa è supportata e allo stesso tempo risponde a obiettivi propri del fondamentalismo islamico e permette di guadagnare ai miliziani il favore della popolazione residua.
Di particolare rilevanza strategica è la contiguità dell’area controllata dall’ISIS al territorio abitato dai curdi, non solo a causa della presenza di pozzi di petrolio di rilevante importanza. ma anche perché la loro eliminazione fisica è da sempre un obiettivo della Turchia, che in cambio di questo “favore” non interviene e anzi consente all’ISIS la collocazione sul mercato di petrolio e il transito di rifornimenti. Anche grazie all’opera dei fondamentalisti turchi.
Altro elemento di forza dell’ISIS è la schiavizzazione delle donne e l’imposizione ad esse dei costumi più tradizionali dell’Islam. Questa scelta non solo risponde ad un obiettivo ideologico in relazione ai contenuti sociali del fondamentalismo islamico, ma anche soddisfa una economia di guerra dove la donna ha una funzione servente, come schiava sessuale dell’uomo combattente, come fattrice di figli che vanno ad alimentare
i combattenti, soddisfacendo il maschilismo dei miliziani. La disponibilità di donne da convertire e schiavizzare risolve di slancio tutti quei problemi di identità maschile e di frustrazione dei “rinati dell’Islam” che provengono dalle periferie dell’occidente e che essi portano con se.
Certo tra i miliziani dell’ISIS c’è anche una componente costituita da “mercenari”, da combattenti che ricevono un vero e proprio stipendio, ma la novità rispetto a chi milita in altre formazioni jihadiste è costituita da almeno due elementi: una forte ideologizzazione dei combattenti e la struttura dell’organizzazione militare che è costruita nell’ISIS come quella di un qualsiasi esercito professionale, al quale viene regolarmente corrisposta la paga.
Per quest’insieme di motivi i bombardamenti e i droni possono svolgere una funzione di contenimento, ma non risolvono il problema. La risposta andrebbe data sul piano sociale e sarebbe quella di porre fine allo sfruttamento occidentale e di chiunque in queste aree, spingendo per l’autogoverno delle popolazioni ma questa soluzione è in contrasto con gli interessi di tutti gli attori in campo.

La Jihad in Africa occidentale e nell’area subsahariana

Anche se l’ISIS è certamente il gruppo che conduce oggi con successo il jihad non mancano altri gruppi certamente molto attivi, indipendentemente dal numero dei loro militanti e operativi in aree di particolare vulnerabilità. Esaminare la collocazione di queste aree aiuta a capire che la scelta di dove intervenire è per gli islamisti parte di un piano elaborato con il consenso dei finanziatori del fondamentalismo islamico che
attraverso il Jihad in tutto quello che è considerato il Dār al Islam (la terra dell’Islam) cerca di lanciare una guerra “difensiva” per la rinascita dell’Islam e l’affermazione della sua potenza economica e dei suoi valori.
Esso conduce una guerra globale e sa bene che tra i propri nemici c’è la Cina, che non solo controlla all’interno dei suoi confini aree dove vivono milioni di islamici, ma ha acquistato e controlla beni e soprattutto terra in Africa. Contro questo avversario il fondamentalismo fomenta la rivolta all’interno del territorio cinese e scatena in Africa la jihad contro la presenza colonialista degli occidentali e della Cina. Lo fa partendo anche
qui dalle aree dell’islam “debole”, ovvero da quei territori dove l’Islam è per tradizione dialogante, come il Mali o dove è venato e intriso di cultura animista e si caratterizza per la presenza delle confraternite. In queste aree, anche quando l’islam è stato egemone. esso non ha preteso di controllare la società, ma è stato aperto al contagio di altre culture. Perciò qui si fa leva sull’elemento identitario e sessuofobo della conversione forzosa delle donne (il rapimento delle 200 studentesse è solo l’episodio più eclatante) Ne sono prova le azioni di Boko Haram nel nord della Nigeria (letteralmente Gruppo della Gente della Sunna per la  propaganda religiosa e la
Jihad – in lingua hausa Boko Haram). Si tratta di un’organizzazione terroristica jihadista che svolge la sua azione nel Nord Est del Paese. Fondata nel 2002 per opera dell’imam Mohammed Yusuf, si batte per la creazione di uno Stato islamico in Nigeria e sostiene l’imposizione della Sharia, opponendosi sia all’opera di conversione della Chiesa cattolica sia quella delle Chiese carismatiche provenienti dagli USA e dal Sud America, particolarmente attive in quest’area.
In questa situazione l’Islam mite autoctono viene facilmente surrogato dal  fondamentalismo identitario islamico e nella rottura del delicato equilibrio delle appartenenze religiose preesistenti stanno le ragioni del conflitto in corso. Naturalmente questa componente “sociologica” non basta a spiegare le ragioni dell’intervento jihadista nell’area che ha come obiettivo il petrolio nigeriano e i grandi interessi di tutte le economie forti in Nigeria. Certamente però questa chiave di lettura ci fa capire quanto profonde e radicate sono le ragioni del conflitto e quanto siano complessi i fattori che creano la base sociale dell’affermazione del fondamentalismo.
I militanti di Boko Haram inoltre sono collegati ad altri gruppi come quello salafita per la predicazione e il combattimento (Al Qaeda del Maghreb islamico) insieme ai quali controllano i traffici illegali della regione e se ne servono per consolidare un rapporto di dominio-protezione sul territorio in cui l’organizzazione opera, simile a quello tipico delle mafie, garantendo fonti di finanziamento costanti per il jihad globale. I membri attivi
di Aqmi sono poche centinaia, organizzati in due Katiba (compagnie), e conducono una vita nomade, ma hanno come retroterra la Libia, anch’essa luogo di pensiero debole islamico nel quale si è oggi affermato il fondamentalismo di varie tendenze, impegnato in una guerra senza fine.

Il fondamentalismo nemico della lotta di classe

Dal nostro punto di vista il fondamentalismo di qualsiasi religione è un nemico acerrimo e mortale della lotta di classe, come del resto lo sono tutte le religioni. Esso propone l’unità di ricchi e poveri contrapposti ad altri gruppi aggregati e differenziati a base religiosa. Il suo interclassismo razzista è il frutto della distorsione mentale che individua un popolo eletto che è diverso dagli altri e deve prevalere per aver stipulato l’alleanza
con un Dio che questo gruppo di uomini e donne si è creato.
A questa minaccia al benessere, alla pace e alla giustizia sociale la sola risposta possibile è la lotta di classe che stabilisce alleanze indipendentemente dall’eventuale appartenenza religiosa, che è un fatto individuale. La lotta di classe, basata sulla liberazione dal bisogno, sulla ricerca della libertà e della felicità in questa vita sulla pari dignità di uomini e donne, sul pari accesso alle risorse è l’unica strada per contrastare
l’affermarsi del fondamentalismo religioso che fomenta l’odio, la disuguaglianza, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la sottomissione delle donne.
La nostra battaglia deve essere combattuta qui e ora svelando e analizzando come primo passo gli interessi materiali e di dominio che stanno alla base del fondamentalismo religioso, svelando e analizzando la società che essi propongono per rilanciare in alternativa la lotta di classe, la solidarietà la costruzione di una società più giusta per tutti, a qualsiasi etnia o fede appartengano.

Il Dossier del prossimo numero verrà interamente dedicato alla situazione economica
politica e sindacale e ai problemi del lavoro in Italia.