Assorbito il trauma derivante dagli esiti delle elezioni regionali il Governo sta navigando a vista nelle acque agitate della messa a punto della legge finanziaria. La scelta strategica di approvare quest’anno una finanziaria di rigore e di austerità per far sì che il deficit pubblico scenda sotto la soglia del 3% rispetto al Pil e il paese esca dalla procedura di infrazione è funzionale a permettere al Governo di creare le condizioni per poter, il prossimo anno, varare una finanziaria pre-elettorale a debito che distribuisca benefici a ceti, classi e categorie di elettori che compongono quella parte di elettorato che lo sostiene.
Il testo della finanziaria del 2026 è stato depositato due mesi fa per dar modo al Parlamento di emendarla, se non che il Ministro delle finanze ha presentato in Commissione bilancio un emendamento che modifica sia la portata complessiva della manovra, con una spesa prevista maggiorata di circa 3,5 miliardi di euro, sia le fonti di copertura finanziaria, ovvero il modo con cui si intende recuperare quelle maggiori risorse, prevedendo di attingere al capitolo delle pensioni, considerando i pensionati improduttivi e perciò allungando il tempo di lavoro, disconoscendo diritti acquisiti come il computo degli anni di laurea riscattati, spostando le date di corresponsione dei primi emolumenti di 6 mesi.
Come era inevitabile si è sviluppata una infuocata polemica, anche nella maggioranza, che ha portato al ritiro dell’emendamento e le cose sono ritornate in alto mare, in attesa che il governo riformuli la sua proposta di modifica dopo aver trovato nuove poste per finanziare le nuove spese previste. Anche altri emendamenti come quello relativo alla solidarietà obbligatoria fra condomini che li costringeva a pagare per i morosi sono stati ritirati tra le proteste generali.
Il pressapochismo e l’incompetenza dimostrata da questa classe politica non sono sufficienti però a produrre la crisi del Governo, anche se questo si distingue per l’immobilismo assoluto, limitandosi ad iniziative di facciata e a condurre battaglie simboliche come quella dell’inutile separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri, provvedimento del tutto ininfluente sul funzionamento della giustizia e di nessun interesse per la popolazione.
Nel paese reale i veri problemi non vengono affrontati: permangono e crescono le liste d’attesa per avere la possibilità per accedere alle visite mediche e i pazienti, che possono permetterselo sempre meno sono costretti a ricorrere alla sanità privata, pagando cifre esorbitanti. Il risultato è che circa sei milioni di cittadini hanno smesso di curarsi. Cresce la povertà e l’indigenza e un numero altrettanto grande di persone non riesce nemmeno ad avere due pasti decenti al giorno e a disporre di un alloggio. Salari e pensioni perdono sempre più potere di acquisto e il risparmio delle famiglie cala in modo preoccupante. La situazione è aggravata dal fatto che queste due categorie di persone spesso coincidono.
Tutto ciò avviene mentre il Governo dedica alla gran parte delle esigue risorse a opere faraoniche come il ponte sullo stretto di Messina, spesa peraltro contestata sia dalla magistratura contabile per i costi esorbitanti dell’opera che per le sue caratteristiche tecniche inaffidabili, nonché per l’assenza a monte e a valle di esso di una rete stradale e ferroviaria in grado di beneficiare dell’opera. La sola posta di bilancio che cresce è quella relativa all’acquisto di armi, la cosiddetta difesa, che dovrebbe rilanciare l’economia sviluppando questo settore mentre il resto dei settori produttivi sono in crisi e vengono smantellati e si chiudono asset produttivi come le acciaierie, essenziali anche per chi vuole investire nel riarmo.
Le vere emergenze del paese, la sanità, la scuola, la formazione, la giustizia, le strutture e il personale che dovrebbero consentire a questi settori di funzionare vengono lasciati a sè stessi e privati dei necessari finanziamenti, anticipando quella politica di smantellamento del welfare che si accompagna al riarmo del paese.
La maggioranza di destra che governa raccoglie i maggiori frutti politici dalla “normalizzazione” della società, reprimendo, smantellando ogni struttura sociale, colpendo i luoghi di aggregazione, criminalizzando il dissenso, aiutata dall’adozione della retorica di guerra che permette di reprimere ogni voce minimamente critica. La destra pareggia i conti liquidando i centri sociali uno ad uno, sostenendo la speculazione con lo sgombero delle case dagli inquilini indesiderati dai padroni o dagli occupanti disperati perché senza casa e reddito.
In contemporaneo si afferma e prende piede un amichettismo e un familismo della peggior specie nella gestione delle strutture culturali, sociali ed economiche del paese di competenza dello Stato che sono sempre più gestite in modo partigiano e trasformate in rendite per soggetti contraddistinti dal rapporto di fedeltà che li lega al potere.
Il governo e la politica internazionale
Se sul piano interno il Governo è impegnato a rivendicare i valori del nazionalismo fascistoide, rivisitato alla luce delle più attuali politiche sovraniste e propugna la trasformazione del paese in una democratura (vedi premierato), sul piano della politica estera si è caratterizzato per un filo americanismo inteso come la chiave che doveva aprirgli l’accesso al potere e la fiducia dell’egemone statunitense per conservarlo. Questo spiega il comportamento scodinzolante della Meloni ai piedi di Biden, l’asservimento alla politica di sostegno ad Israele nell’azione di sterminio dei palestinesi nonché il sostegno all’Ucraina utilizzato come testimonianza di atlantismo.
L’ascesa al potere di Trump e la sua politica di “entente cordiale” con la Russia, le divisioni interne alla maggioranza e le insidie di Salvini all’ elettorato della Presidente del Consiglio, hanno costretto la premier a un cambio di rotta graduale e a successivi scostamenti dalle alleanze costruite in Europa sostenendo in fasi alterne la fallimentare gestione della attuale presidente della Commissione.
La totale sottomissione alla politica estera di Ursula von der Stupid e di Kretina Kaja Kallas e dell’entourage comunitario che le sostiene ha indotto il Governo Meloni a sganciarsi dal gruppo dei “volenterosi” in misura sempre maggiore, fino allo strappo del 18 dicembre che ha permesso il rigetto della proposta suicida di utilizzazione degli asset russi, facendo prevalere la strada dell’accensione del debito comunitario, in attesa di una soluzione per sganciarsi, nella consapevolezza che il paese e soprattutto il suo elettorato, è contrario a sacrificarsi e morire per l’Ucraina nella guerra alla Russia. A testimonianza di questa strategia citiamo il tentativo di trasformare gli aiuti in generatori di corrente elettrica per far fronte alla distruzione da parte dei russi delle centrali elettriche invece che in armi.
Questa scelta abilmente sfruttata dalla premier di fronte al suo elettorato ne rafforza la presa, anche perché sul fronte dell’opposizione una dirigenza miope e servile alle antiche indicazioni dei democratici statunitensi continua costantemente e caparbiamente a sostenere la narrazione di un’Ucraina vittima dell’invasione dell’orso russo, incapace di cogliere la complessità della questione ucraina, l’incidenza nell’opinione pubblica della corruzione dominante a Kiev, che contrasta con lo sforzo finanziario richiesto per il sostegno alla causa, sottostima la capacità dell’elettorato di valutare la convenienza e l’interesse a mantenere con la Russia rapporti economici e soprattutto a ripristinare l’acquisto di energia.
Se nella strategia dei leader del Pd l’atlantismo incondizionato era utile e necessario e costituiva la chiave della legittimazione dell’accesso al governo ora, a fronte dei nuovi orientamenti della politica statunitense verso l’Europa tale requisito potrebbe essere bypassato.
Il problema è che il Pd è gravato da una zavorra di individui inqualificabili, appartenenti all’ala cosiddetta riformista, che sono stati dislocati dalla Segretaria nelle candidature per l’Unione europea, nella speranza e nella convinzione che in quella posizione facessero meno danni. Il fatto è che costoro costituiscono una feccia immonda, nemica delle libertà Costituzionali e di pensiero, propaggine cancerogena dei democratici statunitensi che furono al governo degli Stati Uniti e oggi in totale crisi.
Non solo, ma dopo la scoperta dei cessi d’oro degli oligarchi ucraini, acquistati con i proventi delle mazzette sulle forniture belliche ci si chiede come le truffe messe in atto potessero funzionare senza dei complici a Bruxelles, il che fa sorgere legittime fondate domande sulla sincerità del sostegno alla causa ucraina.
Sono tante le ragioni che avrebbero richiesto al Pd di mettere in atto una profonda riflessione per procedere ad una revisione della sua posizione in politica estera, soprattutto per quando attiene la guerra in Ucraina, anche prendendo atto che il servilismo verso gli USA non è più indispensabile per accedere al governo e si può aspirare ad un minimo di dignità nell’interesse del paese.
Né basterebbe rivedere la politica estera perché è necessario riflettere profondamente sulle conseguenze del sostegno al riarmo che è antitetico e contrario al potenziamento del finanziamento del welfare che a volte sembra interessare il Pd e la sinistra riformista che aspira ad essere un’alternativa all’attuale governo.
Ai partiti, che dicono di voler contrastare il governo Meloni e si candidano a sostituirlo nell’interesse del paese, andrebbe spiegato che non basta che i partiti al governo facciano delle scelte scellerate o ancor più più furbescamente non ne facciano alcuna per non scontentare nessuno e si affidino al laissez faire per mantenere il sostegno di quel residuo elettorato che ancora si reca alle urne, ma occorre avere un programma credibile e chiaro che permetta all’elettore di riconoscersi in quelle proposte e decidere di recarsi alle urne per sostenerle, perchè fanno la differenza.
Senza queste scelte di metodo è impossibile affrontare la nuova fase economica e il nuovo assetto internazionale, per contribuire a ridare i popoli europei la possibilità di mantenere e sviluppare il loro tenore di vita, in un mondo divenuto multipolare, nel quale la competizione deve divenire pacifica collaborazione per evitare un conflitto nucleare che sarebbe definitivo e devastante.
Ciò detto, ci sia consentito di dubitare che ciò possa avvenire, in considerazione del fatto che troppi personalismi, troppi comportamenti opportunistici, troppi interessi di bottega popolano e infettano la classe politica, divenuta anche nel nostro paese un aggregato oligarchico di soggetti che vivono una vita separata rispetto ai cittadini e si distinguono, per stupidità e ignoranza.
La Redazione