Libertà di schiavitù

In Italia il Vaticano incombe e tutti lo corteggiano, purtroppo anche una sinistra che per tornare al governo è pronta a svendere qualsiasi principio su cui si è basata la sua costituzione iniziale. Le sue passate esperienze da maggioranza hanno prodotto guasti non piccoli, guasti in cui i successivi governi di destra si sono facilmente incuneati per peggiorare la situazione. Pensiamo al sistema scolastico. Già molto è stato detto
sull’intrinseca scivolosità del terreno del sistema formativo integrato, che pur sempre palesa anche ad un’analisi superficiale la propria ambiguità. Più pericoloso e più sottile mi appare il dilagare della parola d’ordine della libertà di scelta, che pure alcuni pentiti del laicismo affermano stare nel dettato costituzionale.
Proprio dalla Costituzione è bene ripartire, sia per chiarire la verità di quanto a suo tempo sancito, sia le implicazioni che la libertà di scelta si trascina inevitabilmente e sulle quale è bene fare una riflessione non frettolosa e puramente eufonica.
L’art. 33 della Costituzione recita testualmente:
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollenti a quello degli alunni di scuole statali.
È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
Anche al lettore superficiale appare evidente che in esso non vi è nessun accenno alla libertà di scelta delle famiglie, anzi si dispone esplicitamente che agli alunni che optassero per scuole non statali lo Stato deve pur sempre garantire degli standard di formazione equipollenti a quelli delle scuole statali, per cui la legge nel riconoscere la libertà di intrapresa nel settore della formazione, deve regolamentare questa libertà all’interno non dell’arbitrio, ma del rispetto del diritto al sapere, visto come diritto primario e incomprimibile.
Sia detto per inciso, ma pure è interessante che nel medesimo articolo, anzi proprio al suo inizio, la Costituzione sancisce un’altra libertà e senza alcun obbligo: quella d’insegnamento; garanzia non corporativa, ma necessaria ad un scuola non ridotta a luogo di trasmissione di una verità preconfezionata, esigenza ovviamente molto avvertita subito dopo la dittatura fascista e l’obbligo di giuramento al fascismo per i docenti.
Quello che occorre chiedersi, allora, è perché questa parola d’ordine della libertà di scelta stia filtrando nel linguaggio di tutti i giorni, perché sia pericoloso che venga accettata senza un attenta disanima e quali siano le conseguenze di ordine epistemologico e culturale che essa si trascina inesorabilmente.
Innanzi tutto è necessario intendersi sul significato stesso della parola libertà, tanto presente nel vocabolario della destra e non solo di quella definita non casualmente “liberista”. Non sarebbe certo stupefacente trovare infatti la libertà di scelta tra i principi di una costituzione borghese, come del resto è, senza falsi pudori, quella italiana: il fatto che in realtà essa non compaia è certamente illuminante su quel “compromesso alto” che essa rappresenta, che non a caso viene puntualmente disatteso o sottoposto a continui tentativi di modifica.
Esistono due generi di libertà: la libertà da e la libertà di, e la confusione su questo punto è la fonte di ogni fraintendimento. Per Marx e Engels la distinzione era patente: Questa “libera umanità” e il suo “riconoscimento” non sono altro che il riconoscimento dell’individuo egoistico, borghese, e del movimento sfrenato degli elementi spirituali e materiali che costituiscono il contenuto della sua situazione di vita, il contenuto della vita civile moderna; è stato dimostrato che i diritti dell’uomo non liberano quindi l’uomo dalla religione, ma gli dànno la libertà religiosa, non lo liberano dalla proprietà, ma gli procurano la libertà della proprietà, non lo liberano dalla sordidezza del guadagnare, ma gli concedono la libertà dell’attività diretta a guadagnare[1].
La libertà da viene sempre necessariamente prima di quella di, altrimenti la seconda è una mistificazione, quando non una trappola. Non c’è libertà di espressione se prima non c’è libertà dal bisogno; non c’è libertà di vita se non c’è libertà dallo sfruttamento; non c’è libertà di scelta se prima non c’è libertà dall’ignoranza. Le libertà di sono immobili: presuppongono dei rapporti sociali statici e immutabili, sicuramente non paritari; le libertà da sono un processo attivo, un’intenzione, un’evoluzione: presuppongono la liberazione. Le libertà di, enunciate a prescindere dalle libertà da, rappresentano, al loro meglio, l’esercizio di un diritto ineguale che solidifica le differenze, oppure, in versione meno nobile, la codificazione di un privilegio
esercitabile a scapito di altri. Ma la libertà di scelta è ancora peggio!
Infatti chi sceglie non è il soggetto, che, in quanto in procinto di attraversare un processo formativo, ne sconosce le caratteristiche e non possiede pertanto gli strumenti per scegliere. Chi sceglie per lui è la famiglia.
Ne conseguono due spiacevolissime, ma inevitabili, conseguenze. La prima è che la libertà di scelta relegherebbe i discenti a ripercorrere un sentiero determinato da altri, in particolare dalla casualità dell’appartenenza per nascita: l’esatto contrario di un’educazione, questa sì, libera e plurale, volta allo spirito di ricerca e al confronto fertile delle idee; in altri termini la libertà di scelta delle famiglie è la schiavitù dei
bambini. La seconda è che la società tenderebbe a compartimentarsi per settori ideologici o fideistici, ognuno impermeabile alle ragioni ed alla cultura degli altri (Belgio docet).
Ne consegue che sancire la libertà di scelta equivarrebbe a negare agli allievi il diritto ad una formazione aperta, unica in grado di garantire un loro autonomo e personale processo di crescita culturale.
Accettare questo principio significa richiudere ogni individuo nel ghetto in cui è nato: padano cattolico, marxista-leninista, musulmano, ebraico, e chi più ne ha più ne metta. E che dire di un sistema di valori che affida la propria continuità nel tempo all’isolamento dei più piccoli verso le idee altre? Solo il peggiore oscurantismo mentale può affidare la propria sopravvivenza nel tempo all’indottrinamento precoce e privo di
riscontri e di confronti. Qualsiasi idea politica e religiosa che abbia fede nella propria validità deve avere fiducia nell’adesione libera e consapevole di individui che abbiano maturato un autonomo processo di formazione culturale.

Saverio Craparo

Segnaliamo
Le scuole delle organizzazioni di tendenza tra libertà religiosa e istruzione pubblica di Giovanni Cimbalo
Sommario

I. 1. Il giacobinismo napoletano e le radici originali del rapporto tra scuola pubblica e privata in Italia. I. 2. Le istanze riformatrici della sinistra e la politica dell’egemonia del PCI. I. 3. Il compromesso storico: il riformismo sinistro di Luigi Berlinguer e il
programma dell’Ulivo. I. 4. “Faremo della scuola pubblica quanto di più simile alla scuola privata”. I. 5 La legge n. 62 del 2000 e la regionalizzazione del sistema di istruzione, II.1. Il progetto della destra. La deprivazione funzionale dell’art. 3 Cost. per restaurare la scuola di classe. II. 2. Rifondare la scuola privata come scuola di eccellenza con finanziamenti pubblici. su programmi, tempo scuola, corpo insegnante. II. 3. La scuola privata come luogo di formazione delle élite. II. 4. Esternalizzazione dei costi della formazione e accesso al mercato internazionale delle professionalità e dei ricercatori come scelta strategica. II. 5. Il ripristino dell’autoritarismo e la clericalizzazione della scuola. La ruolizzazione degli insegnanti di religione.
III. 1. La disarticolazione della scuola come strumento d’integrazione sociale. III. 2. Il merito e la valutazione come luogo di travisamento dei valori e dei fini della scuola. III. 3. Il disarmo dello Stato e i problemi dell’emigrazione, del multiculturalismo, della
globalizzazione. III. 4. La territorializzazione del sistema scolastico: una proposta miope. III. 5. Gli strumenti della società civile. Per una scuola della Repubblica.

Può essere richiesto a: crescitapolitica@ucadi.org

[1] MARX, Karl, ENGELS, Friedrich, La Sacra Famiglia, IV,3,b, in MARX, Karl, ENGELS, Friedrich, Opere complete, vol. IV, Editori Riuniti, Roma 1972, p.126.