A proposito di periferie

Vele di Scampia

Oggi, si assiste globalmente a un fenomeno di “concentrazione urbana del disagio e della povertà”, ovvero del progressivo confluire in contesti urbani di fette ampie di popolazione soggette a fenomeni di marginalizzazione ed esclusione sociale che sono purtroppo in crescita, specialmente in quei contesti a maggior urbanizzazione, dove raramente si è tentato di mettere in campo pratiche inclusive e accedere alle risorse primarie, come case sicure e pulite, ma anche aree verdi, cruciali per la socialità.
Un’analisi seria non potrebbe che partire dalla consapevolezza che in questi luoghi si concentra l’emarginazione e si creano le condizioni per sviluppare criminalità e disillusione, dove dolore o senso di abbandono e rabbia diventano due facce della stressa medaglia. Se guardiamo i dati Istat, ed i diversi e diffusi studi di sociologia urbana e di analisi delle città, non si può non prendere atto che migliaia di ragazzi vivono in contesti assolutamente privi di bellezza e di quegli stimoli necessari ad assicurare possibilità concrete di realizzarsi come persone di una società cosiddetta civile. L’ISTAT stima in oltre 2 milioni le famiglie in povertà e con oltre un 30% del totale che fa fatica ad arrivare a fine mese e che vivono prevalentemente negli hinterland delle aree urbane per cui è evidente che nelle periferie degradate delle città si concentrano quindi non soltanto giovani emarginati, ma anche giovani poveri.
Lo smantellamento delle strutture produttive e la delocalizzazione delle attività manifatturiere ed industriali hanno contribuito a creare aree dismesse, sempre più degradate, consegnate alla speculazione edilizia e agli investimenti immobiliari a carattere speculativo, destinati soprattutto nelle città a vocazione turistica ad ospitare B&B e abitazioni ad affitti brevi, contribuendo alla terziarizzazione di molte aree urbane.
Queste riflessioni di carattere generale costituiscono il contesto in cui inserire ulteriori considerazioni relative all’ambiente e agli spazi che caratterizzano le periferie, dove prevale da sempre la logica di aree impersonali e incapaci di essere fattore di identità, con la conseguenza di favorire l’affermazione di immagini negative. Nelle periferie, così come nelle borgate storiche non vi sono cinema, né teatri, né biblioteche, né centri in cui ritrovarsi. Necessiterebbe quindi di modificare e invertire questo stato di cose.
Diventa fondamentale intervenire sull’attuale conformazione spaziale e ricostruire connessioni e collegamenti con il resto della città in maniera non episodica e improvvisata ma con progetti organici. Si deve scegliere se procedere per “rammendi” come suggerito da Renzo Piano, ma continuando a delegare l’assistenza e l’attenzione ai problemi socio economici, a forme di volontariato o a risorse pubbliche residuali, oppure decidere di intervenire anche con modalità più radicali. Una politica di riqualificazione ed integrazione di questi luoghi diventa necessaria attraverso la creazione di contesti diversi, seguendo il metodo dell’urbanistica partecipata, dell’ascolto e del confronto, mettendo in campo risorse culturali e relazioni innovative che diventino riferimento metodologico a cui ricorrere per ogni intervento sul territorio,
sin dalla pianificazione per poi calarlo nelle diverse fasi della progettazione, della realizzazione, fino alla gestione delle opere, una volta messe a disposizione dei cittadini.
Bisogna mettere in campo strumenti nuovi che consentano l’integrazione delle periferie con il resto della città e/o dell’area metropolitana sotto i diversi aspetti dell’economia e dei trasporti, ma anche in termini di pensiero e di scambio culturale, creando strumenti stabili e occasioni sistemiche. Insomma il problema del modo più adeguato per contrastare i fenomeni di marginalità ed esclusione sociale necessita di risposte innovative rispetto alle tradizionali modalità di intervento del settore pubblico, strumenti che devono avere l’obiettivo di ricucire il contesto periferico con la grande scala, attraverso percorsi di rigenerazione urbana fondati sull’integrazione sociale e funzionale, in cui la sostenibilità svolge un ruolo cruciale, sia per minimizzare l’impatto ambientale e sia per massimizzare il benessere della cittadinanza.
E’ evidente che un approccio di questo tipo richiede modelli di gestione amministrativa e quindi di governance nuovi poiché ogni città ha caratteristiche territoriali, ambientali differenti, con potenzialità di crescita e di miglioramento della qualità della vita che vengono tarpate da un sistema amministrativo arcaico e inefficiente, le città hanno necessità di realizzare sistemi urbani secondo i nuovi paradigmi della sostenibilità e della connessione digitale, favorendo anche forme di autogoverno e di democrazia partecipata in cui innestare modelli di integrazione sociale spinta favorita da una
nuova offerta di qualità della vita e di servizi.

Tonino Coscarella