Per una civiltà del territorio e dell’ambiente

Quando si pensa che questi si è formato – politicamente e civilmente – negli anni della caduta dell’idea socialista (e poi del muro di Berlino) che furono tuttavia anche l’epoca stimolante dell’affermazione del pensiero ecologista, della nascita dei Verdi, della Lega per l’ambiente etc., risulta difficile credere che di ciò non abbia avuto, pur indistinta e vaga, cognizione.
Eppure, nei programmi e nei proclami governativi non si trova alcuna traccia della questione ambientale, nessuna riflessione sulla relazione uomo-società-ambiente, niente di niente sui cambiamenti climatici. Il riferimento alle ipotesi ecologiste è semmai mero palliativo alla malagestione del territorio dovuta alla contrattazione e al privatismo in urbanistica, al project financing nostrale per le grandi opere (ora defiscalizzato nello Sblocca Italia), alla finanziarizzazione del mai sopito ius aedificandi (ribadita nella bozza
Lupi) e alla cancellazione dei diritti di urbanità, frutto delle conquiste dei preistorici anni sessanta (standard urbanistici, edilizia residenziale pubblica etc.).
La bozza per la nuova legge urbanistica e il decreto Sblocca Italia si inseriscono, senza scrupolo alcuno, nel solco dell’industrial-capitalismo, oggi finanziarizzato, cui si contrapposero globalmente gli ecologisti. Nei prosperosi eighties, filosofi e scienziati affinarono ipotesi interpretative e pratiche sociali che si dimostrano ancora valide. Espressero l’esigenza del trapasso dall’economia del debito e di mercato verso l’economia di sussistenza; l’autosufficienza economica, politica e culturale delle comunità locali fu individuata come strumento di resistenza all’accentrazione statalista (ad es. nella proposta bioregionalista californiana); la cura e la manutenzione del territorio vennero contrapposte alla politica delle opere pubbliche affette da gigantismo ed eterodirette; il modello insediativo policentrico alla megalopoli, parassita ecologico divoratore di risorse e di energie. La policoltura contadina avrebbe costituito l’antidoto all’avanzata della monocoltura agroindustriale; le energie rinnovabili, di piccola scala, diffuse e prossime al luogo di consumo (il tema ha sfondato, ma con gli effetti di devastazione territoriale che conosciamo), avrebbero sostituito le grandi centrali e i grandi affari energetico-petroliferi; il potenziamento del trasporto pubblico locale avrebbe evitato la dissipazione energetica dei grandi sistemi di mobilità autostradale ed aeroportuale. Usando le parole di Ivan Illich, si avvertiva diffusamente l’esigenza che il valore di scambio cedesse il passo al valore d’uso, la competizione alla convivialità, la carenza al dono, mentre Edward Goldsmith propugnava un sistema socio-economico stabile e in equilibrio – nel rispetto della seconda legge dell’ecodinamica – contro la crescita dissennata e la “produzione per la produzione”.
Assunti, quelli ambientalisti ed ecologisti, che hanno progressivamente perso dignità di comparsa nell’attività parlamentare, ma che nell’azione di base, invece, resistono evolvendosi al mutare dei tempi: lo dimostra l’attività movimentista e comitatesca “in difesa del territorio”, brulicante localmente, fuori da partiti e istituzioni, e da queste troppo spesso castrata e repressa (in val di Susa, manu militari). Rossana Rossanda
aveva richiamato l’esternità della testimonianza intellettuale alla lotta studentesca e operaia; viceversa, la lotta per una nuova civiltà del territorio e dell’ambiente può fare affidamento sul carattere universale, interclassista e intergenerazionale, che unisce la cittadinanza contro i “poteri forti” e distanti dalla Terra. Universalità che rende sempre più urgente, da parte di movimenti e comitati, l’uscita dalla marginalità, dalla liminalità in cui agiscono, per la riattivazione generale e manifesta di un pensiero critico, multiforme e articolato, e di pratiche resistenti che conferiscano alle vertenze locali organicità e risonanza politica peninsulare. Pensiero e operatività a contrasto della dissoluzione del patrimonio territoriale, del travaso dell’erario nelle tasche dei cementificatori, della mercificazione dell’abitare, e, in sintesi, dell’erosione degli spazi democratici sottesa al modello di governo del territorio che si sta prospettando al paese.

Ilaria Agostini, Università di Bologna