Cosa c’è di nuovo – I CORSARI DEI CARAIBI

Dopo 300 anni la guerra di corsa ricompare nel Mar dei Caraibi. A praticarla questa volta non sono gli inglesi che la usarono per destabilizzare il Regno di Spagna e depredarlo delle ricchezze che esso a sua volta drenava nei paesi dell’America Latina e del Centro America, derubando i popoli indigeni, ma direttamente gli Stati Uniti che hanno schierato una potentissima flotta intorno alle coste caraibiche del Venezuela. La scusa è di combattere i trafficanti di droga, ma finora le loro eroiche gesta si sono caratterizzate per l’affondamento di numerose imbarcazioni, senza verificare in alcun modo cosa esse trasportassero e chi le conducesse, probabilmente pescatori. I loro interventi hanno provocato circa 80 vittime.
Come uomini delle praterie, da veri cowboy imbarcati sulle navi, gli statunitensi non conoscono la legge del mare e hanno sparato, uccidendoli, ai naufraghi miracolosamente salvatesi dalle loro bombe, benché si fossero arresi.
Con il passare dei giorni e mentre la flotta bivacca intorno alle coste venezuelane dei Caraibi gli scopi della missione diventano più chiari e manifesti. L’intervento di Trump non è guidato solamente da interessi di geopolitica nel quadro dell’applicazione della dottrina Monroe che vuole l’appartenenza dell’America agli statunitensi, ma avviene con l’evidente scopo di impossessarsi del petrolio venezuelano, (le riserve più grandi del mondo), nonché dello sfruttamento del contiguo e conteso territorio l’Esequibo, una regione di 160 mila km², rivendicata dal Venezuela e dalla Guyana.
Per raggiungere i loro scopi gli Stati Uniti hanno offerto il loro ombrello protettivo alla Guyana e mirano a impossessarsi dei diritti di sfruttamento sull’intera area per controllare il mercato internazionale del petrolio e assicurare agli Stati Uniti la commercializzazione di quanto viene estratto da questo ricchissimo territorio.
Colpiti dai loro interessi olandesi e britannici, che conservano possedimenti e basi militari nell’area hanno posto il loro timido divieto all’azione degli Stati Uniti, rafforzata e motivata dalla avidità trumpiana, esplicitando il loro dissenso, in difesa degli interessi della Shell e della British Petroleum, ovvero di due delle compagnie petrolifere più potenti del mondo che già hanno messo le mani su parte di questi giacimenti e ambiscono ad ampliare la loro sfera d’azione o almeno a partecipare al banchetto.
Mentre la squadra navale è ferma in attesa che la Cia organizzi le quinte colonie all’interno del paese, magari acquistando a suon di dollari il consenso tra i militari dell’esercito venezuelano, recentemente la flotta si dedica all’arrembaggio delle petroliere che partono dal Venezuela e si impossessa del prezioso carico dirottandolo verso i porti USA.
Allo stesso tempo la battaglia si combatte tra le lobby che sostengono le parti interessate, operando nei corridoi del Congresso di Washington. Il Pentagono e i vertici militari americani sembrano essere consapevoli che mettere i piedi sul campo in Venezuela, paese ricco di foreste impenetrabili, comporta il rischio d’impantanarsi in una guerra simile a quella del Vietnam che gli Stati Uniti non potrebbero oggi sopportare. La maggiore debolezza di Trump sta nella persona del suo agente a Caracas, l’inconsistente María Corina Machado, insignita del premio Nobel per la pace, benchè fomentatrice di guerra e nota per aver invocato esplicitamente l’intervento armato USA.
Anche se l’esperimento socialista del Venezuela si presta a numerose critiche, certo esso non si propone, come fa la Maciado di consegnare il paese allo sfruttamento dell’imperialismo statunitense e delle sue multinazionali promettendo via libera allo sfruttamento del paese per ottenere in cambio il potere per sé e per l’élite venezuelana di orientamento liberal fascista, coerentemente al cambio di politica che sta travolgendo il continente.
Le forze anticolonialiste e antimperialiste del Venezuela meritano ogni sostegno.