ICI ma non solo

Di fronte al crescere degli interventi economici messi in atto dal Governo Monti soprattutto gli organi di stampa si sono chiesti se nella nuova situazione economica sia ancora possibile sostenere trattamenti di assoluto privilegio come quelli accordati alla Chiesa Cattolica e ai suoi enti. Alcuni giornali hanno cercato di mettere insieme i dati relativi all’entità complessiva del costo per le finanze pubbliche delle attività della Chiesa cattolica fornendo cifre tra loro molto diverse a causa di una legislazione di favore tanto frammentata quanto diffusa che discende da norme di tipo concordatario, ma anche e soprattutto da leggi ordinarie che contengono al loro interno norme speciali di favore per la Chiesa cattolica e i suoi enti.
Anche se non disponiamo, come si è detto, di dati certi possiamo ragionevolmente ipotizzare un importo totale che tra erogazione di finanziamenti pubblici, esenzioni da imposte, pagamenti di stipendi, finanziamenti per attività immobiliari (tale è anche la costruzione di edifici di culto) ammontano ad un totale annuo, che va da un minimo di 10 miliardi di euro fino a un massimo di 15 miliardi: insomma l’entità di una manovra
finanziaria!
Preoccupati dall’emergere di questo dibattito i sostenitori del Governo, con il consenso della stessa Conferenza Episcopale Italiana (CEI), hanno pensato di spostare il dibattito su un solo aspetto del problema, dal valore economico relativo ma di forte impatto mediatico e di immediata percezione: i mancati introiti dello Stato per omesso pagamento dell’ICI dovuta dalla Chiesa per le attività di carattere economico svolte in edifici di proprietà di enti ecclesiastici. A riguardo il vice presidente della CEI (il presidente solo per l’Italia è il Papa, direttamente), il Cardinal Bagnasco, ha dichiarato di essere pronto a discuterne.

Furbizie ecclesiastiche e astuzie dei professori

La scelta di restringere il dibattito al pagamento dell’ICI è necessitata dal fatto che comunque lo Stato italiano entro l’estate dovrà intervenire sull’argomento a seguito di una condanna quasi certa dell’Unione Europea che sta aprendo una procedura di infrazione contro il nostro paese per turbativa della concorrenza.
Su iniziativa radicale è stato presentato un ricorso in sede europea sostenendo che l’esenzione dal pagamento dell’ICI accordata agli enti ecclesiastici viola la concorrenza in quanto le attività da esse gestite godono di un trattamento di favore rispetto ad altri operatori economici che turba il mercato.
Avviene così, ad esempio, per un monastero che affitta le sue celle per “turismo religioso” rispetto ad analoga attività alberghiera di un privato, per un’agenzia turistica che organizza pellegrinaggi, rispetto a una normale agenzia turistica, per una casa di cure o un ospedale che percepiscono laute rette rispetto a analoghe attività di privati, ecc.
Come è possibile che ciò avvenga: l’art. 15 della L. 222/85, emanata a seguito della revisione del Concordato, stabilisce che: “Gli enti ICI ma non soloecclesiastici civilmente riconosciuti possono svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, alle coICI ma non solondizioni previste dall’articolo 7, n. 3, secondo comma, dell’accordo del 18 febbraio 1984” e all’art. 16 che: “Agli effetti delle leggi civili si
considerano comunque: a) attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’eICI ma non soloducazione cristiana; b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura, e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro.”
Leggi successive e unilaterali dello Stato hanno dato una concreta interpretazione del punto b) dell’articolo appena citato estendendo il più possibile l’esenzione e stabilendo che la presenza di attività a carattere religioso anche se residuali divenivano elemento prevalente per qualificare l’attività come religiosa e quindi per evitare il pagamento. Queste scelte del Governo Prodi come quelle del Governo Berlusconi, i cui provvedimenti sono sempre stati mirati a accaparrarsi il favore delle gerarchie ecclesiastiche.
A turbare la combine è intervenuto l’ordinamento comunitario il quale considera le confessioni religiose delle agenzie che collocano il sacro sul mercato dei bisogni religiosi (art. 17 Trattato di Lisbona) e le parifica alle associazioni filosofiche non confessionali (associazioni di atei e non credenti). Per l’Unione dunque le
confessioni religiose sono delle aziende e come tali non possono ricevere aiuti statali, nemmeno sotto forma del non pagamento di imposte, e ciò per non turbare la concorrenza attraverso attività agevolate sia nei confronti di altri operatori privati che svolgono lo ICI ma non solostesso tipo di attività, sia verso altre confessioni religiose.
Da qui la procedura d’infrazione delle regole comunitarie e la condanna quasi certa dell’Italia a una multa per violazione dell’ordinamento comunitario. Da qui la convenienza del Governo ad intervenire per evitare la condanna, dimostrandosi rispettoso dell’ordinamento comunitario, mostrando all’opinione pubblica di saper intervenire anche per quanto riguarda la Chiesa cattolica con una politica
di equità e rigore.

L’ammontare dell’affare

Per calcolare l’ammontare effettivo dei benefici fiscali, visto che per stabilire la possibilità di imposizione dell’imposta si fa riferimento all’attività svolta, occorrerebbe innanzi tutto parlare non solo di ICI ma anche di IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) e di IRES (Imposta sul Reddito delle Società). Infatti all’interno di un immobile in genere si svolge un’attività produttiva ad opera di una società che assume le più diverse forme giuridiche. C’è da dire che da tempo gli che vuol dire che lo Stato ha dato unilateralmente alle attività delle confessioni religiose più vantaggi di quanti ne abbia dato la legislazione negoziata o bilaterale frutto del Concordato. li Enti ecclesiastici hanno imparato a conferire alle proprie attività una veste giuridica cucita ad hoc dalla legislazione ordinaria. Si veda ad esempio l’art. 10 della legge sulle ONLUS che prevede per quelle a carattere ecclesiastico forme di contabilità e di controllo più leggere che per gli altri tipi di ONLUS, nonché la legislazione in materia di Imprese di Utilità Sociale. Questi tipi di legislazione vengono preferite dagli enti ecclesiastici perché addirittura più convenienti dal punto di vista economico delle stesse leggi speciali previste a seguito del Concordato; il che vuol dire che lo Stato ha dato unilateralmente alle attività delle confessioni religiose più vantaggi di quanti ne abbia dato la legislazione negoziata o bilaterale frutto del Concordato. Se ne conclude che per mettere fine ai privilegi delle confessioni religiose non basta la denuncia del Concordato e la sua abrogazione ma sarebbe necessaria una operazione di bonifica ben più profonda.
Sulla base di queste prime considerazioni potremmo quindi concludere che il mancato introito dello Stato concernente le attività svolte da Enti ecclesiastici oscilla tra i 600 milioni e 1 miliardo di euro circa. Questo ci dice che sarà importante vedere come l’intervento verrà fatto e quindi leggere con attenzione il testo del provvedimento e verificarne la sua applicazione. In relazione a ciò sarà possibile verificare l’ampiezza del
gettito che deriverà dall’intervento e anche il mantenimento di effettivi privilegi di esenzione fiscale.

Oltre le attività degli enti ecclesiastici

Volendo prendere in considerazione il problema complessivo costituito da una imposizione fiscale paritaria alle attività delle confessioni religiose e in particolare della Chiesa cattolica salta agli occhi l’anomalia costituita dagli istituti per il Sostentamento del Clero. Questi enti definiti per legge enti ecclesiastici in realtà non lo sono, perché la loro unica funzione è reperire in via primaria le somme necessarie a pagare la remunerazione ai ministri di culto cattolici. E’ questa una figura giuridica anomala prevista solo per la Chiesa cattolica che per legge è definita ente ecclesiastico e raccoglie tutte le proprietà che già facevano parte dei benefici, ovvero di quegli enti del tipo delle fondazioni dalle quali i parroci ricavavano in parte il loro sostentamento.
In seguito al Concordato del 1984 questo immenso patrimonio è stato riordinato, i trasferimenti di proprietà sono avvenuti senza pagare alcuna imposta ed oggi è amministrato a livello diocesano dall’autorità ecclesiastica. Per chiarire ciò che avviene basti ricordare le vicende relative alla diocesi di Napoli sotto l’amministrazione del Cardinal Giordano, il quale aveva autorizzato speculazioni finanziarie e borsistiche poi
finite male per nascondere le quali l’Istituto da lui presieduto aveva ritenuto di procedere con speculazioni immobiliari nella città di Napoli, con ristrutturazioni edilizie mediante tangenti, ad organizzare una rete di prestiti ad usura, complice tra gli altri il fratello del Cardinale, come accertato dal successivo processo.
Se è vero che quello napoletano – stiamo parlando della terza più ricca diocesi italiana – costituisce un caso limite, è anche vero che non vi è alcun meccanismo reale di controllo sulla gestione dei patrimoni degli IDSC e di ciò che da essi si ricava e su quanti e quali beni posseduti vengono pagate le imposte. Sappiamo per certo che il fine primario degli IDSC che sarebbe quello di pagare la remunerazione ai preti viene largamente surrogato dal conferimento a molti di essi di incarichi di insegnamento della religione nella scuola pubblica a spese dello Stato e dall’assunzione di numerosi cappellani negli ospedali (1 ogni 250 posti letto). Basti pensare che facendo il numero totale dei sacerdoti afferenti alle 9 diocesi siciliane e rapportandoli al numero dei
cappellani assunti in regione Sicilia, lo stipendio corrisposto dalla regione permette di retribuire un numero pari a quelli in servizio in ben tre diocesi, con buona pace del bilancio della sanità regionale.

Necessità di una impostazione laica dei rapporti tra Stato e Chiesa

Molti, anche a sinistra, parlano di abrogazione del Concordato, spacciandola come la soluzione del problema e individuando in questa scelta la fine dei privilegi per le confessioni religiose e quella cattolica in particolare. Dimenticano che il nostro ordinamento è caratterizzato da un numero infinito di leggi a livello nazionale e regionale, di regolamenti, si delibere comunali e di enti pubblici, di scelte di enti e organismi a partecipazione pubblica , di enti e fondazioni di diritto privato che hanno nei propri consigli di amministrazione ecclesiastici o uomini di fiducia della Chiesa che godono di particolari privilegi e incanalano un costante flusso di risorse verso le attività delle confessioni religiose.
Non solo, le scelte di privatizzazione di molti servizi alla persona, lo smantellamento dello Stato sociale, la ricerca di nuovi settori di profitto per i privati nell’erogazione di servizi, fanno delle confessioni religiose preziose alleate dello Stato nella prospettiva liberista di gestione dell’economia. Dovremo perciò aspettarci un rafforzamento dell’alleanza tra Stato e confessioni, una sempre maggiore privatizzazione dei servizi con l’affidamento di essi alle confessioni religiose, supportati da sgravi fiscali e finanziamento pubblico, con effetti di inglobamento delle comunità religiose nel mercato e disapplicazione del principio di uguaglianza e di neutralità dei servizi erogati.
Per questo motivo le battaglie laiche, la separazione tra Stato e comunità religiose, la difesa di quei diritti della persona che anche nel campo della bioetica oggi si vogliono far dipendere da scelte religiose fanno parte di uno scontro complessivo relativo alla visione della società, all’assetto del mondo, alla fruizione dei diritti. In questa prospettiva la scelta e le battaglie laiche perdono la collocazione esclusivamente anticlericale e
assumono una collocazione all’interno di una strategia di classe volta al ripristino del principio di uguaglianza e al recupero di una prospettiva di libertà dal bisogno.
Per questa battaglia il comunismo anarchico è meglio attrezzato di quanto lo siano altre teorie politiche perché ben conosce l’influenza che gli elementi sovrastrutturali, come ad esempio le scelte in materia etica, possono incidere e condizionare una strategia di classe per l’emancipazione sociale e il disegno di una società futura più giusta e umana.

Gianni Cimbalo