La Chiesa ha scelto Prevost come successore di Francesco. Il testimone passa da un gesuita ad un agostiniano. Alla ricerca dell’unità la Chiesa cattolica attinge ai suoi ordini monastici, al pensiero profondo dei suoi teologi e alla sua esperienza, per dare soluzione ai problemi attuali. Anche se il mondo laico ha cercato di dare una lettura politica della scelta del nuovo Papa, pensando ad una risposta al declino dell’impero statunitense, alle politiche trumpiane e quant’altro, a nostro avviso, la scelta è stata necessitata soprattutto da ragioni interne profonde. Il breve ma tumultuoso pontificato di Francesco ha aperto su più fronti scenari di crisi che è il nuovo Papa è chiamato a risolvere e per farlo ha bisogno di presentarsi come colui che ricompone l’unità della Chiesa, nella continuità del magistero papale e recupera la tradizione, innovando.
Il nome
Nel momento in cui i pontefici scelgono un nome sono molto attenti nel recuperare i tratti caratteristici dei loro predecessori e intendono lanciare all’intera ecclesia, proprio attraverso l’assunzione del nome, un messaggio intellegibile, in modo tale che le linee di azione siano chiare e visibili, ipotizzabili e prevedibili. Dei suoi 13 predecessori il Papa attuale intende recuperare soprattutto la funzione svolta dal Leone XIII presentato come il Papa dei laboratori per la sua enciclica “Rerum Novarum”, ma in realtà profondamente conservatore. A ben guardare Leone XIII fu un grande restauratore, combattente insieme del liberalismo come del socialismo e dell’anarchismo, sostenitore della centralità della dottrina sociale della Chiesa, fatta di compromesso tra capitale e lavoro, di rifiuto della lotta di classe, di collaborazione tra capitale e lavoro, di sostanziale ritorno all’ordine, un ordine caratterizzato dalla conservazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma, ponderato, addolcito dalla carità e dalla solidarietà cristiana, in modo da far sì che le eccessive disuguaglianze non fossero causa di quella ribellione profonda, di quella palingenesi rivoluzionaria invocata dalle masse.
In quella fase storica la risposta leonina allo sviluppo delle forze produttive e ai mutamenti della società si risolse in un sostanziale fallimento: proponeva una società di piccole e medie aziende diffuse di azionariato collaborativa in un mondo nel quale trionfavano e si affermavano oligopoli giganteschi. Il risultato fu il prevalere da un lato del fascismo e nazismo e dall’altro di un capitalismo selvaggio che ebbe bisogno di allearsi con il comunismo sovietico per sconfiggere il totalitarismo fascista.
Furono necessarie due guerre mondiali perché l’ordoliberismo, ispirato dal cattolicesimo, trovasse modo di affermarsi e di imporre all’Europa il proprio ordine; ora che quel ciclo sembra giunto al termine la Chiesa cattolica si trova di fronte all’insorgere a livello mondiale della “teologia della prosperità” che costituisce uno dei più grandi pericoli che essa deve affrontare, perché insidia e corrompe dall’interno i principi fondanti del cristianesimo, per come è stato letto ed interpretato dai padri della Chiesa. Il pericolo è grande perché questa visione del mondo si è insediata, con l’amministrazione Trump, al centro del residuo potere imperiale, di un impero, quello americano, certamente decadente, ma pericoloso proprio perché morente. Assumendo il nome di Leone XIV Prevost sembra voler lanciare il messaggio che egli come il suo predecessore saprà innovare nel solco della continuità e ripristinare l’ordine garantendo stabilità.
La nuova sfida
Nell’assunzione di quel nome sembra esservi una nuova sfida da far tremare le venne ai polsi: quella di voler riformulare una nuova e diversa visione dei rapporti economici e sociali, che innovi profondamente la dottrina sociale della Chiesa, che le conferisca caratteri peculiari di originalità rispetto al messaggio di altre Chiese e religioni, che faccia i conti col dilagare dell’intelligenza artificiale e del lavoro, con le questioni connesse alla transizione ecologica, ai debiti e crediti degli Stati, al condono del debito, ai problemi posti dalla finanza globale visti in relazione alla povertà crescente di tutti.
Sembra di capire che Leone XIV voglia rispondere in modo nuovo e originale a quel grido che arriva prepotente dalle periferie del mondo nelle quali ha prestato servizio durante il suo magistero, rispondendo alle domande della Dottrina sociale della chiesa, sul lavoro, sulla giustizia dei salari, sul rapporto tra bene privato e bene comune, sulla natura dell’impresa, sulla natura del capitalismo, sulla vocazione dell’imprenditore, sulla pace, e molte altre tematiche come la questione ambientale, ponendosi nel solco dell’enciclica del suo predecessore. Ma per fare questo deve prendere atto che oggi il capitalismo si è spostato dalla fabbrica alla finanza, dal lavoro al consumo, che lo “spirito del business” ha invaso il mondo e ha conquistato le anime, il nichilismo delle merci ha desertificato le anime, imponendo la meritocrazia come valore e la leadership del capitale finanziario si è imposta, facendosi religione e sostituendo il cristianesimo con i suoi nuovi dogmi. La consapevolezza di tutto questo lo porterà inevitabilmente a scontrarsi con quella visione propria del trampismo per la quale la tecnologia e la fusione uomo macchina decidono tutto, per un mondo dove l’oligarchia assume aspetti cangianti e multiformi di dominanza assoluta nella diversità dei regimi politici e delle istituzioni dominanti.
Questo compito sembra essere quando mai urgente Tanto più che oggi a fare concorrenza alla Chiesa Cattolica e alla sua visione del mondo si prospetta un’altra declinazione della dottrina sociale, non solo quella tecnocratica ma anche quella dell’ortodossia, sorretta da un rapporto sinfonico tra Stato e Chiesa, che a sua volta si offre come la vera custode dei valori della tradizione, pronta a contendere sul piano globale il controllo delle coscienze, ma soprattutto la gestione della società. Nel mondo globalizzato, sempre più l’ortodossia, sia nella versione della terza Roma moscovita e del suo catechismo sociale, che in quella della rinata seconda Roma di Costantinopoli. sede del Patriarcato Ecumenico, che sgomita per affermarsi; ambedue queste entità si pongono come antagoniste rispetto alla visione cattolica. Mentre lo scontro si consuma sul terreno europeo tra queste due entità, plasticamente riassumendosi nella guerra d’Ucraina, la Chiesa cattolica è chiamata ad operare sulla dimensione globale del mondo, dovendo affrontare e risolvere i problemi legati alla sua dimensione internazionale quale Chiesa universale. Anche su questo versante è quindi necessario dare una risposta con parole chiare e inequivocabili.
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto del pontificato di Leone XIV sarà importante quanto dirà e farà il pontefice nel suo probabile viaggio a Nicea, nell’anniversario del Concilio di 1700 anni fa sul rapporto con l’ortodossia.
L’unità
In ogni caso la risposta della Chiesa cattolica alla sfida alla quale la chiama la vastità della sua espansione è quella dell’unità. Un’unità da declinare attraverso la riscoperta della collegialità, valorizzando la sinodalità nella Chiesa che passa da un lato per il rafforzamento della funzione della gestione della Curia e dall’altro per l’accentuazione e la valorizzazione del ruolo delle Conferenze episcopali, attuando un decentramento nelle relazioni con gli Stati che passa attraverso la stipula di contratti di collaborazione, non necessariamente attraverso Concordati, che è sempre più caratterizzano le relazioni tra autorità civili e religiose. Questa scelta si rende necessaria per riconoscere e valorizzare le diverse sensibilità, a seconda delle aree geografiche, delle tradizioni e dei costumi, in un mondo dove la Chiesa cattolica è sempre più un’istituzione globale. D’altra parte questo orientamento risponde alla tendenza sempre più diffusa degli Stati
a contenere l’autonomia delle Chiese, posto che in tempi di crescente nazionalismo ogni Stato vuole la sua Chiesa e considera sempre più superata la laicità, favorendo l’affermarsi di una sorta di rapporto sinfonico letto in chiave cattolica.
Questa tendenza risulta evidente se solo si esaminano in dettaglio gli atti giuridici prodotti dalle relazioni stabilite dalle singole conferenze episcopali con gli Stati nei quali esse esercitano la giurisdizione, testimonianza di una frammentazione delle relazioni tra Stati e Chiese, finalizzate al rafforzamento del controllo degli esecutivi sulla vita che le scelte politiche dei popoli.
Le finanze della Chiesa
Tra i problemi più gravi che Francesco ha dovuto affrontare vi è senza dubbio quello della gestione delle finanze del Vaticano che si intreccia con le lobby presenti nella Curia e in particolare con quella che copre la pedofilia. Gli investimenti spericolati di Carol Wojtyla e di Marcinkus, i loro rapporti con il Banco Ambrosiano, i maneggi dello IOR, hanno prodotto una crisi nelle finanze vaticane che la conferenza episcopale tedesca con i suoi versamenti non è riuscita a colmare. A suo tempo, per ripianare il deficit si sono offerti organizzazioni fondamentaliste come i Legionali di Cristo e l’Opus Dei che hanno chiesto ed ottenuto in cambio la copertura alle lordure che molti dei prelati che ne facevano parte praticavano nei confronti dei minori. coprendo i comportamenti criminali di prelati di alto e basso rango. Francesco ha tentato di sottrarre la Chiesa cattolica a questa umiliante deriva, disposto a pagare il prezzo del dissesto delle finanze vaticane a causa del venir meno delle risorse di molti. Oggi il deficit della Santa Sede sembra oscillare tra i 70 milioni e 1 miliardo di euro.
C’è da dire tuttavia che il disordine è tale che pressoché impossibile censire quale sia l’effettivo patrimonio della Chiesa soprattutto se si considera il valore incalcolabile delle proprietà immobiliari che essa possiede nella sola Roma. Ne vi è chiarezza nelle proprietà delle diocesi e delle parrocchie né di quali siano le risorse riconducibili alla struttura centrale della Chiesa o piuttosto di pertinenza delle sue articolazioni. Quel che è certo è che il sostegno che dovrebbe venire all’obolo di San Pietro dalle diocesi degli Stati Uniti, anche se impoverite dalle grandi penali pagate per chiudere le cause per pedofilia, dovrebbe riuscire a recuperare il deficit, supplendo al diminuito contributo proveniente dalla Conferenza episcopale tedesca le cui finanze sono gravate non solo dal peso della crisi economica della Germania, ma dal ridursi della partecipazione dei fedeli. Rispetto a Francesco Prevost ha il vantaggio di avere lavorato per anni alla nomina dei vescovi, avendo modo di approfondire la conoscenza del tessuto intermedio del potere ecclesiastico sui territori e può quindi ragionevolmente contare su una rete di uomini di fiducia, diffusa sul territorio, forse capace di garantire un maggior controllo tra centro e periferia, certo funzionale a ricomporre la fratture esistenti nell’episcopato; inoltre le sue posizioni di moderato centrista, da prudente innovatore, possono assicurare, anche grazie all’energia che gli deriva dalla giovane età, a rimuovere quegli ostacoli che si sono finora frapposti a un’opera di pulizia e razionalizzazione del
funzionamento delle strutture ecclesiastiche, o almeno su questo contano i cardinali che lo hanno eletto.
Il Papa politico
Certamente, come è stato sottolineato, il nuovo pontefice non poteva che porsi sulla scia di Francesco nell’invocare la pace, come del resto hanno fatto tutti i pontefici a partire dalla perdita del potere temporale, e quindi dopo Leone XIII, una volta ascesi sulla cattedra di Petro.
Un primo elemento di discontinuità è costituito dalla posizione del nuovo pontefice sulla guerra d’Ucraina, le sue cause, le responsabilità, le conseguenze, geostrategiche, il che esclude per molti versi la diplomazia vaticana dalle trattative per la pace, mentre sembra esservi continuità relativamente alla posizione su Gaza e la questione palestinese.
Tuttavia c’è da credere che il pontificato di Leone XIV si caratterizzerà per interventi sul piano teologico e magistrale, avendo come obiettivo la pacificazione delle coscienze e gli aspetti teologici, spirituali ed esperienziali più squisitamente religiosi del credere. A meno che l’orrore derivante dal genocidio dei palestinesi non valga a far sollevare alto il grido di orrore del pontefice regnante e la condanna senza appello degli assassini.
Gianni Cimbalo