No, questa volta non sono gli studenti ma le lotte e non solo quelle della scuola e nella scuola.
Il Governo aveva tracciato una tabella di marcia che prevedeva l’approvazione della “legge bavaglio” e contestualmente della riforma universitaria e della finanziaria prima dell’estate. Ma l’emergere di parte del malaffare che gira intorno al Governo e che condisce ogni sua azione ha prodotto la crisi politica e la scissione all’interno del PDL, incidendo sul funzionamento delle istituzioni e molti provvedimenti e eventi si
addensano a settembre, mentre sembra ormai abbandonata la legge “bavaglio” che per tanti mesi ha impegnato il Parlamento.
Nel frattempo la disoccupazione, purtroppo, subirà un’ulteriore crescita, mentre resteranno irrisolti le grandi e dimenticate vertenze operaie dell’alluminio e la criminale vicenda di Eleutelia e persiste lo scontro nell’industria metalmeccanica con il gruppo Fiat che vede la Fiom difendere il lavoro operaio e la sua dignità. Il tratto caratteristico di queste lotte è l’isolamento, costruito ad arte dal Governo e dai sindacati manutengoli di Cisl e Uil intorno alla resistenza operaia. Perciò contro queste organizzazioni e i loro quadri sindacali che agiscono come briganti va diretta l’azione di discredito, isolamento e emarginazione nei posti di lavoro come nelle assemblee e nelle piazze, in quanto l’unità operaia – essenziale alle lotte – va costruita senza traditori e complici del Governo e dei padroni. Perché ciò sia possibile occorre creare intorno alla resistenza operaia un
cordone di lotte e solidarietà che ne rilanci l’azione e faccia da sostegno alla mobilitazione attraverso l’assunzione di obiettivi propri.
I dati di fatto ci dicono che ciò non potrà che avvenire appena dispiegherà i suoi effetti la finanziaria con il blocco degli stipendi e dei contratti in tutto il settore pubblico, con la restrizione dei servizi pubblici, dai trasporti alla sanità, all’assistenza ai disabili, con la reintroduzione dell’ICI per tutti sotto forma di tassa comunale sugli immobili, con l’introduzione dei ticket su autostrade e raccordi (per ora bloccati dal TAR) con il generale rigurgito dell’inflazione che le misure suddette non mancheranno di produrre.
L’impoverimento complessivo del paese non potrà che abbassare ulteriormente i consumi determinando purtroppo nuovi licenziamenti nel settore produttivo privato a causa del restringimento della base produttiva e rendere necessaria, a causa delle minori entrate un ulteriore intervento attraverso una finanziaria di fine anno.
La parola d’ordine è dunque quella di mobilitarsi a settembre, cercando di coordinare il fronte di lotta contro il Governo.
Si muove opportunamente già in questa direzione la scuola, con manifestazioni d’insegnanti genitori e alunni anche in giugno e luglio (fatti mai successi prima) non solo perché anche su questo settore si è abbattuta l’azione del Governo con licenziamenti, riduzioni del servizio, attacco ai contenuti culturali e al ruolo di coesione sociale delle strutture scolastiche, ma anche perché il Governo prepara l’affondo e usa i tagli ai servizi previsti dalla finanziaria per completare e rendere definitivamente inefficace il sistema pubblico di istruzione e della formazione professionale. Dovrebbe crescere la mobilitazione nell’Università in occasione della discussione della riforma Gelmini al Senato.
I ricorsi come strumento per preparare la mobilitazione
Nella scuola si assiste ad una scesa in campo dell’associazionismo di genitori, insegnanti e studenti e a dare la linea non sono tanto i sindacati, ma le aggregazioni che ricorrono all’uso dello strumento giuridico di opposizione alle disposizioni del Governo per aggregare e mobilitare le componenti della società che ruotano
intorno al mondo scolastico. Su questo fronte si registra una novità e a sostegno di Scuola e Costituzione e dei comitati di genitori e studenti si schierano Provincie e Regioni che si costituiscono come parti interessate nei procedimenti avviati davanti ai giudici amministrativi e soprattutto si schierano politicamente nelle vertenze contro il Ministro. Il TAR ritiene inefficaci le circolari applicative della Ministra, rendendo problematico l’avvio dell’anno scolastico e chiede ai ricorrenti di dimostrare l’esistenza del danno derivante da questi provvedimenti, danno che non sarà difficile dimostrare. Così il territorio è destinato a mobilitarsi contro l’esecutivo e a fare massa nell’opporsi alla politica dei tagli e della “normalizzazione” culturale e sociale perseguita dal Governo.
Questa alleanza deve consolidarsi e rafforzare il blocco sociale disposto a scendere in lotta per contrastare non solo le circolari ministeriali, ma anche gli agenti del sindacalismo padronale e governativo che di fatto sostengono la politica del Governo. Perciò uno dei tratti caratteristici della mobilitazione non può che essere anche nella scuola l’esclusione dei quadri sindacali di Cisl e Uil da ogni assemblea, mobilitazione,
trattativa, avendo invece la preoccupazione di svelare agli iscritti di queste organizzazioni il carattere eversivo e di tradimento della solidarietà di classe e degli interessi di categoria messo in atto dalle associazioni “sindacali” alle quali essi appartengono.
Se lo schieramento degli interessi in campo è chiaro nella scuola, non altrettanta chiarezza vi è per ora nell’Università dove la proletarizzazione degli insegnanti – dai docenti ordinari ai precari – da un lato non ha ancora dispiegato a pieno i suoi effetti e dall’altro vede in azione ancora una cupola di docenti, legata al Governo in funzione non solo di manutengoli, ma di attori prestati alla politica. Prova ne siano le dichiarazioni di favore che hanno accompagnato l’approvazione al Senato della riforma che a settembre dovrà ritornare alla Camera, dove per poter utilizzare la crisi della maggioranza c’è bisogno di un forte movimento di massa nel paese che renda politicamente utile battere il Governo. Il voto favorevole dei rutelliani al Senato non fa ben sperare ma proprio per questo bisogna prendere coscienza che la battaglia va combattuta innanzi tutto fuori dal Parlamento.
Occorre perciò fare chiarezza e capire che si collocano oggettivamente dalla parte del Governo i docenti a tempo definito e quei tanti docenti che fanno parte di assemblee elettive, intendendo con ciò riferirsi non solo al Parlamento, ma a tutti i livelli della politica e degli affari. A costoro accademici e studenti devono precludere la frequentazione anche occasionale dell’Università, devono notificare l’espulsione morale e materiale da un mondo che non gli appartiene, in quanto costoro non sono in grado di trasmettere quel messaggio culturale e scientifico che è intimamente connesso alla funzione docente in un’Università pubblica. Occorre, se necessario, sollecitare pronunciamenti degli organi accademici messi sotto pressione dalla mobilitazione, decretando l’espulsione di questi docenti dall’Università perché indegni di insegnare. Questa azione va condotta attraverso una “marcatura a uomo” che sola può garantire l’efficacia e la chiarezza del messaggio e dare trasparenza, credibilità ed efficacia alla mobilitazione.
Bisogna combattere la tendenza a puntare solo su una parte della categoria degli addetti all’Università come quella dei ricercatori perché, se è vero che essi sono i soggetti più deboli del personale strutturato e svolgono un volume di lavoro consistente non possono giocare contro la fascia ancor più debole dei precari “strutturati” (assegnisti, contrattisti, borsisti ecc.) e ciò non solo per motivi di equità e collocazione di classe nella “graduatoria” dello sfruttamento, ma della credibilità delle loro rivendicazioni. Non può essere sostenuta insomma la richiesta di una parte degli attuali ricercatori che rivendicano la preferenza nei concorsi alle fasce docenti superiori contro i precari più deboli, ma il peso della mobilitazione non può ricadere solo su di essi,
creando perciò un fronte unitario di lotta.
La galassia dell’Università
Quando si pensa alla mobilitazione dell’Università bisogna ricordare che una parte notevole del personale docente e dei ricercatori andrà in pensione nei prossimi cinque anni e che per costoro non c’è turnover. Pertanto il pensionamento segnerà l’estinzione o quasi d’intere discipline, la scomparsa di numerosi insegnamenti e il definitivo declino d’intere linee di ricerca in tutti i campi, con un’ulteriore dequalificazione dell’Università pubblica. L’abolizione del ruolo dei ricercatori precarizza strutturalmente oltre che ridurli al minimo, i ricercatori precari (assegnisti, borsisti, dottorandi) e i pochissimi giovani che ancora si accostano alla ricerca.
Per cui la battaglia principale da fare è quella dell’occupazione e di un forte recupero di personale precario che in questi anni ha “galleggiato” intorno all’Università. Ma per far ciò non bisogna rilanciare solo l’insegnamento, ma anche e soprattutto la ricerca, per la quale non mancano solo risorse per i lavori a progetto ma fondi strutturali e personale. Certo bisogna intervenire sulla configurazione e il numero degli insegnamenti, ma questa operazione può ben farla l’Università con i propri organi, a condizione di sviluppare un serio dibattito sulla didattica che abbia al centro il rinnovamento della qualità dell’insegnamento attraverso l’adozione di comparazione e interdisciplinarietà come strumenti metodologici per l’erogazione della didattica, l’uso di nuove tecnologie, un diverso rapporto con i bisogni sociali di cultura, con il mondo del lavoro e della
produzione.
Per riuscire, la mobilitazione dell’Università non può dimenticare ruolo, funzioni e esigenze del personale tecnico-amministrativo del quale in questi ultimi anni è cresciuta la professionalità, si sono sviluppati e trasformati i compiti, soprattutto quelli connessi alla ricerca, ma non è affatto cresciuto il salario né tanto meno il ruolo e peso di questo personale nella gestione e nell’autogoverno dell’Università.
Al momento i sindacati del settore non sembrano in grado di cogliere questi contenuti e quindi di canalizzare la mobilitazione e la lotta. Tocca pertanto alle strutture assembleari, ai coordinamenti di settore, sia docente che tecnico-amministrativo, svolgere una funzione di volano per la mobilitazione, anche impossessandosi di spezzoni di sindacato e soprattutto cercando di stabilire un rapporto chiaro e leale con gli studenti i quali vanno coinvolti nella reinvenzione della didattica, finalizzata a un’effettiva formazione culturale con un occhio attento al mercato del lavoro, lottando insieme a loro per il diritto allo studio.
Cercare l’alleanza con gli studenti significa demistificare il ruolo della meritocrazia a vantaggio del merito, ricordando che è il sistema complessivo di formazione che va riformato, sconfiggendo il progetto di dequalificazione del sistema di istruzione pubblico a tutto vantaggio di quello privato.
Sulle prospettive di mobilitazione e di lotta nell’Università torneremo a settembre con ulteriori riflessioni.
Giovanni Cimbalo