La Grecia sotto attacco

Quello che sta avvenendo in Europa, e la crisi greca in particolare, ha indotto ad aprire una discussione nel collettivo redazionale che al momento ha prodotto spezzoni di riflessione settoriali che abbiamo ritenuto utile sottoporre all’attenzione dei lettori della Newsletter con i quali, anche utilizzando la disponibilità del sito [www.ucadi.org], riteniamo si possa comunque aprire una riflessione e un confronto.

Agli zoppi, grucciate

Le misure imposte alla Grecia dall’Europa e dal Fmi per concederle un nuovo prestito si abbattono su di un paese già fortemente provato dalle misure draconiane già varate negli ultimi due anni. Molti osservatori cominciano finalmente a pensare che un  continuo taglio delle spese avvita un’economia già in recessione sempre più su se stessa. Meno circolante, meno consumi, meno produzione e quindi di nuovo meno circolante.
Il risultato non può che essere minori entrate tributarie e quindi una nuova impossibilità di far quadrare i conti; ciò renderà necessarie nuove manovre e così via.
Quadrare i conti è l’imperativo che il sistema finanziario internazionale si è posto come obiettivo, ovviamente per tutelare i propri interessi, quello stesso sistema finanziario che ha scatenato la crisi, costituendo i propri immensi profitti prima del 2007 grazie alle deregolamentazione del sistema bancario, e poi grazie alla crisi stessa. Per esempio, la Banca Europea, che tante garanzie vuole per concedere un prestito alla Grecia di
130 miliardi di €, ha dato alle Banche 500 miliardi al misero tasso di interesse dell’1%; le Banche hanno incamerato e prestano lo stesso denaro al 3-4%, facendo immensi profitti e le autorità europee non hanno il minimo controllo dei beneficiari delle erogazioni, di modo che non vi è alcuna garanzia che i fondi elargiti vadano ad alimentare le economie in crisi e non la speculazione.
Il sistema finanziario internazionale, però, è anche miope, per la propria inveterata abitudine a considerare solo i profitti immediati e per l’incapacità di avere un progetto di più ampio respiro. Non permettere alle economie in difficoltà una possibilità di ripresa rende alla lunga tutt’altro che esigibili i suoi crediti. Le banche tedesche che sono in possesso di molti dei titoli di Stato greci potrebbero vedere insoddisfatti i propri appetiti.
Ma la fiorente economia tedesca, così rigorosa e virtuosa, che ha puntato tutte le proprie chances di successo sui prodotti di qualità, in quali mercati piazzerà le merci prodotti se rimarrà circondata da paesi in declino economico? Non certo nel terzo mondo o in Cina.
Una notazione infine sull’andamento generale dei mercati (che nell’accezione odierna sono solo quelli speculativi e non hanno nulla a che vedere con l’economia reale, dove si danno soldi per acquistare merci): si sente dire che l’Europa è sotto attacco perché presenta delle carenze strutturali, in particolare gli elevati debiti pubblici di molti paesi. Gli Stati Uniti d’America hanno un debito pubblico elevatissimo (94,36% del PIL nel
2010) ed una struttura produttiva fortemente indebolita da decenni di neoliberismo e deindustrializzazione; perché, viene da chiedersi, essa non è soggetta al medesimo attacco?

Sulle cause politiche della crisi

La crisi greca, oltre che dalle cause internazionali, nasce da una situazione strutturale della società ellenica e del ruolo di questo Stato nella storia in relazione all’equilibrio geopolitico d’Europa. La Grecia non ha mai dimenticato sogni egemonici nell’area balcanica in funzione anti turca ed è stata artificialmente tenuta in piedi da USA e Nato come pedina meridionale di contrapposizione ad Est e come bilanciamento al rapporto
dell’Occidente con la Turchia utilizzata in funzione di difesa preventiva verso il mondo arabo islamico. Oggi il fronte orientale è venuto meno. Dopo il crollo dei paesi dell’Est, i paesi balcanici dell’area ex grecofona mal sopportano i tentativi della riproposizione della Grecia in funzione egemonica (conflitto con la Macedonia) ma soprattutto il tradizionale avversario della Grecia, la Turchia, marcia ad una crescita di circa il 10% annuo.
Usa e Nato non hanno la forza e le risorse per continuare a sostenere la Grecia, in quanto è in crisi e in fase di ridefinizione la loro politica strategica complessiva. C’è chi pensa che la Grecia debba provvedere da sola ed armarsi. L’Unione Europea, consapevole di queste difficoltà e alla ricerca di mercati per le proprie armi, ha venduto alla Grecia un vero arsenale, fatto di sottomarini, navi aerei, tanks, come condizione per alimentare l’indebitamento.
Gli errori di gestione dell’economia greca, lo sperpero di risorse avvenuto con le Olimpiadi, la corruzione e il clientelismo hanno fatto il resto e la ricetta neoliberista in un paese povero di capitali, ha scaricato sullo Stato e sui servizi da esso erogati il peso della crisi.

La parola alla piazza

Si giustifica perciò la richiesta delle piazze di “non pagare il debito”, non solo ridimensionandolo e rinegoziandolo, ma restituendo in pagamento a Germania e Francia che hanno venduto gli armamenti questo immenso arsenale imposto. Questa proposta, che è una di quelle centrali del movimento popolare, è sostenuta da manifestazioni e scioperi, che sono sfociati in aperta ribellione, aspramente criticata come ribellismo, sottolineando comportamenti criminali dei manifestanti.
Sarò, ma mentre i manifestanti bruciano palazzi e negozi il governo e il capitalismo internazionale brucia vite, toglie anche le possibilità minime di vita, distrugge l’assistenza sanitaria e i redditi minimi, espelle la popolazione dalle abitazioni, diffonde miseria e fame. Se i manifestanti incendiano Atene, Berlino, Parigi e la finanza internazionale fanno peggio: gigantesche pire di greci!
Attenzione, una crisi del genere, che mette in discussione la sussistenza di condizioni fondamentali e essenziali di vita, si presta anche ad un’uscita a destra e all’azione di un governo autoritario che da un lato garantisca il pagamento del debito ai creditori e dall’altro tragga le conseguenze dal regime di fascismo bianco che la strategia del capitale speculativo persegue applicando licenziamenti selettivi sulla base delle clientele e impoverendo settori e ceti in alternativa ad altri. Non è escluso che si tenti un nuovo esperimento Cile portando alle estreme conseguenze quel che potrebbe succedere per effetto delle “democrazia” sospesa che caratterizza sempre di più molti stati d’Europa. La Grecia non è nuova a svolte a destra imposte dal fronte occidentale. La Grecia ha sempre avuto forti tendenze di sinistra che sono state bloccate nel 1945, col consenso di Stalin, e nel 1966 con i colonnelli. Non è solo la patria della democrazia ma anche il luogo della sua sospensione. La Germania lo sa bene e ci prova.

I riflessi della crisi greca

Discutendo delle conseguenze della crisi greca si sottolinea l’effetto di trascinamento che essa potrebbe avere verso Portogallo, Spagna e Italia, ma poco si parla delle economie dell’Est e della loro crisi. Sarebbe invece interessante andare a vedere cosa sta succedendo e pensare a cosa può succedere. Non dimentichiamo che a causa dell’emigrazione abbiamo in casa una buona parte di quelle popolazioni e che quindi le
ripercussioni nelle economie dell’Europa occidentale, Germania compresa, sarebbero enormi. In questa carenza di iniziative politiche gravissime sono le responsabilità dei partiti socialisti d’ispirazione riformista, ma anche quelle di amebe con il Partito Democratico in Italia.
Per uscire a sinistra dalla crisi bisogna misurarsi sul terreno delle proposte e costruire strutture sociali di sostegno della popolazione, promuovere risparmio energetico e nuova economia finalizzata al sociale, esigere assistenza sanitaria e aiuto per le fasce deboli come condizione irrinunciabile e prioritaria, affermare il bisogno dell’istruzione, non dimenticando che, ad esempio, sono ben 60 mila i giovani greci che studiano all’estero e che sono costretti a restarvi per assenza assoluta di prospettive nel proprio paese. In questo modo un paese muore. La solidarietà internazionale è uno degli altri terreni su cui misurarsi. Oggi i movimenti antagonisti, sotto il peso dell’attacco capitalistico, sono chiusi in se stessi e non esprimono quella solidarietà internazionale che sarebbe necessaria. Si dirà che movimenti come gli indignados sono diffusi in tutti i paesi e conducono una battaglia internazionale di contrapposizione al capitale e questo è certamente vero, ma non basta. Ci sono come, ed è il caso della Grecia, degli anelli più deboli che minacciano di spezzarsi prima di altri e vanno perciò sostenuti dalla solidarietà di classe. Occorre rendersene conto ed agire.
La discussione continua …

Il collettivo redazionale