Tra gli effetti dalla guerra d’Ucraina quello della diaspora della sua popolazione è senza dubbio quello più sottovalutato e meno analizzato in relazione agli effetti che ha prodotto e produrrà nel tempo. Già prima dello scoppio della guerra l’Ucraina era terra di emigrazione verso Occidente, come del resto avveniva in misura ancora maggiore da tutti i paesi dell’est Europa. A lasciare il paese, migrando verso i paesi del Mediterraneo dove più carenti sono le strutture di welfare verso gli anziani, erano soprattutto le donne, mentre la manodopera maschile era costituita in gran parte dalla migrazione stagionale pressoché transfrontaliera con la Germania. Si trattava di una migrazione impiegata soprattutto nell’agricoltura nei lander della Germania est.
La guerra ha provocato un esodo massiccio, superiore ad un quarto dell’intera popolazione del paese, che in un lasso di tempo molto breve ha espulso verso la Russia più di 2 milioni di persone e verso occidente intorno a 10 milioni di ucraini.
Per gestire questa enorme massa di popolazione i paesi dell’Ue hanno fatto ricorso all’applicazione della direttiva d2001/55/CE del Consiglio d’Europa, emanata dopo le guerre balcaniche, che stabilisce norme minime per la concessione della protezione temporanea. Si tratta di un provvedimento del Consiglio Ue, che conferisce una protezione temporanea eccezionale a persone sfollate o vittime di calamità naturali che in questo caso si applica ai cittadini ucraini residenti in Ucraina prima del 24 febbraio 2022, data di inizio dell’invasione russa. Questa protezione include diritti come il permesso di soggiorno, l’accesso al mercato del lavoro e all’alloggio, assistenza medica e accesso all’istruzione per i minori. La durata di questa protezione è stata prorogata più volte, inizialmente per un anno, poi per un ulteriore anno, attualmente fino al 4 marzo 2026. I permessi di soggiorno per protezione temporanea possono essere rinnovati e convertiti in permessi per motivi di lavoro.
La distribuzione dei rifugiati
Come era ovvio, in una prima fase l’esodo della popolazione Ucraina si è riversato sui paesi confinanti, tanto che sia la Romania che la Polonia, come la Moldavia possono essere considerati sia come paesi di transito che come paesi di secondo insediamento, anche in ragione della loro vicinanza al confine con la madrepatria. Molti ucraini hanno scelto di insediarsi in questi paesi per continuare ad avere rapporti con il paese d’origine e sviluppare commerci e attività economiche, riparo dagli eventi bellici. Tuttavia la gran parte degli ucraini ha cercato e trovato rifugio ben oltre i paesi di confine, trovando ospitalità soprattutto in Germania, mentre la Polonia può essere considerata insieme paese di transito e paese di nuovo rilevante insediamento.
Per meglio comprendere caratteristiche e identità del fenomeno è bene prendere in esame alcuni dati relativi ai diversi paesi, sottolineando caratteristiche e natura delle provvidenze adottate a favore dei rifugiati, anche in relazione alle possibilità di trovare lavoro e di costruirsi una nuova stabilità. Infatti una delle caratteristiche dell’esodo, anche in ragione alla persistente durata del conflitto, è che il nuovo insediamento assume sempre più un carattere stanziale e definitivo.
In Romania sono entrati circa 5,4 milioni di ucraini dall’inizio della guerra, di cui oltre 86mila sono rimasti nel paese come rifugiati, principalmente donne e bambini. Altri hanno continuato il loro viaggio verso altri paesi dell’Ue, come Germania, Francia e Italia, Spagna o recandosi oltre oceano, dove hanno beneficiato di protezione temporanea.
La Polonia ha accolto un gran numero di rifugiati ucraini, si calcola 1,5 milioni, utilizzando i finanziamenti Ue, ma il programma di assistenza è andato ben oltre grazie a stanziamenti dello Stato polacco per cui in realtà non si conosce il numero reale della popolazione ospitata.
Nel Regno Unito, i rifugiati ucraini sono stati accolti tramite il “Ukraine Family Scheme” e altri programmi di sostegno. Il Regno Unito ha anche offerto indennità di affitto e sostegno economico a chi ha ospitato i rifugiati.
Attualmente, ci sono oltre 254.000 rifugiati ucraini nel Regno Unito, e il governo ha prorogato la loro possibilità di rimanere per altri 18 mesi. Inoltre è stato predisposto un programma che aiuta chi decide di ospitare una famiglia in fuga dalla guerra; ultimamente la domanda è nettamente superiore all’offerta. È bene sottolineare che l’ospitalità degli ucraini avviene in deroga e in controtendenza ai respingimenti adottati nei confronti dei profughi proveniente da ogni altro paese del mondo.
In Italia sono stati accolti con lo status di protezione temporanea oltre 175.000 rifugiati ucraini, principalmente donne e minori. Molti di essi, circa l’86%, prevedono una permanenza a medio o lungo termine. L’integrazione è sostenuta da progetti come PUOI, che offrono percorsi di orientamento, accompagnamento al lavoro e tirocini. Si calcola tuttavia che il numero di ucraini presenti in Italia sia almeno il doppio, poiché ai rifugiati vanno sommati coloro che precedentemente erano presenti in Italia per motivi di lavoro in forme più o meno ufficiali e che dopo lo scoppio della guerra hanno visto regolarizzata la propria posizione.
In Spagna, i rifugiati ucraini sono oltre 170.000 beneficiari di protezione temporanea. L’integrazione, però, non è semplice: oltre la metà non ha un indirizzo, e la percentuale di ucraini che ha trovato lavoro è del 15%, molto inferiore alla media europea del 40%. La Spagna ha anche regolarizzato gli ucraini che risiedono senza documenti, offrendo loro la protezione temporanea. I permessi di protezione temporanea possono essere rinnovati fino a marzo 2026 e convertiti in permessi di lavoro. Risultano essere 236.000 coloro ai quali è stato prorogato il permesso di residenza nel paese perché già presenti sul territorio spagnolo precedentemente alla guerra.
Un discorso a parte va fatto per la Germania dove attualmente vivono circa 1,2 milioni di rifugiati ucraini, il 63% dei quali sono donne. Circa 360.000 sono bambini, che non possono lavorare. Proprio a causa del loro numero crescente i rifugiati non riceveranno più il Bürgergeld, (prestazione sociale rivolta alle persone abili al lavoro, che si trovano in condizioni di indigenza, strumento quindi per certi versi paragonabile al reddito di cittadinanza), normalmente riservato ai residenti permanenti in Germania. Dal nuovo Governo riceveranno invece le Asylleistungen, (sussidio per l’asilo) che garantisce meno denaro. In base al Bürgergeld, i single ricevevano 563 euro al mese, mentre i richiedenti asilo hanno diritto a 122 euro in meno e ricevono 441 euro, tramite una carta di pagamento. I rifugiati ricevono meno denaro se condividono l’alloggio, anche se le spese di alloggio sono comunque coperte. Il Bürgergeld è finanziato dalle tasse del
governo federale, mentre il sostegno all’asilo proviene dai Lander e dai Comuni.
Questo mutamento della normativa è avvenuto con il nuovo governo proprio a causa delle polemiche sorte in relazione alla politica di sostegno ai rifugiati che tante proteste ha suscitato tra gli elettori, tanto da costituire una delle ragioni principali alla base della decisione della coalizione Ampel di concedere ai rifugiati provenienti dall’Ucraina lo
status di residenza, perché in questo modo i rifugiati possono ricevere più velocemente i permessi di lavoro e pesare meno sulle casse dello Stato e dei Länder.
Tuttavia, attualmente non è chiaro se la classificazione degli ucraini come richiedenti asilo andrà oltre e avrà un impatto sul loro diritto di lavorare in Germania. In base al quadro normativo sui richiedenti asilo, i rifugiati non possono lavorare per i primi tre mesi e, in seguito, devono affrontare ulteriori restrizioni. La presenza ucraina alimenta in Germania il consenso sulla cosiddetta politica di re immigrazione che prevede il respingimento dei migranti nei paesi d’origine.
Risultano essere invece solamente 13.000 i rifugiati ucraini che hanno chiesto la protezione internazionale in Francia. Lo stesso ordine di grandezza è sopportato da paesi ben più piccoli come l’Olanda, la Danimarca i paesi baltici, il Portogallo: di una qualche consistenza anche l’esodo verso il Canada, gli Stati Uniti e l’Australia.
Protezione temporanea e principio di uguaglianza
L’istituto della protezione temporanea, nato dalla cattiva coscienza dell’occidente, consapevole di avere prodotto con i suoi interventi devastanti nella vita dei popoli problemi irrisolti di convivenza – non è un caso che la direttiva Ue viene emanata a seguito delle crisi balcaniche – non ha mancato tuttavia di sollevare seri problemi in relazione alla violazione del principio di uguaglianza, introducendo delle disparità di trattamento all’interno stesso delle popolazioni dei paesi d’Europa, tanto più che esso si è intersecato e ha interagito con il parallelo fenomeno della migrazione verso il continente di popolazioni provenienti da tutte le parti del mondo.
Misure di sostegno a favore di popolazioni in particolare condizioni di disagio appaiono comprensibili e sopportabili laddove per la totalità della popolazione esistono istituti di sostegno a favore di quella parte più svantaggiata che sente con maggiore disagio i problemi economici e sociali, ma possono risultare estremamente discriminanti laddove
il sostegno viene erogato in una situazione in cui una la parte più svantaggiata della popolazione autoctona rimane priva di alcuna forma di sostegno.
Si dà il caso che in Italia l’applicazione della direttiva della Comunità europea a favore dei profughi ucraini abbia coinciso con la pressoché coeva e contemporanea soppressione del reddito di cittadinanza. Da qui scaturisce una comprensibile reazione di invidia sociale per una categoria di persone che appare particolarmente e immotivatamente protetta, tanto più se si considera che contemporaneamente vengono adottate politiche di respingimento nei confronti dell’emigrazione clandestina e irregolare di persone che raggiungono il paese, percorrendo quella che è nota come rotta balcanica, in provenienza dal Medio Oriente e dal sud del mondo, oppure tra coloro che giungono in Italia attraversando il mare.
In altre parole la diaspora ucraina alimenta e complica ancora di più il problema migratorio, non solo in Italia ma con particolare rilevanza in Romania e in Germania, dove ha contribuito allo spostamento dell’elettorato a destra, a favore di quei partiti che si oppongono alla guerra di Ucraina, al suo finanziamento e quindi promettono di porre fine all’erogazione di risorse verso questa fascia di popolazione.
Fa riflettere il fatto che i governi europei adottino in misura crescente politiche di contenimento dell’emigrazione proveniente dal sud del mondo, invocando la diversità culturale e il colore della pelle dei migranti come elemento di differenziazione, mentre lasciano aperte le porte al dispiegarsi della solidarietà e dell’accoglienza verso le popolazioni ucraine. Sorge il sospetto che la migrazione dall’Ucraina venga vista con maggior favore, trattandosi di popolazione proveniente da altro paese d’Europa, di cultura e religione che si suppone affine e, soprattutto, caratterizzata da una pigmentazione della pelle che ne permette una più facile integrazione e una non immediata riconoscibilità in ordine alla diversa provenienza.
Dai comportamenti politici e da quelli collettivi traspare in buona sostanza il profondo razzismo che caratterizza la società europea e impregna di sé anche la legislazione e si traduce in una differente normazione che di fatto crea le basi giuridiche per la discriminazione. La guerra d’Ucraina diventa così una delle modalità con le quali gli Stati europei rimpolpano la propria popolazione, reclutando quelle quote di cittadini che vengono a mancare a causa della decadenza demografica degli Stati europei, afflitti da una decrescita pressoché esponenziale della natalità, attraverso l’introduzione di una deriva a carattere razziale. L’esodo indotto dalla guerra ha fatto imboccare a una parte del popolo ucraino una strada senza ritorno che porta alla diluizione della propria identità.
Tuttavia questa scelta suscita crescenti resistenze, tanto che è di questi giorni la notizia che la Ue, ha deciso di non prorogare l’esenzione doganale all’importazione dei prodotti agricoli ucraini, il che di fatto comporta l’introduzione di dazi doganali a partire dal 6 giugno: ne ha dato comunicazione il rappresentante della Commissione europea per
l’agricoltura Balazs Uvari.
La politica suicida dei partiti della sinistra e la guerra d’Ucraina
I partiti dalla sinistra riformista. assumendo acriticamente la difesa dell’Ucraina quale paese aggredito, sono rimasti vittime di un’analisi affrettata e superficiale delle cause del conflitto che invece vanno ricercate nella necessità di mantenere un equilibrio geostrategico tra le differenti aree di influenza ma anche tenendo presenti i valori fondanti sui quali la stessa Unione europea è stata costruita.
Approfondendo questo aspetto del problema rileviamo che uno dei principi cardine dello stare insieme dei popoli europei che hanno aderito all’Unione e l’accettazione del principio dell’auto determinazione dei popoli che hanno accettato di farne parte. Questo principio ha valore universale ed è stato invocato quando la stessa Unione l’ha ritenuto
confacente e coerente ai propri interessi, ovvero nel caso della crisi balcanica e della dissoluzione della ex-Jugoslavia, riconoscendo il diritto all’autodeterminazione dei popoli balcanici e la loro richiesta di riconoscere il proprio futuro nel comune destino dei popoli europei. Tuttavia la richiesta di autodeterminazione delle province orientali dell’Ucraina, del Donbass in particolare, non ha avuto altrettanta attenzione; anzi la loro aspirazione all’autodeterminazione e all’autonomia è stata considerata una grave violazione del diritto e una illegittima sollevazione contro lo Stato centrale e la sua integrità. È bene ricordare che l’Unione europea non ha avuto esitazione nell’intervenire nella crisi balcanica favorendo il processo di autodeterminazione dei popoli dei Balcani mentre in questo caso ha fatto il contrario.
Analogamente, piuttosto che sostenere le politiche centralistiche del governo nazionalista ucraino, i partiti della sinistra avrebbero dovuto, coerentemente alle loro posizioni politiche, sostenere il principio di autodeterminazione dei popoli, riconoscendo che analoghi conflitti si risolvono con il riconoscimento dell’autonomia dei territori. Non si può chiedere ai popoli che vengano adottate due pesi e due misure e che a fronte delle richieste delle popolazioni balcaniche si riconosca il principio dell’autonomia, mentre lo si nega alle popolazioni che abitano i territori ad est del Dnipro e in
Crimea.
Il caso virtuoso del Trentino Alto Adige
Anche il nostro paese ha dovuto affrontare il problema di una parte del territorio nazionale nel quale predominavano tendenze separatiste, alimentate da una differenza di lingua e tradizioni. Ci riferiamo al Trentino Alto Adige, ma anche alla Val d’Aosta, regioni per le quali l’ordinamento italiano, compatibilmente a quello europeo, ha previsto e prevede ampie autonomie, che permettono a queste comunità di vivere in armonia all’interno dello Stato nazionale e nell’ambito di una comunità più ampia di Stati. Analoga soluzione avrebbe potuto essere trovata per le province orientali dell’Ucraina.
Una volta impostato in modo corretto il problema dell’autonomia dei territori e delle popolazioni le altre complesse questioni che il conflitto porta con sé avrebbero dovuto e potuto essere affrontate in un’ottica diversa tenendo conto degli interessi delle parti in conflitto, tra l’altro evitando che fossero portati a buon fine operazione di sciacallaggio
da parte di soggetti, terzi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, che hanno avuto tutto l’interesse nel destabilizzare il rapporto di scambio e collaborazione tra manifattura ed energia sul quale si fondava la partnership tra l’industria europea e l’economia russa.
Va ricordato poi che un aspetto non marginale della crisi Ucraina è strettamente connesso al conflitto tutto interno all’ortodossia che oppone il Patriarcato di Costantinopoli al Patriarcato di Mosca che si contendono l’egemonia sull’ecumene ortodossa. Questo conflitto che ha portato alla costituzione di una Chiesa scismatica ortodossa in Ucraina e a persecuzioni religiose appare, se possibile, di una maggiore complessità nell’individuare possibili soluzioni a causa delle implicazioni geopolitiche che porta con se.
L’incapacità di cogliere l’insieme delle problematiche connesse alla crisi dipende dal venir meno nei partiti della sinistra di linee guida di carattere ideale e scientifico e dall’abbandono dell’analisi materialista storica capace di fornire una lettura razionale e coerente della realtà tenendo conto dell’interesse di classe e della lotta dell’internazionalismo proletario, nell’interesse dei popoli, della giustizia sociale e dell’uguaglianza. Utilizzando le categorie proprie della lotta di classe sì sarebbe evitato di cadere nella trappola architettata dalla destra internazionale, evitando di fornire le ragioni per consentire una svolta a destra dell’elettorato della quale tutti paghiamo le conseguenze.
Gianni Cimbalo