DOVE ERAVAMO RIMASTI?

Il capitalismo? Libera volpe in libero pollaio.
(Ernesto “Che” Guevara)

IL SUICIDIO DELLA CLASSE

I risultati dei referendum dell’8 e 9 giugno sono stati una debacle, probabilmente l’ultima in ordine di tempo ma non l’ultima in assoluto, di quella che un tempo era la presenza di una classe lavoratrice, seppure acciaccata, ma ancora esistente. Una classe, come si diceva “in sé” e “per sé”.
La sconfitta, innanzitutto, viene dallo stesso metodo. I diritti sociali si conquistano con il conflitto sociale e poi, casomai, con la mediazione politica diventando legge. Proprio lo Statuto dei Lavoratori, vittima sacrificale, arrivò dopo il caldo autunno del 1969. I referendum possono essere utili sulle grandi questioni interclassiste, sui diritti civili che
tagliano la società, sui “grandi dilemmi” popolari. Ma quando si va alla difesa o all’allargamento di diritti sociali che possano, anche in maniera minimale, mettere in discussione l’assetto socio-economico, il capitale sa usare tutte le armi a sua disposizione (come se fosse possibile, ad esempio, vincere le elezioni per una forza veramente comunista).
Così una buona fetta degli italiani non è andata a votare per ripristinare o difendere diritti basilari perché la propaganda mediatica (finalizzata alla spoliticizzazione più ampia possibile) li ha convinti che non serviva a nulla, anzi, che così si mettevano in difficoltà gli “imprenditori”. Del resto in una narrazione pluritrentennale nella quale si
ribadiscono in maniera assillante i diktat del neoliberismo, dell’ “ognuno pensi per sé” e del culto dell’ “imprenditore di sé stesso”, perché mai poter difendere qualcosa di così apparentemente astratto (il capolavoro del capotale: rendere astratti i diritti reali e reali le pure astrazioni) come quello a “non essere licenziato senza giusta causa”.
Ci sono molti però a questo disarmante ma intuibile risultato.

SCRUTATORI NON VOTANTI

Innanzitutto, uno, del tutto tecnico (ma la tecnica non è mai solo tecnica). Da anni, ormai, i votanti calano in maniera impressionane. Presidenti di Regione eletti con la partecipazione del 30% degli aventi diritto, percentuali alle elezioni politiche che rimangono che si fermano al 60% (in un paese nel quale fino a pochi decenni fa, votava oltre l’80% degli aventi diritto).[1] In questo panorama, pensare di raggiungere il quorum su un referendum di classe come questo, per di più decapitato dell’unico quesito che avrebbe potuto aumentare la partecipazione (ovvero quello relativo all’autonomia
differenziata) era un azzardo. È evidente che se una battaglia istituzionale avrebbe da esser portata avanti è quella di eliminare il quorum o, comunque, modificarlo in maniera significativa.
Detto questo 14 milioni di voti non sono pochi. Ma è anche vero che nessuno può metterci il cappello. Ci stanno provando il PD e gli altri cespugli, questo vorrebbe dire che non c’hanno capito nulla.

NEVER MIND THE BOLLOCKS

Perché, forse, uno dei motivi per cui gli italiani non sono andati a votare, potrebbe essere anche quello di non sopportare più tutta, intera, la classe dirigente di una sinistra che ha dato il peggio del peggio. Certo, dal punto di vista razionale ragionare così è come evirarsi per fare un dispetto alla moglie, ma nella situazione attuale, di vera e propria desertificazione ideologica, anche questa potrebbe essere sembrata una qualche risposta.
Del resto chi ha abolito l’art. 18? Chi ha creato le condizioni giuridiche per un precariato ed una insicurezza sempre più diffuse nel mondo del lavoro? Come può davvero pensare un partito come il PD di rappresentare diritti che ha stracciato? Quando è all’opposizione sembra Che Guevara, quando è al governo elogia Monti e Draghi. Quel partito avrebbe due possibilità: sparire o scindersi. Non farà nessuna delle due cose perché gestisce ampie fette di potere e tiene in mano ancora tante leve. Nel frattempo contribuisce a distogliere e mandare alla deriva quelle che davvero potrebbero essere le potenzialità di questi milioni di lavoratori, che non sono certo quelle di dare manforte ad un centro-sinistra completamente privo di qualunque prospettiva. Casomai potrebbero invece supportare azioni di massa più radicali.

TUTTO SI TIENE

Azioni di massa che potrebbero saldarsi con il parco ben più ampio di chi da due anni protesta contro il genocidio a Gaza ed è terrorizzato ed indignato di fronte al brutale attacco dello Stato terrorista di Israele all’Iran, con il solito corollario di morti civili, obiettivi dichiarati ed usuali di questa entità tribale, razzista, suprematista e fascista che ormai è diventato l’orrendo Stato ebraico. Tutto si tiene perché questa battaglia sui diritti sociali[2] non può essere disgiunta (e, nel secolo passato non lo sarebbe certo stata) dal delirio guerrafondaio che ormai impesta l’intera Europa e il governo nazistoide di Trump.
È necessario alzare l’asticella. Pace e lavoro vanno insieme (Lenin ci fece una rivoluzione) perché l’obiettivo completamente folle del 5% del PIL per gli armamenti desertificherà quello che rimane dello stato sociale. Sanità, scuola, tutto verrà sacrificato al dio della guerra. Un dio che genera profitti immensi.

LA BARCA

Una cosa dovrebbe dire la sinistra, se ancora c’è e se i colpi che batte non sono quelli dei chiodi sulla bara: non siamo tutti sulla stessa barca. Lo scontro sociale è scontro fra interessi diversi, opposti e nell’assenza di uno Stato in grado almeno di mediare (figuriamoci) i nostri interessi sono contro quelli del nemico di classe. Ciò che è buono per noi non lo è per loro. Ecco, se c’è una flebile speranza, non potrà certo venire da un partito che non è stato ancora in grado di dire una parola seria, non solo sul lavoro, ma persino sul genocidio a Gaza. Un partito che ha dei personaggi come Emanuele Fiano (figlio poco degno del deportato Nedo) e la sinistra per Israele. Una specie di lobby che difende lo stato terrorista qualunque cosa faccia. Oppure ha la Picierno, guerrafondaia (e non a caso contro i referendum) sfegatata.
Bisogna prendere atto, come chi scrive dice da decenni, che quel partito va abbandonato e non confondere i rapporti umani o anche la semplice educazione, con la collaborazione.

NEL MONDO

Ma non siamo proprio scemi, sappiamo benissimo che sul piano elettorale oggi come ieri non ci sarebbero numeri per mandare a casa il governo neofascista della Meloni. Ma la domanda sorge spontanea. A che pro dovremmo optare (anzi tifare) per una coalizione invece di un’altra. Dove stanno le differenze reali? Certo questo governo ci sta mettendo del suo con i decreti sicurezza e la repressione di piazza.
Tuttavia, capiamo che sulle alleanze ci sarebbe da mediare, e, forse, come il secondo governo Conte, qualcosa di lontanamente anticiclico potrebbe anche venir fuori, anche se bisogna ricordare come il sistema mediatico abbia massacrato il timidissimo esperimento del reddito di cittadinanza.

FASCIOCAPITALISMO?

Il fascismo originale è morto nel 1945. Quindi cercare negli eventi di oggi una ripetizione matematica e geometrica di quel fenomeno è non solo sbagliato, ma anche fuorviante. Anche perché nacque in un’altra epoca storica e quando si affacciò al mondo rappresentava una assoluta novità. Anche cercare degli elementi ricorrenti, a mio parere, serve davvero a poco. Allora perché questo titolo? Per un motivo forse intuibile. Oggi come allora noi leggiamo le cose del mondo basandosi sulla nostra esperienza e ci attacchiamo alle immagini, ai saluti romani ad Acca Larentia, al busto del duce di La Russa. Il fascismo storico stesso viene rappresentato, sia a destra come a sinistra, come una specie di bullismo violento e non come un formidabile distruttore della classe lavoratrice, non come un esperimento riuscito di consenso e violenza mirata. Non come un’arma del capitale.
Allora, non avendo altre parole che mi vengono in mente, vorrei fare presente che l’epoca del capitalismo trionfante oggi appare più easy che del passato, più aperta ai diritti civili, alle quote rosa. Ma se gratti la superficie, troverai sempre la stessa roba. Che ci sia Trump, la Meloni, Macron o Merz, al capitale non interessa. L’importante è che non si disturbi il manovratore. E quando qualche timido disturbo pare apparire all’orizzonte, si schierano tutte le armi: la propaganda, la repressione, l’invito a non partecipare.
L’obiettivo del referendum era vincere. Perché quei diritti che andava a restituire o a creare ex-novo hanno un impatto reale sulla vita delle persone. Ma le persone non hanno votato, per i motivi ai quali ho accennato sopra, ma anche probabilmente per altri. Forse nel sud Italia il problema non è l’art. 18 ma avere un lavoro. Forse c’è una enorme stanchezza e una grande povertà per cui questi diritti sembrano essere diventati un lusso. Se vista in questi termini, come una guerra esclusivamente difensiva forse 14 milioni non sono davvero poca cosa. Voti che non andrebbero sprecati,
giudicati, sponsorizzati, ma compresi.

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Grafico_delle_elezioni_politiche_in_Italia                        [2] In merito al quesito sulla cittadinanza cittadinanza vorrei precisare una questione, completamente espulsa dalla discussione (e non a caso). A me +Europa fa orrore e mi fanno orrore le giustificazioni sulla equazione immigrazione necessità di forza lavoro. La cittadinanza serve invece per eliminare l’elemento fondamentale di ogni fenomeno migratorio in era del capitale. Ovvero l’illegalità (parziale o totale) che è parte integrante di ogni fenomeno di sfruttamento ed è quello che permette all’immigrazione di essere “massa di manovra” del capitale stesso. Esattamente come è accaduto in Italia nel secondo dopoguerra dove gli immigrati dal sud fecero la fortuna del nord con la presenza di una legge fascista contro l’urbanesimo (ovvero senza lavoro non ci si poteva spostare ma non ci si poteva spostare se non c’era il lavoro. Ovviamente tutti si spostavano, ma nella non legalità). L’anticapitalismo “spirituale” dei bei tempi andati della carrucola e dell’artigiano li lascio volentieri al socialismo nazionale (da leggere al
contrario) ed ai marchi rizzi che non hanno problemi di arrivare a fine mese.

Andrea Bellucci