IL SUICIDIO DEL PARLAMENTO

“Ma per quel nobile realismo
la cui area si è allargata
non puoi negare a certe zone di sinistra eh?
La buona volontà siii?
In questo clima di distensione
possiamo finalmente accordare la fiducia
a tutte le forze, eh?
Democratiche sìi
Bisogna far proposte in positivo senza calcare la mano sulle possibili carenze. Lasciamo perdere il pessimismo, l’insofferenza generale dei giovani, i posti di lavoro, l’instabilità, gente che non ne può più, la rabbia, la droga, l’incazzatura, lo spappolamento, il bisogno di sovvertirre, il rifiuto, la disperazione. Cerchiamo di essere
realisti. Non lasciamoci trarre in inganno……..dalla realtà.” (Giorgio Gaber, “Salviamo sto paese”, 1978)

Nell’arco di un decennio, per la seconda volta, e sempre in occasione di scelte importanti (nel 2011 la macelleria sociale, oggi il “fiume” di soldi da indirizzare “correttamente”) la politica ha abdicato al proprio ruolo.
Se nel 2011 l’antiberlusconismo d’accatto portò inopinatamente qualcuno (e quel qualcuno non casualmente era Bersani, che di lì a qualche anno sarebbe stato a sua volta eliminato) ad accendere sigari e ad esultare perché era caduto l’odiato nemico senza rendersi conto di quello che stava succedendo, oggi è una manovra di un partito di (infima) minoranza ma ben collegato (1 non vale 1) con quelli che contano a trascinare il resto (che non pare, nuovamente, aver capito una mazza) a farsi allegramente commissariare.
Il 2011 è l’anno della lettera di Draghi (chi è costui?) secondo la quale Berlusconi avrebbe dovuto predisporre una serie di misure “lacrime e sangue”sull’onda dell’austerità neo (e soprattutto ordo) liberale imposta da Bruxelles come diktat e fede assoluta.
Silvio, che non era (e non è) scemo, volentieri passò la palla, aprendo una crisi, anche all’epoca, del tutto fuori dal Parlamento, così come saranno quelle successive.
Il Presidente Napolitano, un interprete veramente particolare del mandato costituzionale, nominò Mario Monti Senatore a vita (senza nessuna qualità per essere indicato a tale ruolo) e affidò a lui il compito di mettere in pratica la “dura lezione” (come avrebbe detto Padoa Schioppa – noto anche in fiorentino come Padoa Stioppa
– a volte la “dura lezione” colpisce non alla cieca).
Il PD, anche all’epoca non ebbe di meglio da fare che sostenere il programma e non portò un milione di persone in piazza come aveva fatto contro Berlusconi. Anzi, sarà proprio quel partito che porterà a compimento le riforme più radicali in senso liberista di questo paese, dopo quelle di Monti ovviamente. Non fu un errore per il PD appoggiare Monti. Perché quello è il PD e, oserei dire, non solo il PD, ma anche tutte le sigle con le quali si è nominato in precedenza.
Renzi farà le scarpe a Letta con mossa da vero Bandito (qualità confermata in questo periodo). Non bandito politico, ma proprio un bandito senza scrupoli a cui conviene non girare mai le spalle. Anche lui del resto non è passato per caso dal PD. E sarà proprio sulle sue capacità banditesche che si formerà il complotto alla luce del sole per fare fuori Conte.
Il primo Governo Conte, nasce da una situazione che nella vituperata Prima Repubblica era la norma: ovvero un partito (il M5S) che ottiene un ampia maggioranza e cerca di allearsi con altri gruppi per formare un governo. Banale in un sistema proporzionale (dopo decenni di cazzate maggioritarie) ma non nel paese del “fate presto” in cui i media, da sempre, agiscono come agitatori della normalità costituzionale. Così ogni mossa dei 5S viene rintuzzata da un giornalismo cannibalesco. Renzi scende in campo in prima persona scavalcando in televisione e senza alcuna carica nel partito l’inutile segretario Martina e l’alleanza con il PD non si fa. Nasce il governo cd. Giallo/Verde. Realisticamente uno dei governi possibili che viene contemporaneamente lodato e
messo sotto attacco permanente dalla stampa. Cosa che giova tantissimo alla Lega e al suo Segretario Salvini che recita la parte dell’ultra-nazionalista mentre a Giorgetti (il vero capo della Lega) tocca, per adesso, il finto ruolo di comandante in seconda. Salvini però non è in grado di gestire il Ministero chiave che gli viene dato. È
fisso sui social ed in perenne propaganda. Cosa che gli procura un apparente sostegno di massa, mai certificato dalle urne ma dai soliti sondaggi. Commette un errore fatale, nella convinzione di poter mandare il paese al voto si dimette e la sua parabola finisce anzitempo. Del resto la sua credibilità era già consunta da una fissazione per i migranti (quello che doveva essere il collante per la trasformazione propagandistica della Lega
in partito nazionale) che non porta nessun miglioramento reale alle condizioni degli italiani.
Ma, nella foga di essere popolare, La lega di Salvini commette un pericoloso errore che, assieme ad un provvedimento del M5S farà drizzare le orecchie all’establishment.
Ovviamente si tratta di provvedimenti, se va bene, parziali. Sbagliati, problematici e probabilmente anche dannosi, ma che segnalano problemi reali della popolazione italiana che è composta, ormai, solo da una minoranza che può dirsi perlomeno non in ansia dal punto di vista economico.
Si tratta di “quota100” e il “reddito di cittadinanza”. Due interventi, che, solo per il nome, aprono una crepa, piccolissima, nell’ortodossia finanziaria europea.
Da questi inizia il declino dei 5S e di Conte. Ricordiamoci il diktat di Mattarella al Ministro Savona proposto dalla Lega nel 2018. Un diktat, sul filo o anche oltre, le competenze del Presidente della Repubblica, che, evidentemente, deve rispondere ad altri poteri che non la sola Costituzione italiana.
Il Governo Giallo- Rosso (e a chiamarlo “rosso” ci voleva solo la demenza dei titolisti italiani) nasce come Governo europeista moderato e Conte ribalta la propria posizione di 180° ma per i 5S governare con il PD è già, a questo punto, una sconfitta. L’artefice dell’alleanza è di nuovo Renzi che, il giorno dopo la fiducia a Conte, fa nascere un partito-fittizio (con il logo che sembra ripreso dalla crema “Vagisil”) segnale di quello che
accadrà in futuro.
La pandemia offre l’occasione. Le scuse sono il “Mes”, come si impegnano i soldi per il “Recovery Fund”. Oddio più che scuse sono le chiare evidenze del fatto che, come sempre, Renzi è l’utile idiota per le classi dominanti. Idiota forse, utile bisogna vedere a chi.
Il resto è storia d’ieri. Anzi di oggi. Con una manovra ancora una volta extra-parlamentare e con un Presidente del Consiglio ancora in carica e, probabilmente, con la possibilità di ottenere la fiducia, un Presidente della Repubblica, avendo ormai come riferimento una Costituzione materialmente trasformata, nomina un esterno alla Presidenza del Consiglio. Per creare un governo di Unità Nazionale che si configura
come un ulteriore gradino per il commissariamento della democrazia parlamentare, della quale rimane solo o quasi la forma.
Innamorarsi troppo delle istituzioni, a volte, fa dimenticare che nelle società capitalistiche esse sono il luogo del governo delle classi dominanti. In qualche contesto esse paiono a volte allargarsi, a volte restringersi.
Ma nei momenti in cui il gioco può farsi duro, preferiscono prendere in mano le redini direttamente, ormai consapevoli che, con la fine dei partiti di massa e della politica tout-court, non troveranno nessun ostacolo. Anzi verranno addidati come salvatori della patria.
Del resto siamo di fronte al “pilota automatico” (Draghi docet) per cui ai governi non resta che baloccarsi con le idiozie ma non con le cose serie. La stampa fa il proprio lavoro da salariati del potere (insomma salariati una sega) costruendo l’immagine del nuovo santo, discettando sulla commozione, sulla precisione e creando un nuovo personaggio da mandare all’acclamazione delle folle.

Ma chissà come mai mi viene in mente un discorso……..
Per carità nessun paragone, solo qualche assonanza.

“Ora è accaduto per la seconda volta, nel volgere di un decennio, che il popolo italiano – nella sua parte migliore – ha scavalcato un Ministero e si è dato un Governo al di fuori, al disopra e contro ogni designazione del Parlamento. Il decennio di cui vi parlo sta fra il maggio del 1915 e l’ottobre del 1922. Lascio ai melanconici zelatori del supercostituzionalismo il compito di dissertare più o meno lamentosamente su ciò”
(Benito Mussolini, 16 novembre 1922)

Andrea Bellucci