Sul presidio sociale del territorio

I fatti tragici di Caivano, della periferia di Palermo, di Tor Bella Monaca e degli altri mille quartieri di periferia, ma anche quanto avviene nei piccoli e grandi borghi pongono il problema della gestione sociale del territorio rispetto al quale lo Stato, le istituzioni che lo gestiscono, le forze politiche e sociali hanno ruoli e funzioni diverse, ma complementari. Ci accorgiamo del problema in occasione di questo o quel delitto o quel tragico evento, ma il problema è persistente e strutturale e non può essere risolto con l’intervento militare dello Stato e la ricomparsa della polizia e dei carabinieri che, all’improvviso, scoprono zone di illegalità diffusa.
A quanto sta avvenendo il Governo di centrodestra pensa di porre rimedio attraverso provvedimenti ancora una volta emergenziali. Costituisce un’ultima prova di questa politica l’emanazione del decreto “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile”, emanato con l’intento dichiarato di riportare sotto il controllo dello Stato una porzione di territorio che sembra completamente sfuggire ad ogni controllo. L’introduzione di ulteriori misure cautelari per minori, del DASPO urbano e del foglio di via per i soggetti a rischio di comportamenti
devianti e asociali, misure di contrasto alle ‘baby gang’, l’introduzione di provvedimenti di ammonimento, le modifiche del processo penale a carico di imputati minorenni e il ricovero dei soggetti colpevoli di reati in istituti penali per minorenni, sono, in sintesi, i provvedimenti che nelle intenzioni del governo dovrebbero porre fine al disagio sociale che i fatti di cronaca hanno fatto emergere. I provvedimenti legislativi sono stati accompagnati da incursioni delle forze dell’ordine sul territorio, volte a stabilire un controllo di legalità e a sottrarlo all’egemonia delle organizzazioni criminali.
Questo approccio al problema minaccia di essere una foglia di fico messa su per nascondere una sostanziale incapacità di farsi carico dei problemi del territorio che sono causati nello specifico dalla presenza di un gruppo sociale formato da cittadine e cittadini che non trovano collocazione sul mercato del lavoro, non percepiscono un reddito dignitoso, non si vedono assicurati i loro diritti e sono conseguentemente chiamati a rispettare i loro doveri sociali. In queste aree prevale l’illegalità e spesso lo spaccio di sostanze stupefacenti, gestito da organizzazioni criminali: è questa l’unica attività di sostentamento e manca l’alternativa costituita da una collocazione sociale in ambienti di lavoro che consentono di veicolare un messaggio valoriale solidale e partecipato.
Non è un caso che in queste aree si assista all’evasione sistematica dell’obbligo scolastico, all’abbandono a se stessi dei giovani e giovanissimi che vi abitano, alla presenza di un alto indice di criminalità diffusa, che producendo degrado sociale fa sì che soprattutto le fasce più deboli, quelle dei giovani e dei bambini, siano soggette alla gestione di organizzazioni criminali che li utilizzano per le loro attività e in cambio forniscono un reddito e un sostentamento altrimenti non percepibile.

Limiti e insufficienze della politica repressiva

Un approccio al problema attraverso una politica di mera repressione è del tutto insufficiente, al punto che la questione sembra essere chiara perfino al Governo che ha dichiarato di voler accompagnare l’intervento di polizia con il miglioramento dei servizi scolastici, la realizzazione di strutture aggreganti sul territorio, il ripristino della gestione
legalitaria degli alloggi nell’area, interventi di assistenza attraverso personale specializzato nell’affrontare il disagio sociale. Mentre questa parte dell’intervento è tutta ancora da realizzare, si procede con il presidio militare del territorio ed i bliz di polizia e destano perplessità alcune delle norme repressive emanate, prima fra tutte quella che prevede di punire con due anni di carcere i genitori per l’evasione scolastica dei figli, trascurando il fatto non secondario che è molto frequente che l’evasione dell’obbligo scolastico avvenga proprio quando i genitori o uno di essi sono già sottoposti a misure detentive, non solo, ma che i minori lasciati a se stessi sono indotti all’evasione dell’obbligo scolastico.
Meglio e di maggiore efficacia sarebbe far sì che in queste aree venisse rispettato il tempo pieno scolastico, assicurati i servizi di mensa, aperte biblioteche con orari ampi, anche serali, creati luoghi di aggregazione come strutture sportive e di ricreazione e socializzazione, che si offra un’alternativa all’utilizzazione criminale dei giovani e giovanissimi.
Nel mentre si critica l’azione del Governo e se ne denunciano i limiti occorre però dire che una grande responsabilità ricade su tutte le organizzazioni della sinistra politica che hanno abbandonato il territorio, che non vi svolgono alcun intervento politico, che non ne sollecitano le strutture sociali e culturali, che non trasmettono la memoria di ciò che il territorio ha rappresentato nella storia sociale di quei luoghi, che non provvedono a far acquisire consapevolezza dei problemi attuali che il territorio presenta, che non mobilitano chi vi abita, stimolandoli a forme di partecipazione sociale attiva.
Come facenti parte della sinistra dobbiamo riconoscere che spesso accade che gli unici luoghi di aggregazione sociale siano costituiti dalle parrocchie e dalle loro pertinenze, facilitate nelle loro attività dalle istituzioni, mentre l’intervento sociale della sinistra sul territorio è divenuto sempre più rarefatto, a causa della sfiducia, della disillusione, del
venir meno delle forze e delle risorse economiche e personali necessarie per assicurare una presenza costante e costruttiva, nell’assenza di un progetto di società futura. Senza un’inversione di questa tendenza non vi è una positiva soluzione per questi problemi, ma al tempo stesso non vi è nessuna speranza per la sinistra di riconquistare l’egemonia culturale e politica nella società.

La Redazione