La Gelmini ha quasi ottenuto una vittoria sui cattivi ragazzi e i cattivi maestri che la contestano, anche se resta ancora un passaggio per l’approvazione definitiva della “sua” legge.
A giudicare dalle sue dichiarazioni e le rare interviste televisive (senza contradditorio, perché non ce la può fare!), il personaggio assomiglia a un altro ministro che fece una legge, ma non era in grado di parlarne perché non l’aveva letta. Troppo complicata per le loro menti! Ma Tremonti che l’ha scritta (poi bisognerà anche capire meglio con l’aiuto di chi), sapeva bene cosa faceva. Gli studenti, i ricercatori, le forze sindacali
che hanno contestato in questi mesi la legge l’hanno ben capita anche loro.
Hanno capito che è l’ultimo atto di una tragedia che incombe su scuola e università, purtroppo da almeno una quindicina d’anni, grazie a politiche di distruzione dei servizi pubblici che anche sull’istruzione hanno lavorato pesantemente. Ora con questa legge si vuole mettere definitivamente una pietra su ogni aspettativa di egualitarismo (questo l’ha chiaro anche la Gelmini), aprire definitivamente quel poco che resta di pubblico in questo settore al privato che avanza e che viene finanziato quanto è sempre più del pubblico.
Hanno chiaramente capito tutto ciò e infatti hanno messo in campo nella propria opposizione e nelle proprie aspettative non solo i problemi della scuola e dell’università, ma il futuro precario, di disoccupazione, di mancanza di prospettive future, pretendendo alternative.
Hanno capito che quello che si vuole da parte della destra berlusconiana, finiana, e quanti altri, è la fine di un sistema che dia pari opportunità culturali e di giustizia sociale. Non sarà un caso che questo movimento, pacifico il giusto, agguerrito culturalmente, ha inalberato cartelli di difesa formato da copertine di libri, di gommapiuma con un’anima di legno, a dimostrazione che la cultura è l’unica difesa contro un governo che la riduce in macerie; sono stati chiamati per questo book block. Ritrovarsi, discutere, ha fatto emergere con più chiarezza quanto si possa perdere con un’università e una cultura ridotte a macerie, come sarà dura la vita senza prospettive di futuro, non solo lavorativo, ma fatto anche di sogni, di ideali.
Dall’altra parte della barricata il governo Berlusconi, Gelmini e Tremonti proponevano “state a casa” ,“studiate e zitti”, se vi avanza tempo andate a donne (per le donne nessun consiglio, è evidente che o stanno a casa o cercano un riccone, ma questo l’aveva già detto!).
Non sarà un caso che negli stessi giorni crollavano a ripetizioni parte importanti di uno dei musei a cielo aperto più importanti, Pompei, e la reazione di Bondi (sua o del suo Avatar, questo è un problema!) era di stupida rassegnazione. L’importante era mettere tutto in un film che una tale amica di Berlusconi e sua avrebbe girato di lì a poco, superfinanziato dalle casse di quell’erario che non ha ancora dato i soldi per l’ordinaria
amministrazione del 2010 alle Università e ha ridotto chi frequenta le scuole pubbliche a portare la carta igienica da casa (“mandate i vostri figli defecati”, ha giustamente fatto dire alla Gelmini Corrado Guzzanti!), a non avere più assistenza per i diversamente abili e laboratori per gli istituti professionali, solo per dire le cose più evidenti. Nel frattempo si finanziano le scuole private (diciamo prevalentemente cattoliche), sia con fondi
ordinari che con sussidi regionali e comunali.
Non sarà un caso che sia più importante un film che conserverà la memoria di un reperto archeologico come Pompei, invece della conservazione del sito. E poi vuoi mettere per i ricchi amici del premier poter vedere dalla consolle di qualche lussuoso albergo dei dintorni di Pompei quelle “rovine”, mentre si sperperano milioni di euro nei beni di lusso (il solito Berlusconi ha ben espresso questo concetto “macché cultura da
esportare, noi esportiamo beni di lusso”).
Non sarà un caso che il movimento di opposizione che si è fatto ben vedere in Italia ( si è giunti ad occupare per cinque ore la stazione a Pisa) e all’estero (striscioni a Parigi, al Cern di Losanna, ecc), ha inalberato libri classici della cultura italiana e mondiale, prevalentemente del Novecento, quel secolo nel quale, accanto a immani tragedie, sono avanzati e resi praticabili concetti di uguaglianza, libertà e giustizia per tutti.
Non sarà un caso che a ragazze e ragazzi, uomini e donne che si sono impegnati in questi movimenti accusati di essere vecchi, appunto di un altro secolo, noi comunisti anarchici invece auspichiamo di arretrare ancora un po’ nella cultura e nelle esperienze di quel secolo, per prendere la rincorsa e sbaragliare a suon di vecchia cultura egualitaria il “nuovo”che ci ammorbato finora.
E’ tempo di passare alle proposte, di lasciare al movimento la possibilità di arricchire le elaborazioni già fatte, per portare in piazza, nelle sedi di confronto fra le varie realtà di opposizione, le prospettive per un futrto che nascano dalle esperienze di lotta e dai nostri bisogni.
La redazione