Mentre la situazione politica internazionale monopolizza l’attenzione dell’opinione pubblica a causa dei crescenti pericoli di una guerra nucleare la politica interna del paese langue dopo il sussulto referendario i cui echi, peraltro flebili, si sono già spenti. Ora l’attenzione delle forze politiche sembra essere tutta tesa alla preparazione delle prossime scadenze elettorali costituite dalle elezioni regionali, mentre rifà capolino, a scompaginare i giochi, il dibattito sul terzo mandato dei presidenti regionali che riaprirebbe molti giochi e condizionerebbe notevolmente le scelte dei candidati almeno in Veneto, Campania e Puglia.
Tutto sembra suggerire che i partiti del centrosinistra presenteranno candidature unitarie in tutte le Regioni con il sostegno dei cespugli di centro il che dovrebbe lasciare il governo delle Regioni al centro – sinistra, se si esclude il Veneto, unica regione contendibile, il cui destino dipende dalla presenza di una ricandidatura di Zaia. Questa situazione apparentemente stabile, anche se non priva dei tradizionali e ricorrenti contrasti e polemiche tra PD e 5 Stelle per la leadership dell’alleanza, non può prescindere nel campo del PD dall’indizione e dallo svolgimento di un Congresso che
non può essere una scadenza rituale, poiché la leadership della Schlein necessita di una verifica che passa attraverso la ridefinizione della linea politica del partito su molti temi cruciali e questo anche al fine di mettere a punto un programma credibile che sia in grado consentire alla coalizione di rappresentare una reale alternativa di governo di fronte agli elettori.
A delinearlo non basta ribadire la necessità di risolvere il problema delle liste di attese nella sanità né finanziare maggiormente il sistema sanitario sempre più in crisi; non basta sostenere la necessità di reperire risorse per l’istruzione e la scuola, per la riqualificazione professionale; non basta trovare le risorse per aumentare i salari in modo da consentire condizioni di vita minimamente dignitose; non basta difendere il lavoro e la vita sul posto di lavoro; non basta difendere diritti della persona ma occorre anche avere una posizione credibile di fronte alla collocazione internazionale del paese
poiché da questa dipende la possibilità dell’economia di funzionare, dipendono le prospettive di sviluppo della società italiana, la tenuta stessa della compagine sociale chiamata ad affrontare il problema della crisi demografica e al tempo stesso del deperimento del tradizionale modello produttivo a fronte delle sfide rappresentate dall’introduzione nel mondo del lavoro dell’intelligenza artificiale e dei nuovi sistemi di organizzazione del lavoro e di produzione.
Il paese non può vivere basando la propria economia sul turismo e confidando in un rientro di valuta in grado di sostenere una società nella quale l’ascensore sociale non esiste, in una società statica, che non offre prospettiva alcuna di vita futura, in una società sempre più povera di iniziative e di innovazione, in una società sempre più repressiva e retriva nei costumi, nei rapporti sociali, nella distribuzione della ricchezza, sempre più sperequata, chiamata a gestire una fascia di poveri strutturali pari al 40% della popolazione, mentre un 5% di essa continua ad accumulare ricchezza e benessere, potere e dominio, il nome di una collocazione di classe sempre più privilegiata, in una situazione aggravata dai crescenti venti di guerra e dalla prospettiva sempre più reale di una chiamata alle armi delle giovani generazioni, sempre più scarne ed esigue nei numeri e nella volontà di scendere sul campo di battaglia.
In particolare questo ultimo problema si impone come dirimente di fronte al varo di politiche di riarmo e alla prospettiva di reintroduzione del servizio militare obbligatorio, prodromico rispetto alle possibilità di essere impiegati in una guerra che sarebbe devastante.
La questione internazionale
Il problema della profonda revisione della politica internazionale è a questo punto cruciale e strategico per definire per il partito democratico come per tutti i partiti riformisti il loro futuro, a fronte dell’alternativa di gestione del potere rappresentato da una destra che si è rivelata in grado di sapere meglio sintonizzarsi sui desiderata delle popolazioni è più capace di raccogliere l’appello alla pace che viene soprattutto dai popoli europei. La posizione a proposito del riarmo e della guerra fa da spartiacque nella capacità dei partiti riformisti di recuperare un rapporto positivo e di effettiva rappresentanza del loro elettorato, perché lo schierarsi a favore della guerra è visto come un profondo tradimento degli interessi di fondo delle classi meno abbienti, chiamate a pagare il prezzo dello sforzo bellico in prima persona sia attraverso i danni materiali subiti, ma ancor più attraverso l’impegno diretto nell’azione di guerra che porta alla morte e alla perdita di ogni prospettiva di vita dignitosa. Alla luce di queste considerazioni diventa prioritario che un partito della sinistra, benché riformista, se vuole essere tale e rappresentare almeno in parte gli interessi di classe, deve liberarsi di quei soggetti politici che ha diversi livelli affollano la rappresentanza politica in Parlamento come negli organismi comunitari, dichiarando l’incompatibilità di questi soggetti con la rappresentanza dei loro interessi.
Ciò significa che bisogna giustiziare politicamente i vari, i tanti Picierno, Bonaccini, Gentiloni, Gori, Draghi, Letta, Monti, solo per dirne di alcuni, con il discrimine delle loro scelte guerrafondaie, capendo che la scelta della pace e della convivenza tra i popoli è propedeutica all’accettazione della candidatura politica di chiunque voglia occuparsi di tutelare gli interessi pubblici. La pulizia necessaria comincia liberandosi della feccia che inquina il corpo del partito, le istituzioni, la politica, in modo da poter riscoprire e difendere i genuini interessi della popolazione da chi vuole spingere l’umanità verso un
futuro di guerra, di distruzione, di morte.
G. L.