Verso lo sciopero generale

La situazione sindacale italiana tende a farsi, se mai ce ne fosse stato bisogno, sempre più difficile ed intricata. Le differenze “genetiche” e di impostazione sindacale, tra Cgil e Cisl/Uil, sono riemerse sotto i colpi di una crisi economica devastante che il padronato usa ormai spudoratamente per sconfiggere ogni resistenza dei lavoratori.
Da questa situazione non è certo esente l’azione del Governo Berlusconi che cerca di isolare la Cgil intravedendo in ciò l’occasione per un ridimensionamento del ruolo e della forza di questa organizzazione considerata, a torto od a ragione, l’ultimo ostacolo per sbarazzarsi dei “lacci e lacciuoli” del passato. Del resto la galassia sindacale extra confederale, divisa in varie organizzazioni e con al suo interno le stesse dinamiche verticistiche e politiche tanto criticate – e giustamente – quando avvengono in Cgil, non riesce ad essere un punto di riferimento generalizzato per la classe lavoratrice.
Le precedenti conquiste sindacali, frutto di decenni di lotte in cui tanti lavoratori e lavoratrici avevano pagato con i licenziamenti, la galera, la vita, non sono più “sopportabili” per il capitale. Oggi una parte consistente di queste conquiste vengono demolite sotto i colpi dell’attacco padronale fatto di delocalizzazione dei siti, di scomposizione del ciclo produttivo, di compressione dei salari e dei diritti: tutto ciò viene favorito sia dall’azione del Governo (attacco ai contratti collettivi nazionali di lavoro ed allo “Statuto dei lavoratori”, oltre al varo di normative tese ad indebolire la classe lavoratrice) che dalla sponda sindacale offerta da Cisl ed Uil (accordo separato sulla contrattazione del gennaio 2009, vicenda Fiat e contratto dei metalmeccanici, recenti
firme separate del contratto del commercio e nel pubblico impiego).
La stessa Cgil porta delle responsabilità poiché, durante i precedenti governi di centro sinistra, è stata l’artefice principale di accordi come quelli del 1992/93 che cancellarono la scala mobile ed inaugurarono la “politica dei redditi” (quelli della borghesia, beninteso, perchè il riequilibrio economico fu pagato interamente dai lavoratori), oppure accettando passivamente interventi legislativi come il “pacchetto Treu” che introduceva
pesanti flessibilità e precarietà, fino al sostegno attivo alle leggi antisciopero nei trasporti.
Dal 2002 la Cgil ha intrapreso un percorso che ha prodotto una messa in discussione delle politiche concertative fino ad allora perseguite, realizzando una progressiva rottura con la deriva neocorporativa di Cisl ed Uil. Una rottura, comunque, caratterizzata anche da profonde contraddizioni per le implicazioni di subordinazione alla logica politica (vedi il Protocollo sul welfare del 23 luglio 2007 con il Governo Prodi, firmato anche dalla CGIL, e la conclusione unitaria di contratti nazionali insufficienti sopratutto nella parte salariale).
Questa subordinazione alla logica politica parlamentarista si è evidenziata pure nell’ultimo Congresso del 2010 che ha visto la scomposizione, ed una diversa ricomposizione, dei precedenti schieramenti interni: il dibattito che ha preceduto il Congresso ha prodotto un documento sostenuto dalla vecchia maggioranza moderata rappresentata dal Segretario Generale Guglielmo Epifani insieme all’area programmatica di sinistra “Lavoro e Società”, mentre un documento di opposizione è stato presentato da una inedita coalizione formata dalla maggioranza della Fiom, dalla maggioranza del gruppo dirigente della Funzione Pubblica e del credito, oltre che da alcuni ultramoderati dirigenti nazionali della Cgil.
La difficile situazione di crisi capitalistica e le sue conseguenze, che si concretizzano in un complessivo attacco economico, politico e culturale ai lavoratori, avrebbero dovuto suggerire a tutta l’organizzazione uno sforzo per compattare le proprie forze su una linea di difesa degli interessi di classe. I gruppi dirigenti hanno invece anteposto la loro condizione d’essere alle dinamiche della lotta di classe; i due documenti, in molti punti
anche simili, e l’aspro confronto che ne è derivato, rappresentano le consegue. Il peso del confronto congressuale del composito schieramento di opposizione, costituitosi poi nell’ area programmatica “La Cgil che vogliamo”, è stato in realtà sostenuto soprattutto dalla maggioranza della Fiom; questo ha portato ad una condizione di isolamento e ad un risultato molto inferiore a quello preventivato (poco più del 17 % dei voti), risultato che sta pesando anche nel dopo congresso.
La stessa vicenda di Pomigliano, e quella successiva di Mirafiori, hanno evidenziato questa situazione.
La nuova Segretaria Generale Susanna Camusso, poco prima del referendum tra il personale della Fiat Mirafiori, si sbilanciò parlando di “firma tecnica” in caso di sconfitta del NO all’accordo: una presa di posizione quantomeno fuori luogo, tra l’altro non condivisa dall’area “Lavoro Società”, che rifletteva la situazione di divisione interna in Cgil.
Dobbiamo quindi apprezzare in questa vicenda la “tenuta” della Fiom che, in una situazione difficilissima, ha saputo resistere ad enormi pressioni realizzando un buon risultato, forse il massimo possibile in quelle condizioni; le vicende successive al referendum stanno facendo chiarezza sul destino di Mirafiori e della stessa Fiat, e stanno dimostrando che la svendita di diritti non negoziabili fatta da Cisl ed Uil, e dai loro comprimari, è stata oltretutto un regalo a Marchionne in cambio di niente. Rimane comunque, per la Fiom, il problema della rappresentanza dei lavoratori vista la mancata firma dell’accordo ed il pugno duro del padrone; un problema, questo, che si sta estendendo anche in altre situazioni per l’estromissione della Cgil dai tavoli di trattativa in seguito ad accordi capestro firmati dagli ineffabili dirigenti di Cisl ed Uil.
La Cgil ha cercato di rispondere a questa situazione con delle proposte sulla democrazia e la rappresentanza, da portare tra i lavoratori, proposte già respinte al mittente da parte di Cisl ed Uil. Dopo le manifestazioni nazionali convocate dalla Fiom e dalla Cgil tutta, rispettivamente il 16 ottobre ed il 27 novembre 2010, e dopo lo sciopero nazionale dei metalmeccanici dello scorso 28 gennaio che ha visto una larga partecipazione alle manifestazioni da parte di tutte le altre categorie, il Comitato Direttivo della Cgil ha indetto uno sciopero generale per il prossimo 6 maggio.
Il continuo rinvio di questa decisione, richiesta anche da diverse strutture dell’organizzazione, e la stessa modalità limitata a quattro ore, sono certamente il frutto di un compromesso tra le varie anime della Cgil. Ci sembra comunque che lo sciopero, al di là di questa considerazione, costituisca un passo importante che possa convogliare ed unificare le varie lotte e le mobilitazioni in corso; del resto alcune categorie, come la scuola e la funzione pubblica, l’edilizia ed il commercio, hanno già annunciato di volerlo estendere all’intera giornata, e così faranno certamente a livello territoriale diverse Camere del Lavoro.
Si tratta quindi di lavorare, molto e bene, perchè lo sciopero riesca e dia continuità e prospettive alle lotte che in questi mesi sono state portate avanti dai lavoratori e dalle lavoratrici, dagli studenti e dai giovani, dagli immigrati, dai precari e dai disoccupati. Tutto questo sarà possibile a patto che le finalità “politiche” dello sciopero emergano chiaramente: per respingere le iniziative del Governo Berlusconi, contro l’attacco portato avanti dalla Confindustria e da tutte le organizzazioni padronali, per estendere la durata della cassa integrazione, per la difesa del lavoro e dei diritti, della libertà di sciopero, delle condizioni di lavoro, della salute e della sicurezza, dei salari.
Sappiamo bene che, nell’attuale situazione, questi non sono certo facili obiettivi, ma sono quelli comprensibili ed in grado di unificare la classe lavoratrice. Una classe lavoratrice, comunque, che dovrà quanto prima cercare di allargare le proprie prospettive di conoscenza, di collegamento e di lotta: in mancanza di una prospettiva e di una organizzazione più europea, più internazionale, sarà infatti costretta a difendersi con sempre maggiore difficoltà dall’attacco globale e senza confini portato avanti dai  padroni. Nostro compito, là dove siamo presenti, sarà quello di spingere in questa direzione, lavorando per una ricomposizione dell’opposizione di sinistra all’interno della confederazione, su di una linea di egualitarismo e di classe.

Mario Salvadori
Gruppo redazionale di “Comunismo Libertario”