Sono trascorsi ormai 18 anni da quando lo Stato italiano ha approvato una legge che fa sua la visione fascista delle vicende avvenute sul confine orientale dell’Italia.
È impressionante, infatti, la continuità fra la narrazione fascista e neofascista delle “foibe”. La stessa, identica, dal 1943.
È stato il resto dell’arena politica che ha completamente abdicato alle proprie posizioni, aggregandosi a tale consesso.
Si è trattato di una vittoria egemonica della destra, che legittimamente e con piena legalità, è riuscita a far leva su uno dei punti fondamentali della Repubblica.
Laddove era impossibile annullare l’antifascismo, lo si è accerchiato relativizzandolo con una data che fa pari e patta (e palla al centro, direbbe il Benvenuti dei Giancattivi). Del resto la legge fu approvata quasi all’unanimità (con l’eccezione non secondaria di PRC e PdCI) e quindi nessuno oggi può lamentarsi di quello che era inscritto nella stessa norma fin dall’inizio e che non è affatto una degenerazione, ma la sua compiuta realizzazione.
L’Italia, quindi. Il paese che detiene il copyright del fascismo, alleato poi della Germania Nazista, responsabile dell’invasione dei paesi dell’Africa orientale prima, ove si rese responsabile di crimini di guerra e di comportamenti che poco avevano da invidiare a quelli nazisti e poi di Francia, Grecia, Balcani.
L’Italia che collaborò attivamente con la deportazione di migliaia di civili.
Di quell’Italia lì, oggi rimane come memoria nazionale solo il 27 gennaio. Auschwitz. Tanto è in Polonia ed è roba da Tedeschi (come se gli ebrei e i tanti civili italiani mandati a morire nei lager ce li avesse portati la fatina) e il 10 febbraio, dove non solo gli italiani tout-court ma proprio i fascisti, diventano vittime innocenti di una furia scatenatasi non si sa perché.
Mi piacerebbe sapere cosa penseremmo se la Germania dedicasse qualche giornata nazionale alle migliaia di civili morti a Dresda (cosa che potrebbe essere anche giustificata), dimenticando che prima di Dresda c’era stata Coventry. Ma la Germania non l’ha fatto. Del resto si sa, il ruolo dei cattivi è toccato a loro.
La data del 10 febbraio 1947 non c’entra nulla con le Foibe e tanto meno con l’esodo, ma, del resto la storia non è la protagonista di questa norma. Mussolini disse “non c’è bisogno di storia ma di miti”. Oggi i miti fanno ormai parte della Repubblica Italiana, grazie ad una torsione della verità fattuale e dell’accondiscendenza della “sinistra” che votò in blocco a favore di quella legge (eccetto una piccola ma significativa minoranza composta dal PRC e dal PdCi) e che poi ha proseguito accodandosi alla mistificazione della realtà oggettiva.
Ci sono decine, centinaia di studi sulle foibe che dimostrano, da una parte lo strettissimo legame che vi è fra la politica italiana (anche pre-fascista, ma che il fascismo esasperò) sul confine orientale ed il sedimento di rancori e odi, esasperati
dal comportamento criminale del fascismo di frontiera e poi dalle truppe in tutti i Balcani (stragi, incendi, campi di concentramento) e, dall’altra, una consistenza numerica dei morti infinitamente minore di quelli indicati da una vera e propria campagna propagandistica.
Ma qui si è trattato di pareggiare i conti. Di demolire la stessa storia della resistenza e di celebrare qualcosa, che, nei termini in cui ormai è diventato legge, non è neppure mai esistito.
Quando al confine fra storia e propaganda, e fra un uso pubblico della storia (che, di per sé, non è né un male né un bene) si sovrappone anche la legislazione che indica quale debba essere la verità storica, siamo ben oltre la normale dialettica interpretativa.
Chi scrive è da sempre contrario alle leggi che puniscono chi sostiene ipotesi storiche in contrasto con le verità accertata, Ma la verità storica non può essere indicata da una norma, anche se fatta a fin di bene. La verità si forma nella ricerca e nel dibattito.
Aver creato sanzioni penali contro il negazionismo (l’unico negazionismo veramente esistente, ovvero quello dei crimini nazisti) ha innescato, di converso, e in un periodo storico dove la sinistra non ha più l’egemonia del discorso pubblico, norme speculari, dove, in una torsione degna di Orwell i “negazionisti delle foibe” (così vengono appellati) diventano quelli che, attraverso il metodo scientifico, ricercano la verità. Pari e patta, dicevamo: voi di sinistra sanzionate i negazionisti della Shoah e noi di destra quelli delle foibe.
Foibe/Shoah. La stessa cosa.
A questo capovolgimento della realtà, e alle “buone maniere” si affiancano i picchettaggi, le azioni di disturbo, le calunnie e le minacce contro gli studiosi che cercano e perseverano nel non farsi imporre una realtà storica che non corrisponde a
quella scientificamente provata (qualche nome: Eric Gobetti, Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi….).
Poi entrano i poteri nazionali e locali, a dileggiare, a vietare e a mistificare una pagina di storia (la Regione Veneto che taglierà fondi e spazi a chi nega che nelle foibe ci siano stati 12.000 morti!).
Questa mistificazione non è roba solo da storici, non riguarda l’accademia (dove storici un po’ più compassati sanno benissimo, ma non si espongono, quale sia la verità ) ma riguarda il senso civico (si sarebbe detto una volta) di un paese che da decenni ha smarrito la bussola della propria storia recente e che, infatti, da decenni, sta smantellando la propria Costituzione.
Andrea Bellucci