Cosa c’è di nuovo – OMISSIONE DI SOCCORSO

I fatti di Crotone mettono tutti di fronte agli effetti di una gestione fascista delle istituzioni e dello Stato: a fare da cartina di tornasole è la dismissione del concetto stesso di solidarietà nell’applicazione della “legge del mare” che obbliga al soccorso dei naviganti. Quanto affermiamo è dimostrato dal fatto che all’avvicinarsi del caicco turco vengono allertate due motovedette della Guardia di Finanza, preposte al contrasto all’emigrazione clandestina e non la Guardia Costiera, competente a operare il soccorso in mare e dotata dei mezzi idonei. Questa decisione è il frutto perverso della politica avviata dal primo decreto Salvini approvato – è bene ricordarlo – del primo Governo Conte – e oggi applicata grazie ai titolari del ministero degli Interni e di quello dei Trasporti, dai quali rispettivamente dipendono i due corpi dello Stato.

Una svolta che viene da lontano

Cominciò Minniti a inaugurare una politica repressiva dell’attività di soccorso in mare scolta dalle ONG con l’intento di togliere spazio alla propaganda leghista legittimando i campi di concentramento libici, pagando i trafficanti, perché si travestissero da guardia costiera libica e affinché con le motovedette fornite dall’Italia limitassero il flusso di migranti. Il successivo Governo di Lega e 5 Stelle fornì la base giuridica al contenimento delle attività di soccorso e la applicò reprimendo in modo crescente chi prestava soccorso.
Con l’aggravarsi della crisi economica e climatica l’emigrazione si rafforzò grazie all’esodo dal Nord Africa e soprattutto dalla Tunisia, scegliendo il “fai da te”. Attualmente un traffico con piccole imbarcazioni collega il Nord Africa alla Sicilia al punto che oggi 80 % di coloro che arrivano dal mare sbarcano autonomamente, o vengono accompagnati e spiaggiati sulle coste siciliane.
Ma se l’arrivo dall’Africa è il dato più appariscente e mediatico del fenomeno migratorio, accanto a questa rotta c’è quella balcanica che lambisce il Nord del paese. Si tratta di una rotta terribile, dove la morte non arriva dal mare, ma per gli stenti, dalla sofferenza, dal freddo, dalle manganellate dei poliziotti dei paesi attraversati, dalle barriere elettrificate delle quali i territori sono ricoperti.
In alternativa a questo percorso esiste da sempre via mare la rotta che porta i migranti dall’Egitto e dalla Turchia alle coste ioniche. Si tratta di una rotta non pattugliata dalle ONG, ormai costrette a lasciare sguarnite le zone di operazione davanti alle coste africane, respinte nei porti del Nord del paese dalla politica migratoria dell’attuale
governo, che le multa, le costringe ad effettuare un solo soccorso per volta, le obbliga a soste punitive. Le capitanerie dei porti della costa ionica lo sanno bene e infatti, in passato, non sono mancati i soccorsi.
Ma ora le cose sono cambiate ed è cambiata la gestione del servizio di vigilanza, imponendo come prioritaria l’azione di vigilanza delle frontiere. Questa impostazione fa si che con un mare in tempesta l’avvicinarsi di un natante palesemente carico di migranti diviene solo una super azione di polizia, eseguita da due motovedette della Finanza che vengono inviate a sorvegliare l’atteso spiaggiamento del natante per poter poi segnalare e intercettare sulla riva i clandestini. Un comportamento cinico che si confà a due “cattive persone” quali sono i responsabili dei dicasteri degli interni e della marina, i quali hanno fatto prevalere la loro visione dei compiti istituzionali di un corpo, quello della Guardia Costiera, composto di marinai sempre solidali verso la gente del mare e chiunque si trovi in pericolo.

L’obbligo di soccorso

Eppure, non era difficile prevedere, dopo il terremoto in Anatolia, che è costato 50.000 morti, dopo le devastazioni che ha prodotto, che si aggiungono a quelle della guerra in Siria, Iraq e alla repressione del popolo Curdo, che il fiume di umanità disperata, ingrossata da coloro che fuggono alla repressione in Iran e in Afganistan, avrebbe
finito per ingrossare il flusso di disperati in fuga. Anzi ci sono tutti gli elementi per pensare che i viaggi di coloro che percorreranno la medesima rotta non può che aumentare massicciamente, proprio a causa degli eventi ricordati. C’è quindi da temere che questo sia solo il primo di tanti altro disastri.
In questo contesto quello che è grave e che deve scandalizzare non è il fatto che la premier non abbia ritenuto di rendere omaggio alle salme dei morti, ma che, ipocritamente, abbia osservato il minuto di silenzio in loro memoria, insieme ai suoi compari, responsabili della politica dei vari Stati partecipanti al G20.