Testacoda – passato e futuro dell’energia nucleare

Prefazione

Due referendum hanno sancito la volontà generale che l’Italia non ricorra all’energia nucleare per produrre quella elettrica, ma occorre ricordare che in entrambi i casi l’opinione pubblica fu scossa dai due incidenti più gravi della storia della tecnologia, Chernobyl e Fukushima. La Germania sta chiudendo le sue ultime centrali in funzione, ma la lobby dell’uranio rialza potentemente la testa. Le centrali in costruzione si concentrano nelle nazioni a più recente industrializzazione, ma la testa risiede altrove: in Francia, nazione che sul nucleare presenta una specie di monomania e su cui ha versato investimenti enormi, e soprattutto negli Stati Uniti d’America, dove non si costruiscono quasi più centrali, ma dove le industrie legate al ciclo del combustibile fissile sono potenti ed agguerrite. Gli anni ‘70 e ’80 hanno visto nel nostro paese un dibattito ampio ed esteso, ma sono passati oltre trenta anni e molti ora sconoscono i
termini del problema; per di più il tempo ha apportato alla tecnologia nucleare significativi cambiamenti, che lasciano invariati alcuni dei problemi a suo tempo messi in evidenza, ma alcuni ne risolvono e nuovi ne prospettano. Si rende, quindi, opportuno riprendere in esame i vari aspetti dell’uso della tecnologia nucleare, alla luce delle novità che si prospettano e delle problematiche irrisolte.

Il ciclo dell’uranio

L’Uranio deve essere estratto dalle rocce che lo contengono; le miniere vengono individuate grazie alle radiazioni che il materiale emette. Spesso la presenza del minerale nelle rocce è nella maggior parte dei casi percentualmente molto bassa (1 su 1.000), e considerando che la parte non utile alla produzione di energia tramite fissione (238U) rappresenta più del 99% del materiale estratto, occorre circa una tonnellata di Uranio per ottenere poco più di 7 g dell’isotopo fissile (235U). Occorre quindi frantumare una gran quantità di rocce per raggiungere lo scopo; esse [1] poi vanno sottoposte a processi meccanici e chimici per estrarre gli ossidi di Uranio. L’intero processo è molto nocivo per l’ambiente e per i lavoratori; si tenga conto che le particelle di Uranio permangono nel territorio e, nonostante l’uso di acqua per abbatterle, si propagano per l’aria e la vita media dell’elemento è di oltre 4 miliardi di anni. Non è un caso che i paesi che producono più uranio al mondo sono spesso paesi terzi come Niger, Repubblica Democratica del Congo, Namibia e Sudafrica e che le zone degli Stati Uniti e del Canada (maggior produttore in assoluto) sono quelle abitate dai nativi, queste popolazioni, come quelle situate nelle repubbliche nate dalla dissoluzione dell’URSS (Kazakistan, Uzbekistan, Ucraina e Russia stessa), hanno sofferto e soffrono l’insorgenza di molte malattie (neoplasie, leucemie) e di un aumento considerevole dei decessi.

Si parla solo della grappa

Notoriamente nella produzione della grappa dalle vinacce i prodotti dell’ebollizione di queste ultime vengono private della prima parte (testa) e dell’ultima (coda), entrambe con contenuti tossici o sgradevoli. La pittura che la propaganda nuclearista della produzione di energia da fonte nucleare propina al pubblico, fa la medesima operazione: taglia a monte ed a valle. Forse, invece, sono proprio queste due fasi le più problematiche ed in particolare la prima meno conosciuta. Abbiamo appena preso in considerazione il problema dell’estrazione dell’Uranio, con tutti i difetti ambientali e la nocività per i lavoratori impegnati nelle miniere e le popolazioni limitrofe. La storia non finisce qui: la massa dell’Uranio estratto contiene per lo più Uranio non fissile e solo per lo 0,711% Uranio fissile. Nelle gran parte delle centrali nucleari in funzione nel mondo il contenuto di Uranio fissile deve essere elevato al 4-5%, mentre per gli scopi bellici (bomba atomica) deve salire oltre l’80%. L’Uranio così prodotto si chiama Uranio arricchito; per ottenerlo si produce un residuo di Uranio non fissile con minore contenuto di quello fissile (Uranio impoverito, sigla DU), altamente radioattivo, che può essere riutilizzato a scopi bellici. Il processo di arricchimento, a sua volta, rilascia sostanze acide che vanno a contaminare le falde acquifere. Vanno poi implementate le pasticche di combustibile da utilizzare nelle centrali.
La questione del ciclo completo è ancora più problematica: i prodotti di scarto (scorie) sono un problema aperto su cui sarà opportuno soffermarsi successivamente; ma vi è anche il problema del decommissioning, ovverosia della chiusura e messa in sicurezza dei siti nucleari: miniere, raffinatoi, impianti di arricchimento, preparazione del combustibile; le miniere restano un problema per le popolazioni locali, quasi sempre indigene, e quindi fatti loro, ma gli impianti situati nei paesi “civili” devono essere posti in sicurezza, perché a fine carriera fortemente inquinati radioattivamente. È appena il caso di dire che, come testa e coda del ciclo, non vengono prese in considerazione dalla
propaganda, altrettanto sono oscurate dal computo dei costi del kwh nucleare e gravano sulla fiscalità generale.

In nome della CO2

Abbiamo già detto che l’anidride carbonica è stata eletta a furor di popolo nemica pubblica numero uno del clima [2]; è in ossequio a questo assunto, che trascura molti fattori, che è potuto accadere che nella tassonomia predisposta dalla Commissione Europea delle energie “verdi” sia stata inclusa quella di fonte nucleare. Viene, infatti, sostenuto che una centrale nucleare non emette durante il suo funzionamento biossido di carbone, ma l’affermazione è inesatta: poco sì, ma un poco ne emette [3]. La cosa sarebbe trascurabile se, come di solito, non si tiene conto della testa e della coda: tutte le lavorazioni del ciclo della preparazione delle barre di combustibile nucleare, la costruzione stessa della centrale ed il suo decomissioning sono operazioni ad alto impatto di anidride carbonica.

La quarta generazione

Il 22 dicembre u.s. è entrato in funzione il primo reattore EPR (European Pressurized Reactor) al mondo, quello finlandese posto nell’isola di Olkiluoto, un gigante da 1770 MWe, progettato dalla francese AREVA. Questo non è il solo record della centrale: è il primo reattore commissionato in Europa negli ultimi quindici anni, ma la sua realizzazione ha avuto un ritardo di 12 anni (la prima messa in funzione era prevista nel 2009) ed il suo costo è lievitato dagli iniziali 3,2 miliardi di € ai definitivi 8,5. Quello finlandese non è l’unico EPR in costruzione; la Francia ne sta costruendo due e in questi giorni il governo ha annunciato un piano mostruoso di 14 nuove centrali nucleari; per dare il tempo alle nuove di entrare in funzione, le vecchie che dovevano essere dismesse per raggiunti limiti di età (36 reattori), si vedono artificialmente prolungata la vita di dieci anni (se basteranno), con tutti i rischi che questa scelta comporta. Ma gli EPR francesi non sono ancora i mitici reattori intrinsecamente sicuri della cosiddetta IV generazione, appartengono alla III+, ovverosia differiscono molto poco dai reattori che ben conosciamo, ma con una taglia più grande. La IV generazione non esiste ancora, se non allo stato di progetto. Ma cosa significa “intrinsecamente sicuro”? Nel linguaggio dei tecnici nucleari significa che un reattore nucleare dovrebbe essere in grado di prevenire incidenti, correggendo automaticamente le eventuali anomalie di funzionamento che dovessero presentarsi nell’arco della sua vita [4]. La prima considerazione riguarda il fatto che più un sistema diviene complesso e più è vulnerabile, quindi, la presunta sicurezza è una chimera. La seconda considerazione riguarda un fatto storico che avvalora quanto detto sopra [5]: il 28 marzo 1979 negli Stati Uniti, Pensylvania, a Three Mile Island, è avvenuto un gravissimo incidente: un blocco del sistema di raffreddamento portò ad un aumento di pressione; gli operatori cercarono di abbassare la pressione facendo fuoriuscire acqua contaminata del
circuito primario, ma la pressione non scendeva o almeno così indicava un manometro guasto e il nocciolo rischiava di restare scoperto e andare in meltdown; a confronto di quanto stava per succedere l’incidente di Chernobyl è acqua fresca.
Fortunatamente un operatore intuì quanto stava succedendo e immise acqua nel circuito di raffreddamento primario; un sistema di controllo automatico avrebbe seguito ciecamente le indicazioni del manometro e la catastrofe sarebbe risultata inevitabile.

Gli SMR

Gli Small Modular Reactor rappresentano la tecnologia di punta su cui si basano le migliori prospettive di rilancio dell’industria legata all’energia nucleare, ben lontani dal gigantismo che contraddistingue l’opzione francese, come sempre in quella nazione affetta dalla grandeur. Non rappresentano un’autentica novità, ma mille nuovi progetti si stanno affacciando, rendendo più appetibile e vicina la loro utilizzazione. Certo essi cambiano molte metodologie di utilizzo, di modo che alcuni dei problemi storici dell’energia da fissione non si presentino, ma non tutti vengono in realtà risolti.
Gli SMR sono ormai da lungo tempo stati utilizzati nella propulsione dei sottomarini e delle navi. Le loro caratteristiche sono tali da permetterne l’uso chiavi in mano in quanto presentano delle dimensioni modeste (tipo quelle di un container) e vengono forniti già assemblati e pronti per l’uso. Hanno una potenza che oscilla tra dal mezzo ai 400
MWe (in Cina ne è recentemente entrato in funzione uno da 200 MWe). La loro idea forza è quella della modularità, ovverosia la possibilità di unirne più unità per raggiungere la potenza desiderata, comprimendo i tempi di costruzione e gli alti costi e l’immobilizzo decennale dei capitali. Vengono pubblicizzati per fornire energia laddove le condizioni rendono difficili altre soluzioni (non quelle però di utilizzare le forme di energia già localmente presenti, come quella solare, quella eolica, quella geotermica, etc.), o laddove facilitino l’approvvigionamento o abbassino i costi: comunità isolate, quartieri da connettere alla rete, piazzole di rifornimento per auto elettriche, data center infornatici, etc.; in 30 giorni la Westinghouse (chi si rivede!) promette la loro istallazione e la messa in opera come si mette in funzione un elettrodomestico. Vengono garantiti per 40 anni e la ricarica del combustibile avviene ogni 3-4 anni [6].
È facile vedere che molti dei problemi relativi alle tradizionali centrali elettronucleari non si presentano: la modularità rende flessibile la produzione, sono trasportabili, i tempi di installazione estremamente ridotti, le dimensioni contenute. Ma ci sono problemi nuovi, mentre alcuni dei vecchi restano.
Restano ovviamente i problemi non risolti relativi allo smaltimento dei rifiuti radioattivi (e non è poco!), mentre il decommissionig dovrebbe risultare semplificato. Restano, ovviamente i problemi legati al ciclo di produzione dell’Uranio, già presi in considerazione, aggravati del maggior arricchimento necessario.
Le filiere degli SMR usano soluzioni di moderatori della reazione e scambiatori di calore spesso di nuove tipologie o peggio alcune che non hanno dato buona prova di sé. Alcuni esempi. In una filiera viene riesumato un progetto risalente all’inizio dello sfruttamento civile dell’energia nucleare, quello che utilizzava come moderatore la grafite e come scambiatore di calore il gas naturale, ma la produzione di anidride carbonica ad alta temperatura corrodeva l’acciaio, riducendo la vita del reattore; era di questo tipo la prima centrale elettronucleare italiana, quella di Latina; filiera abbandonata.
Un’altra utilizza come scambiatore di calore lo zolfo liquido, come era in uso nei reattori veloci (breeder); anche questa filiera è stata abbandonata perché lo zolfo liquido rende poroso e friabile l’acciaio, a contatto con l’aria si incendia ed a contatto con l’acqua esplode; sono i problemi per cui il faraonico progetto francese del Superphénix ha funzionato poco e male ed è stato rapidamente dismesso.
Un’altra ancora usa come refrigerante il piombo, ma per renderlo miglior conduttore di calore occorre mischiarlo col bismuto, che presenta enormi problemi di attivazione radioattiva se bombardato da neutroni (che sono quelli che circolano nel nocciolo rendendo possibile la reazione a catena), aumentando in maniera eccessiva la radioattività e corrodendo i metalli.
Altre configurazioni di nuova natura sono al momento in fase sperimentale e quindi prive di dati certi.
Infine, gli SMR usano Uranio arricchito con percentuali a volte superiore al 20%; i reattori PWR e BWR utilizzano un arricchimento al 4-5% ed il 20% è la soglia critica per procedere alla preparazione di ordigni nucleari. Gli SMR utilizzati nelle basi militari per renderle autonome, utilizzano arricchimenti ancora maggiori, cioè dell’autentico uranio
utile a scopo bellico. C’è da aggiungere che la storia dell’utilizzo della propulsione nucleare (i precursori degli SMR) nelle flotte di superficie e sottomarine delle varie potenze dagli anni settanta in poi è costellata di incidenti la cui dinamica è poco chiara a causa del segreto militare [7].

La fusione

Un recente esperimento ha suscitato un vasto clamore mediatico. Nel reattore Jet (Joint European Torus) situato nel Regno Unito sono stati prodotti 59 MJ di energia da fusione nucleare, per una potenza di circa 11 MW; è un record che migliora la prestazione della stessa macchina del 1997 (25 anni fa). Nel frattempo, nel dicembre scorso un esperimento condotto in Cina ha tenuto confinato il plasma portato alla temperatura di oltre 1.000.000 di gradi per quasi 17 minuti, mentre il Jet ha contenuto la reazione per soli 5 secondi. Come si può capire il Jet è una struttura anziana, nata nel 1978, tant’è che un consorzio di vari paesi [8] sta investendo su una macchina più potente, l’ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), oltre 20 miliardi di €; l’impianto è in costruzione in Francia, a Cadarache, nel Sud della Francia e si presume che entrerà in funzione nel 2025. Per i dettagli sui problemi della fusione nucleare si veda quanto già scritto circa un anno fa [9]. Va premesso che l’energia nucleare da fusione non è del tutto pulita, come vuole certa propaganda; non produce, è vero, scorie radioattive a lunga vita media e di smaltimento non ancora risolto; è quindi molto meno inquinate del processo di fissione, ma a sua volta rilascia acqua triziata ed il trizio è un isotopo radioattivo con vita media di 12 anni e mezzo. Gli esperti ci dicono che non è nocivo per l’essere umano, dimenticando di rendersi edotti che ciò avviene perché si pensa di disperdere l’acqua inquinata nel mare dove difficilmente può colpire le persone, ma di per sé chi venisse in contatto con il trizio non potrebbe stare tranquillo. Resta il problema principale: anche nel brillante e strombazzato esperimento di Jet la quantità di energia prodotta resta al si sotto di quella immessa per realizzare l’esperimento; finché il bilancio non sarà almeno in pareggio, non si può neppure pensare di sfruttare la fusione per produrre energia elettrica a livello industriale; dal pareggio bisogna passare a contenere la reazione di fusione per quanto tempo si vuole e poi iniziare a costruire e testare prototipi. Solo dopo queste lunghe e complicate fasi si può finalmente sperare di attingere a questa fonte praticamente inesauribile per le esigenze energetiche dell’umanità. Sono passati molti anni da quando ho iniziato ad occuparmi di questioni energetiche (quasi cinquanta) è già allora la prospettiva degli ottimisti circa lo sfruttamento dell’energia nucleare da fusione aveva un orizzonte di 30 anni, lo stesso che viene dato anche ora, a valle dei “clamorosi” successi.

I costi

Gli anni passano, ma le argomentazioni e le menzogne dei filonucleari non cambiano: il costo dell’energia elettrica in Francia è minore che in Italia grazie alla loro opzione in favore del nucleare ed il costo del kWh da fissione è minore di quello che origina dalla fonte rinnovabile.
Sulla Francia molte bugie sono state dette e troppi fatti sono stati trascurati; sta di fatto che l’opzione “tutto nucleare, tutto elettrico” sta mostrando la propria miopia, per molto tempo è stata occultata la circostanza che le centrali nucleari non producono energia in modo modulabile, mettendo in rete la stessa quantità di elettricità sia quando la richiesta è alta, sia quando è bassa, per cui è necessario rivendere od utilizzare il surplus quando esso non serve; l’EdF ha dovuto vendere energia elettrica sottocosto ai paesi limitrofi o stoccarla in bacini di pompaggio per riutilizzarla in seguito ed ovviamente questi costi non vengono addebitati ai consumatori per avvalorare la tesi del prezzo basso. Électricité de France è statale e lo Stato supporta le perdite. La situazione però si è fatta recentemente pesante, data la già menzionata obsolescenza di molte centrali (36) ed il governo francese per non incorrere in un indesiderato aumento delle bollette è recentemente dovuto intervenire con 2,5 miliardi di € [10].
Già oltre dieci anni fa un improvvido tentativo volto a comprovare l’economicità del nucleare veniva posto in essere nel giornale della Confindustria. Un’analisi attenta dei parametri adoperati mostrava la fallacia del ragionamento. Il calcolo, come ormai consolidato, tagliava la testa e la coda, ma soprattutto cavalcava ipotesi non comprovate dai fatti: secondo la tesi esposta una centrale nucleare avrebbe funzionato per 8.000 ore l’anno quando l’esperienza di mezzo secolo dava una media di 6.600 ore, circa il 20% in meno, mentre per il fotovoltaico veniva quadruplicato il costo di
installazione e ridotto di un 15% il tempo di funzionamento [11].
D’altra parte, il nucleare alligna solo nei paesi dove lo Stato si fa parte in causa della loro promozione; quale privato infatti può farsi carico di un anticipo di svariati miliardi per ottenere un prodotto fruttifero tre lustri dopo? Tant’è che negli Usa, dove la produzione di energia elettrica è in mano ai privati, negli ultimi 40 anni non sono state messe in costruzione che due nuove centrali a completamento di un impianto iniziato nel 1976 [12].

Conclusioni

La nuova tassonomia europea delle fonti energetiche “green”, come detto, comprende gas e nucleare; rappresenta quindi un tipico esempio di greenwashing, ossia di rivestimento ecologico di ciò che tale non è per nulla. La lobby nucleare internazionale rialza la testa, ma in Europa essa passa attraverso la Francia; la miope e sussiegosa strategia transalpina di puntare sul nucleare mostra la corda da anni: le centrali vecchie sono spesso in manutenzione e l’ EdF è costretta a mendicare energia elettrica ad altri paesi, Italia compresa; i due nuovi EPR in costruzione non saranno completate a breve e quindi la vita dei vecchi reattori viene prolungata artificialmente e con grande rischio. Ma la nazione ha troppo investito sulla tecnologia nucleare per fare marcia indietro e vedere andare in fumo le ingenti risorse finanziare investite nei progetti, anche quelli più avveniristici. Occorre perseguire nella via malsana intrapresa, ma questo costa molto e ancora molto; perciò, inserire il nucleare tra le tecnologie verdi può permettere l’afflusso di denaro europeo e smorzare l’emorragia finanziaria che la costruzione di nuove centrali comporta. Ma se le ragioni francesi sono comprensibili, se in quel paese esistono estese competenze nel settore e se esso possiede tecnologie da esportare, quello che non si comprende proprio è perché l’Italia debba accucciarsi sotto il tavolo per raccogliere le briciole che cadono dal desco che altri hanno imbandito per se stessi. La scelta nucleare resta pericolosa, antieconomica e priva di soluzioni rassicuranti e durature; mentre paesi quali la Germania la dismettono completamente, il nostro governo non si è dissociato apertamente dai paesi nuclearisti e astenendosi, ha contribuito ad avvallare una scelta dissennata dell’Unione Europea.
Meglio di così i “migliori” non potevano fare!

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Estrazione_mineraria_dell%27uranio.                             [2] SAVERIO CRAPARO, Ascolta, si fa serra – facciamo il punto sui gas climalteranti, in Crescita Politica, Newsletter dell’Ucadi, n° 153, dicembre 2021.
[3] https://www.focus.it/ambiente/natura/energia-nucleare-co2-effetto-serra-2010081454.
[4]https://it.wikipedia.org/wiki/Reattore_nucleare_di_IV_generazione; https://www.wired.it/article/nucleare-quarta-generazione-energia-tassonomiaeuropa/.
[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Incidente_di_Three_Mile_Island                                      [6] https://energycue.it/small-modular-reactor-rivoluzione-chiamata-nuscale/18061/
[7] http://www.massacritica.eu/la-lunga-lista-degli-orrori-militari-degli-anni-70/1416/
[8] Unione europea , Russia , Cina , Giappone , Stati Uniti d’America , India , Corea del Sud.
[9] http://www.ucadi.org/categorie/newsletter/anno-2021/numero-145-aprile-2021/     [10] https://www.ilsole24ore.com/art/sindrome-saipem-edf-arriva-l-aumento-25-miliardi-AEgJ8sEB
[11] Per i dettagli consulta i calcoli svolti in: http://www.ucadi.org/categorie/newsletter/anno-2010/numero-8-aprile-2010/ e http://www.ucadi.org/categorie/newsletter/anno-2010/numero-10-giugno-2010/
[12] https://it.wikipedia.org/wiki/Centrali_elettronucleari_negli_Stati_Uniti_d%27America

Saverio Craparo

Bibliografia
Un’aggiornata ed esaustiva rassegna sulle più recenti tecnologie nucleari e sul loro utilizzo a cura di Giorgio Ferrari, si può trovare in: https://www.labottegadelbarbieri.org/il-nucleare-che-verra/.
Per una completa analisi dell’intero ciclo del nucleare sia militare che civile si veda: AA.VV., Atlante dell’Uranio, Terra Nuova edizioni, Firenze 1921.
Si consultino, inoltre, i seguenti siti:
https://www.enea.it/it/Ricerca_sviluppo/documenti/ricerca-di-sistema-elettrico/nuovo-nucleare-fissione/lp2/2011/013-lp2-rds-pdf.
https://www.world-nuclear.org/information-library/nuclear-fuel-cycle/nuclear-power-reactors/small-nuclear-power-reactors.aspx.
Énergie nucléaire : « SMR » (petits réacteurs modulaires) | Connaissances des énergies (connaissancedesenergies.org) .