STORIE DI IERI E STORIE DI OGGI

Ho avuto modo di leggere in sequenza due libri, usciti in periodi diversi che trattano argomenti apparentemente lontani, ma ambedue estremamente importanti.
Partiamo dalla ponderosa biografia di Putin scritta da Philiph Short [1]. Uscita nel 2022, poco dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, si tratta di uno straordinario lavoro di ricerca, corredato da un’amplissima bibliografia e da una quantità di fonti impressionante.
Il genere biografico, in mano a storici capaci non solo di scavare, ma anche di connettere le fonti e di avere uno sguardo ampio, è ancora in grado di illuminare in maniera inedita molte questioni storiche.
In questo lavoro di quasi mille pagine non affronta la storia vista dal “buco della serratura”, ma si evidenzia, invece, una grandissima capacità di tenere insieme alcuni aspetti della vita pubblica e privata del Presidente Russo collegandoli strettamente alle vicende generali del suo paese e del rapporto con le altre realtà statuali. Insomma la storia tout-court, come del resto si intuisce fin dal titolo.
Non è qui facile riassumere questo lavoro, nemmeno per sommi capi. Quello che mi preme però è ripercorrere alcune suggestioni che potrebbero essere utili per comprendere alcune dinamiche dell’attualità rispetto alle quali il sistema informativo “occidentale” non solo latita, ma costruisce le proprie narrazioni su una propaganda che appare sempre più una realtà controfattuale. Insomma, l’Europa è in guerra e la sua informazione è quella di un paese che ha ormai coartato il dibattito.
La ricostruzione della vita privata e pubblica di Putin va qui di pari passo con la storia generale e con la nostra, in un gioco di specchi continuo che annulla ogni superiorità morale rispetto a questioni complesse.
Secondo il “cerimoniale Mainstream” qui dovrebbe starci una premessa in cui si prendono le distanze da Putin, esattamente come nella vicenda di Gaza bisogna sempre mettere le mani avanti condannando “il 7 ottobre”. È inutile dire che a questa pantomima ridicola e oltraggiosa il sottoscritto non aderirà mai, mentre è invece bene precisare che Short, proprio perché è lontanissimo da ogni sentimento di “putinismo” riesce a mettere a fuoco l’enorme rimosso dell’Occidente.                                        Ecco, quindi, uno dei punti fondamentali del libro. La Russia, dalla “caduta del muro” [2] non solo è stata trattata come l’ultimo dei paria, ma la si è considerata ormai fuori scena, una specie di fratello minore, che poteva aderire al banchetto occidentale ma solo previo salasso. Ora, ovviamente, parlare di Russia in maniera così generica sembrerebbe inutile oltre che improduttivo, ma, accodandosi a come si parla dell’Occidente” non vedo poi un grande scandalo. In realtà possiamo proprio parlare di “Russia” perché le conseguenze della gestione del post-realismo socialista sono state devastanti per la popolazione. E questo è un fondamentale per capire la situazione attuale.
Dopo la fine del c.d. “Socialismo reale”, Gorbaciov, Eltsin e Putin (che di Eltsin era più che un collaboratore, cosa che si tende spesso a dimenticare) avevano avuto come obiettivo l’occidentalizzazione della ex-Urss. Ma i primi due provocarono soprattutto un disastro senza precedenti (nel caso di Gorbaciov, aggiungo io, va riconosciuto che si mosse evitando violenza e repressione). Trasformare un paese come l’URSS portandolo in una economia di mercato, come era intuibile, provocò un contraccolpo durissimo alle condizioni di vita delle persone. Eltsin era il perfetto e utile idiota, rispetto al quale, l”Occidente” permise non solo il bombardamento del parlamento ma si intromise in maniera palese nelle elezioni del 1996. Cito dal libro:

“Le elezioni del 1996 furono uno spartiacque […] le conseguenze dei mezzi usati da Eltsin per vincere furono per la Russia di portata altrettanto vasta. Nel 1993, quando il presidente aveva usato l’esercito per schiacciare un parlamento ribelle ma legittimamente eletto, sostenendo di non avere altra scelta perché la Russia stava diventando ingovernabile, l’Occidente lo aveva sostenuto, nonostante il ricorso alle forze armate per soffocare il dissenso politico fosse una palese violazione dei principi democratici. […] Le elezioni del 1996 segnarono un ulteriore salto di qualità.
Per essere certi di scongiurare il ritorno al potere dei comunisti, gli Stati Uniti e altri governi occidentali finanziarono la rielezione di Eltsin […] questa era la prima volta che l’Occidente condizionava direttamente il risultato del voto in Russia […] prestiti segreti, accelerazione degli aiuti da parte del Fondo monetario internazionale, una visita ufficiale del presidente Clinton durante la campagna elettorale e l’invio, su richiesta della Russia, di spin doctor americani come consulenti di Eltsin. […]
Nel frattempo il comitato elettorale di Eltsin aveva intrapreso quella che Pëtr Aven, ex ministro divenuto poi uno dei banchieri più ricchi del paese, definì «una gigantesca manipolazione dell’opinione pubblica». I canali televisivi ORT e NTV non solo sostennero Eltsin, ma gettarono fango sui suoi avversari comunisti con ogni tipo di calunnia possibile e immaginabile. […]
L’allontanamento della Russia da quelle che l’Occidente considerava le regole democratiche non è iniziato con Putin. È iniziato negli anni novanta, quando al potere c’era un amico degli americani, Boris Eltsin.”[3]

Tuttavia anche le corde più resistenti alla fine cedono.
L’intervento in Kosovo del 1999 è fondamentale per capire il piano inclinato che ha portato ad un sempre più evidente distanziamento tra “l’Occidente” e la Russia. Per quanto vi fossero stati altri e anche ben più pesanti interventi armati camuffati sotto mentite spoglie, il Kosovo riassume in sé il modello della egemonia occidentale, o meglio il presuntuoso tentativo di “fare cappotto” dopo la caduta del muro. Sotto la menzogna di un inesistente genocidio (esattamente con accadrà in Libia) la Nato, senza alcun mandato dell’ONU, bombardò per settimane infrastrutture civili, provocando migliaia di morti innocenti e disseminando il terreno di ordigni tossici. Ma c’è di più. Quell’intervento andò a modificare la geografia di un paese, accogliendo le richieste di separazione di una parte.
Sono esattamente gli stessi ingredienti che userà Putin per l’intervento in Ucraina. La pretesa superiorità morale dell’Occidente sta solo nella narrazione e nella convinzione di essere sempre nel giusto.
Ma c’è di più. L’intervento armato provocherà innanzitutto l’ira della Russia, da sempre a difesa degli slavi, tanto è vero che si arrivò quasi ad un confronto armato diretto fra Russia e Nato: l’incidente di Pristina velocemente e malamente dimenticato. [4]
Anche il bonario e alcolizzato Eltsin si accorse della reale situazione internazionale.
Ebbene, uno dei focus del libro di Short è proprio la disillusione via via sempre più chiara ed evidente che vedrà prima Eltsin, ma soprattutto Putin (fatto di ben altra pasta, anche dal punto di vista delle esperienze di vita e professionali) perdere ogni speranza nella credibilità dell’Occidente, andando a riscoprire sempre di più la “specificità” russa e costruendo in maniera sempre più evidente un regime autoritario sì, ma con un reale e ampio consenso da parte della popolazione. Una popolazione che ha visto, in maniera inequivocabile, migliorare le proprie condizioni di vita precipitate dopo il collasso sovietico e la fine delle illusioni delle bellezze del “mercato” e che a quella situazione non ha proprio alcuna voglia di tornare.
Anche la questione ucraina viene illuminata sotto un altro piano. Ovvero che, ben prima del 2022, gli USA erano assolutamente consapevoli di cosa rappresentasse per la Russia:

“L’ingresso dell’Ucraina nella NATO è il confine invalicabile per l’élite russa (non soltanto per Putin). In oltre due anni e mezzo di conversazioni con i principali attori della scena politico-economica del paese, dai più oscuri personaggi nei recessi del Cremlino ai più acuti critici liberali di Putin, non ho ancora trovato nessuno che non consideri l’ingresso dell’Ucraina nella NATO una sfida diretta agli interessi della Russia. In questa fase, l’offerta del MAP non viene considerata un semplice passaggio tecnico […], ma un vero e proprio guanto di sfida. La Russia di oggi reagirà.”[5]

Come ho detto, è impossibile riassumere qui questo ponderoso e fondamentale volume. Come nello scoppio della prima guerra mondiale, anche la situazione attuale è caratterizzata dalla fine sempre più evidente di una egemonia che non vuole cedere ed un mondo in ebollizione. Quello che è certo è che se l’Occidente continua a vendersi come il portatore di tutte le virtù, evitando persino di considerare l’avversario degno di una minima attenzione, il famoso piano inclinato è destinato a diventare un precipizio.

Il secondo libro, uscito nelle settimane scorse, sembrerebbe non avere nulla a che fare con quello di cui si è appena parlato. È un testo di storia contemporanea, l’ennesimo si potrebbe dire, sull’ascesa di Hitler al potere, scritto da un brillante e ancora giovane storico francese.[6]
Chapoutot affronta una tematica apparentemente decotta sotto un’angolazione originale, ma che è anche quell’angolazione con la quale la storiografia marxista, ormai buttata alle ortiche (nel nome della “storia della mentalità” e dell’approccio postmoderno che pare ancora oggi essere egemone) aveva cercato di raccontare la vicenda di Weimar.
Anche in questo volume, gli spunti sono davvero tanti, tantissimi e l’autore non ha paura di misurarsi con il presente, individuando alcuni nuclei essenziali, seppure relativi a situazioni storiche diverse. Uno degli aspetti che colpisce è che nella Germania di Weimar, la cui democrazia parlamentare viene colpita e affondata già nel 1930, le scelte dell’SPD di appoggiare il “meno peggio” per evitare il peggio non evitarono né l’uno né l’altro. “Peggio” e “meno peggio”, tra l’altro, erano assolutamente sovrapponibili e pienamente inseriti in quel percorso di distruzione della democrazia, dei diritti sociali, a favore di una politica totalmente schiacciata sul capitale. Percorso nel quale il partito nazionalsocialista, ripulito dalle violenze (che facevano “brutto”) non solo era pienamente accettato dai “liberali” ma, a volte, poteva persino apparire troppo di sinistra.
Per uscire dalla storiografia e rientrare nel presente, direi che queste 2 letture possono aiutare a farci capire come alcuni percorsi intrapresi nel passato ed altri in anni più vicini a noi, abbiano portato alla drammatica situazione che stiamo vivendo. Una situazione che non è la stessa dell’avvento di Hitler, o della Seconda guerra mondiale, ma che
contiene in sé alcuni di quegli elementi depositati dalla storia.
Ad esempio le politiche deflazionistiche e antisociali come scelta non solo economica ma, anzi, pienamente ideologica, elaborata scientificamente per colpire le classi “pericolose”, per attaccare ed affondare i diritti sociali.
L’ordoliberismo come brodo di coltura dello stesso nazionalsocialismo che, al di là delle parate e delle parole, fu un incubatore per le maggiori aziende tedesche e persino per l’organizzazione manageriale.[7]
In realtà la democrazia di Weimar era invisa ormai a tutta la classe dominante e che il potere sia stato consegnato ai nazisti, alla fine, fu il risultato di uno scontro interno ai vertici.
Che, a pensarci bene, aggiungo io, fu lo stesso meccanismo che permise al fascismo italiano di andare al potere con una manciata di deputati (e lo stesso tentativo, ovvero uno stato autoritario senza duce, fu quello messo in atto con la defenestrazione di Mussolini).
Noi oggi sappiamo cosa è successo nel secolo scorso, ma, i passi che sono stati intrapresi nell’ultimo quarantennio sono gli stessi di allora: distruzione dello stato sociale (basta leggere il programma di Von Papen, divenuto nel secondo dopoguerra quasi un antinazista), sgravi fiscali per le aziende, richiamo all’ordine. Lo stato non solo minimo,
secondo i dettami del liberismo classico, ma anzi, uno stato dichiaratamente pro-capitale.
Dopo decenni di microstorie e “storie della mentalità” e della “complessità” (termine completamente frainteso e mistificato) fa un certo piacere vedere storici che non hanno paura di affrontare la contemporaneità, tornando, si sarebbe detto una volta, ai fondamentali. Anche perché oggi tornano ad essere drammaticamente utili.

Andrea Bellucci

[1] P.Short, Putin. Una vita il suo tempo, Marsilio, 2022                                                  [2] Una caduta celebrata malamente e improvvidamente, In Italia soprattutto da parte degli eredi del PCI. Una specie di infantilismo storiografico che ha prodotto nei primi anni ‘90 una caduta vertiginosa della qualità e del livello della discussione, soprattutto a
livello mediatico. Ovviamente dimenticando tutte le possibili conseguenze di quella vicenda e tacendone perfino le origini.
Conseguenze che gli USA capirono subito, avviando nel 1991 una prima guerra internazionale con il plauso di tutti paesi occidentali e l’inanità di una Russia semidistrutta.
[3] Philip Short, Putin., cit., ebook, pos. 6213-6229
[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Incidente_di_Pristina                                                        [5] William Joseph Burns, ambasciatore in Russia fino al 2009, direttore Cia dal 2021 al 2025 a Condoleeza Rice – Segretaria di Stato dal 2005 al 2009 – 8 febbraio 2008. Burns to Rice, Russia Strategy (Secret) https://carnegieendowment.org/features/back-channel?lang=en. Citato in Philip Short. “Putin. Una vita, cit.”, Marsilio, 2022)
[6] J, Chapoutot, Gli irresponsabili. Chi ha portato Hitler al potere?, Einaudi, 2025,
[7] J. Chapoutot, Nazismo e management. Liberi di obbedire, Einaudi, 2021.