Rotta balcanica e “piano Kalergi”

L’acuirsi della pandemia a Trieste e nella contigua Slovenia, l’apertura del fronte migranti al confine tra Bielorussia e in Polonia hanno richiamato l’attenzione sulla rotta balcanica dei migranti che l’accordo di “contenimento“ con Erdoğan sembrava aver scongiurato. È noto a tutti che malgrado gli sforzi, in realtà molto blandi, del leader turco, un flusso costante di migranti approda sulle isole greche e da qui al continente. Si crea così un corridoio “mobile” verso il nord che attraversa i Balcani diretto, al Nord Europa e soprattutto in Germania. Lasciati i confini della Grecia le strade dei migranti si biforcano in mille rivoli. Si tratta di strade impervie che attraversano territori disastrati e
martoriati da guerre recenti e contrapposizioni etniche persistenti, con rovine ancora evidenti, frutto di una guerra feroce che non ha risparmiato genocidi a popolazioni stanche e povere, con governi di Stati fragili che faticano a far accettare a quelli confinanti la loro stessa esistenza. Infatti, le Ong che operano faticosamente in questi territori, denunciano ricorrenti soprusi e violenze, anche e soprattutto da parte delle polizie degli Stati neo-membri dell’Unione Europea che non hanno scrupoli nel depredare i migranti del poco che possiedono, a brutalizzarli, picchiarli, a violentare le donne.
Risalendo i Balcani i migranti che scelgono la strada costiera, se riescono ad entrarvi, superano l’Albania che viene attraversata abbastanza agevolmente, per poi trovarsi di fronte il Montenegro che minaccia di erigere un primo muro di filo spinato e che rende sempre più difficoltoso il passaggio, che trova una vera barriera alle frontiere comunitarie della Croazia. È lo stesso ostacolo che incontrano i migranti che hanno scelto di attraversare il territorio della Bosnia. Il loro cammino si ferma alla frontiera croata dove vengono inesorabilmente respinti. Si creano, così, in Montenegro, ma
soprattutto il Bosnia, accampamenti lager che utilizzano spesso strutture fatiscenti che hanno “ospitato” le popolazioni sfollate dalla pulizia etnica durante la guerra civile, dove le condizioni di vita sono miserevoli e dove le stesse (poche) Ong che lodevolmente operano nei territori arrivano con difficoltà.
Quando, dopo molti sforzi e molti maltrattamenti e bastonate, i migranti riescono a superare lo sbarramento della polizia croata si trovano a fare i conti con quella non meno violenta della Slovenia che filtra i passaggi verso l’Italia e l’Austria: se intercettati si viene riconsegnati agli sloveni e il pestaggio continua. Né le altre forze di polizia degli Stati dell’Europa occidentale sono tenere in quanto a trattamenti. La meta è quasi sempre la Germania o la Francia, ma non è facile arrivarci per chi scegliesse di affrontare la frontiera slovacca con reticolati, torrette di avvistamento, cani, corridoi
disboscati, dispositivi elettronici per meglio sorvegliare i passaggi. La Slovacchia ha il triste primato di un muro di reticolato impenetrabile e monitorizzato che ha fatto da esempio per successive realizzazioni e al quale guardano con ammirazione i tecnici polacchi intenti a realizzarlo.
La Repubblica Ceca non è da meno ed impenetrabile è il confine ungherese grazie ai reticolati costrutti da Orbán: in questa situazione ben si comprende la mossa di Lukašėnka che ha creato la crisi sull’unica parte del confine dell’Unione apparentemente sguarnita, solo per il fatto che si riteneva che i muri di contenimento già realizzati fossero sufficienti.
In realtà il problema di blindare le frontiere dell’Unione è già una realtà: i richiesti finanziamenti all’Ue servono soltanto ai furbi del Governo polacco per lucrare altri finanziamenti comunitari e farci su la cresta. La dichiarazione dell’emergenza migranti al confine polacco si rivela per quella che è: un’operazione di distrazione di massa per
allontanare l’attenzione dalle crescenti violazioni delle libertà civili a danno del popolo polacco e soprattutto delle donne di quel paese e delle persone perseguitate per motivi di appartenenza di genere.

La teoria del complotto: il “piano Kalergi”

Ma cosa muove e cosa unisce Orbán, Kaczyński, Salvini, la Meloni e gli altri sovranisti nazifascisti: sono le farneticazioni di Gerd Honsik, un negazionista austriaco, condannato in due occasioni, nel 1992 e nel 2009, per avere pubblicamente negato la verità storica dell’Olocausto, il quale distorcendo le idee del Conte Kalergi, un fervente
paneuropeista austriaco, ha formulato la teoria del complotto, secondo la quale esiste un piano per stimolare l’emigrazione al fine di sostituire la popolazione europea con genti provenienti dall’Africa e dall’Asia.
In realtà Kalergi, che scriveva nel 1922, il suo libro Pan-Europa. Un grande progetto per l’Europa unita, da buon europeista, a fronte dello spopolamento del continente a causa della Prima guerra mondiale, ipotizzava e auspicava un afflusso di migranti verso l’Europa per reintegrarne la popolazione, in verità arricchendo l’auspicio con ingenue quanto inaccettabili ipotesi sui caratteri delle popolazioni migranti, sottolineandone tuttavia una minore propensione a quel dannoso nazionalismo individuato tra le cause della guerra.
Honsik, a fronte della crisi demografica che attanaglia la gran parte degli Stati dell’Europa, rilegge gli effetti delle migrazioni in atto in chiave di annullamento delle identità nazionali e locali, e ne fa discendere l’imposizione di un fantomatico “Piano” mirante al “meticciato etnico” e al «genocidio» dei popoli europei, per sostituirli con quelli asiaticoafricani, al fine di ottenere un’etnia indistinta di docili consumatori piegati al mercato e proni al dominio mondiale, esercitato da non meglio individuate élite economiche.
Si tratta, come è evidente, di una lettura in chiave cospirazionista e complottista della fase di profonda ristrutturazione attraversata dal sistema di sfruttamento capitalistico in Europa che produce perdita di posti d lavoro, instabilità economica, incertezza del futuro, una progressiva concentrazione della ricchezza in poche mani, il deperimento
delle retribuzioni e la nascita di un proletariato che quant’anche lavori, percepisce salari inadeguati ad assicurare anche la mera sussistenza, dimenticando di indicare tra le cause di questa situazione il dumping salariale con le diverse aree del pineta alimentato dai nazionalismi.
C’è da dire inoltre che l’aggravarsi della crisi demografica e la crescita accelerata dell’invecchiamento delle popolazioni europee stanno mettendo in crisi in modo crescente gli istituti di welfare, aggravando così il disaggio sociale e rendendo inevitabile, in assenza tra l’altro di politiche di sostegno alla famiglia per incentivare le nascite, il ricorso all’emigrazione per compensare i vuoti di natalità e aumentare la quota di popolazione attiva, tanto più che. per effetto delle guerre e dalle precarie condizioni economiche, si è creato l’afflusso verso l’Europa di centinaia di migliaia di
rifugiati e migranti africani e asiatici in fuga dai loro paesi.

Emigrazione e natalità

Se le cause dell’emigrazione sono note e sono state accentuate dalla distruzione sistematica delle economie e del tessuto sociale di molti Stati e intere aree del pianeta, prodotti dall’imperialismo Usa e in parte anche da quello russosovietico – basti pensare al Medio Oriente, con Iraq e Siria, e all’Afghanistan, prima ad opera dei sovietici, poi a causa dell’intervento occidentale – solo per fare un esempio – non è vero che gli effetti benefici del fenomeno migratorio si spingono fino al punto di rilanciare la natalità, poiché è provato che già dopo la prima generazione i migranti vengono riassorbiti, attraverso l’integrazione nel trend di natalità dei paesi nei quali si sono stabiliti.
Il fatto è che l’indice di natalità è determinato dagli stili di vita, dai valori esistenziali e soprattutto dalle condizioni economiche e sociali che accompagnano la maternità e la procreazione. Da qui politiche sovraniste, come quella ungherese, di sostegno alla natalità che sortiscono una qualche efficacia al prezzo di condizionare fortemente gli stili di vita e di restrizione delle libertà individuali, ma che comunque non risolvono il problema.
Da questa spurale di cause ed effetti si esce, a nostro avviso, pianificando una crescita sostenibile e rifiutando politiche di super sfruttamento e di massima estrazione del profitto, grazie ad una crescita forzata continuamente e costantemente espansiva e competitiva del profitto e dello sfruttamento; in altri termini siamo di fronte al sistema
capitalistico che mostra i limiti dello sviluppo e la dissennatezza della politica di sfruttamento senza limiti delle risorse materiali e umane del pianeta.

Emancipazione e integrazione

In quanto poi alla paventata “sostituzione” che sarebbe l’effetto ultimo dell’emigrazione, siamo di fronte a una palese panzana, soprattutto in relazione al nostro paese, malgrado ciò che ne diceva un emerito e notorio imbecille (sul quale è meritatamente calato l’oblio): Magdi Cristiano Allam, già vicedirettore del Corriere della Sera, autonominatosi difensore dell’italianità, lui nato al Cairo, che ha denunciato la “sostituzione” in atto.
Quello italiano, checché ne dica la madonna del “Piano”, Oriana Fallaci, è in assoluto il popolo più ricco di diversità genetica in tutta Europa. Dal Veneto alla Sardegna l’insieme delle differenze genetiche è fino a 30 volte maggiore rispetto a quelle che tra coppie di popolazioni europee geograficamente 20 volte più distanti. Gli italiani tanto
difesi dagli slogan sovranisti sono già un melting pot di etnie e patrimoni genetici, uniti da una nazionalità territoriale, ma molto eterogenei tra loro. La popolazione italiana è oggi in calo, ma solo perché si fanno meno figli. Nel 2016 i morti hanno superato i nuovi nati di 140mila unità. Nel 2017 di 180mila. È come se ogni anno si svuotasse una città di medie dimensioni. Insomma, secondo i dati Istat, da alcuni anni il bilancio demografico del paese è in calo e le morti per pandemia non hanno fatto altro che accentuare il fenomeno producendo anche un’ulteriore contrazione delle nascite. Una
tendenza che non pare destinato a cambiare.
In Italia al 31 dicembre 2017 risiedevano 60.483.973 persone, di cui più di 5 milioni di cittadinanza straniera, pari all’8,5% dei residenti a livello nazionale (10,7% al Centro-Nord, 4,2% nel Mezzogiorno). Di questi 5 milioni più della metà sono europei, solo il 20% viene dall’Africa. L’invasione è dunque una fandonia. Comunque, perché la “sostituzione” si realizzi richiederebbe nel caso italiano, pur ai più elevati ritmi migratori riscontrati durante la crisi europea dei rifugiati del 2015 e considerando il ritmo attuale del calo demografico, tre secoli per compiersi.
Ebbene se in tre secoli la società italiana e i suoi valori non sono in grado di contaminare i migranti vuol dire che i valori che rappresenta sono così fragili volatili e inconsistenti da non meritare di sopravvivere. Occorre invece considerare che la cultura e i valori sono frutto della contaminazione reciproca dei popoli quella contaminazione in
passato assicurata dall’essere parte del bacino del mediterraneo e parte integrante dell’Europa ed ora cittadini del mondo.

G.L.