Leva e militarizzazione della società

La politica bellicista adottata dall’Unione europea spinge i diversi paesi che ne fanno parte ad adottare politiche di riarmo alle quali si accompagna quello della mobilitazione delle risorse umane nonché instillare la convinzione nell’opinione pubblica che la guerra è vicina e inevitabile e che ad essa non ci si può sottrarre. La conseguenza tangibile di questa scelta non è solo la destinazione di risorse economiche al riarmo, sottraendole ad altri utilizzi come lo sviluppo economico e i servizi sociali ma anche la reintroduzione della leva, che in quanto tale al di là di ogni retorica trasformista, è di per sé obbligatoria.
Mentre la scelta di destinare risorse al riarmo viene addolcita prospettando sviluppo economico grazie alla crescita della produzione bellica che garantisce occupazione e consentirebbe in tal modo la soluzione alla crisi di alcuni settori come quello dell’automobile e di conseguenza il recupero di risorse per investimenti sociali, la mobilitazione delle risorse umane è ancora più dura da far digerire alla popolazione benché al momento questa sembra abulica, avendo dimenticato dopo 80 anni di pace cosa sia la guerra. Non che in questi anni la guerra non vi sia stata ma l’Europa l’ha esportata con l’eccezione della crisi iugoslava quando l’ha fatta impiegando gli eserciti professionali e spingendo le popolazioni balcaniche a scontrarsi in una guerra fratricida che ha fatto a pezzi l’intangibilità dei confini, il principio di sovranità e il diritto internazionale.
Per rendere digeribile la mobilitazione delle risorse umane si ricorre al camuffamento della leva in mobilitazione volontaria, adottando tuttavia varianti a seconda del paese e della sua particolare situazione demografica e sociale.
Succede così che mentre in Francia si prospetta, ad opera di un governo screditato che ormai non ha nulla da perdere in quanto ad impopolarità, una mobilitazione obbligatoria che impone ai cittadini scelte indigeste, che dovrebbero portare all’impegno sul campo di battaglia e alla morte dei giovani (dichiarazione del Capo di Stato Maggiore francese generale Fabien Mandon), in Germania si mette a punto una legge di schedatura della popolazione mobilitabile per sorteggiare le persone da richiamare in caso di volontari insufficienti.
In gran Bretagna le Forze Armate costituiscono un corpo interamente professionale e volontario a partire dal 196° anche se il Governo Sunak ha tentato inutilmente di adottare provvedimenti di legge di reintroduzione della leva. D’altra parte il governo del paese è noto per la sua abilità nell’utilizzare gli altri per fare la guerra, traendone il massimo profitto come fa addestrando e mobilitando gli ucraini e mandandoli a massacro.
Nell’armatissima Polonia, dopo aver abolito la leva obbligatoria nel 2009, il governo sta lavorando a programmi di addestramento militare volontario obbligatorio per tutti i cittadini, con l’obiettivo di rafforzare le forze armate, introducendo corsi di difesa di base e addestramento per un’eventuale riserva, mantenendo la possibilità per gli obiettori di
coscienza di optare per il servizio civile. I Paesi baltici mantengono in armi i loro lillipuziani eserciti e si limitano a imporre all’intera Unione, per il tramite della Kretina Kaja Kallas una politica bellicosa contro la Russia.
C’è poi il modello baltico: Norvegia, Svezia, Danimarca e Finlandia la leva militare è obbligatoria per tutti. Nei primi due paesi la legge è obbligatoria per uomini e donne ed è stata ripristinata tra il 2016 e il 2018 e in Danimarca dal 2026 reclutando preferibilmente volontari e ricorrendo al sorteggio se le volontarie non sono sufficienti (sistema che ha ispirato quello tedesco). I cittadini vengono sottoposti ad una selezione che include il servizio civile o militare. Si tiene conto delle motivazioni personali, è prevista prestazione del servizio alternativo e l’obiezione di coscienza. La durata del servizio va da 11 a 15 mesi. In Finlandia, la leva militare è obbligatoria per tutti i maschi maggiorenni (dai 18 anni in su), con durata da 6 a 12 mesi, affiancata da un’opzione di servizio civile della durata fissa di 12 mesi, mentre le donne possono arruolarsi volontariamente. Tutti questi sistemi di mobilitazione prevedono un vasto bacino di riservisti.
La mobilitazione delle donne, in alcuni casi obbligatoria in altre volontaria, giustificata con la parità sessuale è in realtà resa necessaria dalla situazione demografica di questi paesi che non dispongono di un numero sufficiente di popolazione per ricoprire i ranghi dell’esercito anche in considerazione della riluttanza di molti cittadini a svolgere il
servizio militare e a ancor più a partecipare a conflitti.
Inoltre Francia e Spagna integrano l’esercito nazionale con corpi volontari come la Légion étrangère per la Francia e la Legión Española, detta Tercio, formazioni di élite, composte da soldati provenienti da diversi paesi, ma con ufficiali prevalentemente in possesso della cittadinanza del paese.
Per far fronte alla crisi demografica e di fronte al crescente rifiuto da parte dei giovani a prestare servizio militare alcuni paesi come gli Stati Uniti hanno introdotto consentono che il servizio militare degli stranieri costituisca uno strumento attraverso il quale guadagnarsi la concessione della cittadinanza.

La situazione italiana

In Italia il servizio militare obbligatorio è stato abolito nel 2004 e sostituito da un esercito professionale.
Attualmente l’esercito ha meno di 100.000 uomini (94.000 la Marina militare circa 29.000, l’Aeronautica militare 38.500.
Queste le forze armate della Repubblica alle quali vanno aggiunti circa 107.000 carabinieri, 58.000 finanzieri, 10.000 uomini della Guardia costiera; costoro “portano le stellette”, cioè fanno parte di corpi o armi che hanno uno status militare e sono sottoposti a disciplina militare. Poi c’è la Polizia di Stato, la polizia penitenziaria, in tutto 30.000 uomini, circa. La spesa per le forze armate è di 7,2 miliardi (cadauno 594€). Come si vede in Italia non mancano sicuramente le persone in divisa!
Ma ad avviso di Capo Dragone, l’ammiraglio che prima di essere presidente del Comitato militare della NATO è stato capo di Stato maggiore della difesa, cioè il responsabile militare della difesa dello Stato, in una audizione davanti alla Commissione riunita di difesa del Senato e della Camera, le forze armate hanno oggi tre necessità: la prima è quella di riequilibrare le dotazioni organiche che vanno adeguate alle nuove esigenze; la seconda è quella di bilanciare la componente in servizio permanente, cioè la componente che considera quel mestiere il proprio per tutta la vita da quando si hanno 19 anni a quando si compiono i 63 anni; la terza quella di prevedere una riserva per fronteggiare crisi lunghe o brevi. Questo tipo di riserva è chiamata dalla legge riserva ausiliaria dello Stato ed è prevista dalla legge 119 del 2022 all’articolo 9 e consiste di 10.000 uomini. È opinione diffusa negli ambienti politici e militari che questo modello non regge rispetto al nuovo quadro normativo.
Disaggregando i dati così finora forniti notiamo che dei 94.000 uomini dei quali dispone costituiscono la truppa 61.000 (61%) dei quali più della metà ha più di 40 anni, il 25% del personale non pertanto impiegabile; 21.000 sottufficiali e 11.000 ufficiali. I 38.500 sono distribuiti su 50-52 navi. Se all’esercito si sommano gli effettivi delle altre armi si ha un totale 155.800. Gli incrementi minimi che sarebbero necessari per la marina sono da 6.000 a 9.000 uomini; per l’aviazione e l’esercito non risultano esservi quantificazioni.
Ma come si diceva i Corpi militari dello Stato non si limitano alle forze armate e se si sommano a queste Carabinieri, che sono anch’essi impiegabili in combattimento, finanzieri e Guardia costiera, nell’insieme si può disporre di altri 125.000 uomini tra polizie e polizia penitenziaria per un totale generale di 430.000 uomini ai quali andrebbero ad aggiungersi i già citati 10.000 riservisti.

Alcune considerazioni necessarie

Al di là dell’incremento numerico delle forze armate vieni da chiedersi quale sia il rapporto tra la popolazione mobilitabile e quella già in armi e fino a che punto il paese possa supportare un incremento delle forze armate in caso di mobilitazione e se l’Italia possa reclutare forze costituite da non cittadini. Prioritariamente rileviamo che il servizio
militare è riservato ai cittadini poiché esso avviene, come stabilisce la Costituzione, in difesa della Repubblica, non dello Stato e tanto meno della nazione. Si presuppone che colui che presta servizio militare faccia parte della Comunità e desideri difenderla. Ciò premesso, considerando che ad oggi la popolazione italiana residente è di 59.000.000 (previsti 54 milioni nel 2050) dei qualei14,5 milioni nel 2025, pari a circa il 24,7% della popolazione totale sono ultra 65 enni e che la popolazione al di sotto dei 18 anni è di 7,2 milioni, tenendo conto che il limite di prestazione del servizio militare è di 63 anni, il campo di disponibilità si aggira per difetto intorno a 21,7-22 milioni di uomini e soprattutto donne.
Ne consegue che il numero degli uomini mobilitabili dovrebbe ipoteticamente attestarsi intorno ai 10 milioni, numero che va depurato da malati, inabili e affetti da patologie invalidanti, nonché di coloro che pur risultando residenti sono emigrati per ragioni di lavoro o altro dei quali circa mezzo milione già in armi. Ne viene che il numero dei
mobilitabili non supera i 5 milioni, raschiando anche il fondo del barile e vuotando totalmente di uomini la società, sui posti di lavoro, nelle fabbriche, negli uffici, negli ospedali ecc e tenendo conto dell’obiezione di coscienza.
Da queste pur brevi e sommarie considerazioni risulta evidente che lo sforzo bellico che il paese è in grado di intraprendere è del tutto inadeguato ad affrontare i pericoli paventati, se non in un quadro di futuro, quanto improbabile, costituzione di un esercito dell’Unione europea il cui primo problema è costituito dalla nazionalità di chi dovrebbe assumerne il comando anche limitandosi alla contesa tra Francia e Germania, a meno che non si pensi ad un generale fantoccio eterodiretto dei soliti inglesi, magari di nazionalità ucraina. Cioè dimostra quanto sia stupido da parte dell’Ue lasciarsi trascinare dal socio inglese che, sognando l’impero, pensa ancora di muovere i pedoni sullo scacchiere dell’Europa per dominarla a riprova di queste malevole intenzioni dei britannici si noti che malgrado il mutare dei governi la politica inglese è sempre rimasta la medesima negli ultimi 300 anni. Ne consegue che la politica di riarmo del paese sarebbe un regalo ad altri ed un disastro per l’Italia, a riprova che i sicuri nemici sono i cosiddetti amici.
A chi a cosa serve dunque l’impiego di così ingenti risorse e la creazione di una forza armata di mezzo milione di uomini e donne? Sorge inevitabile il fondato sospetto che tutto quanto sta avvenendo è finalizzato a garantire lauti guadagni all’industria bellica e al tempo stesso a creare e mantenere una forza armata che consenta di militarizzare la vita del paese al fine di controllare la società civile ed orientarne le scelte sia per quanto riguarda lo sforzo bellico che soprattutto l’ordine sociale, garantendo al governo di turno il controllo della popolazione.
In quanto alle aspirazioni a difendersi dagli attacchi di un nemico esterno basti considerare che un’eventuale conflitto non potrebbe che sfociare ragionevolmente, ma irrazionalmente per gli interessi dell’umanità intera, in una guerra nucleare e in questo caso a nulla sarebbe utile l’esistenza di una forza amata a fronte del probabile olocausto nucleare, posto fra l’altro che l’Europa dispone della forza di deterrenza nucleare francese estremamente debole e dell’improbabile utilizzo della copertura inglese, più propensa al limitarsi alle amate isole britanniche.
Va da sé che le che la militarizzazione dell’Europa è un controsenso poiché essa per la difesa dei propri interessi economici e culturali dovrebbe guardare ad un rapporto di collaborazione Euroasiatica piuttosto che lasciare che i propri paesi siano delle province tributarie del decadente impero statunitense o le propaggini velleitarie e inconsistenti di un fantomatico impero britannico rinato.

La Redazione