Claudia Sheinbaum, docente di ingegneria nucleare, 61 anni, di orientamento progressista, sarà la prima Presidente donna del Messico. Ha ottenuto il 60% dei consensi. Insieme a lei il suo partito, il Movimento di rigenerazione nazionale (Morena), ha eletto anche i due terzi dei 32 governatori del paese. Inoltre la coalizione di governo Sigamos Haciendo Historia (che riunisce Morena, verdi e Partito del lavoro) potrà forse disporre della maggioranza dei due terzi in entrambe le Camere del Congresso, che le consentirà di approvare le riforme costituzionali senza il sostegno dell’opposizione.
La sua oppositrice, l’imprenditrice di origine indigena e senatrice dello Stato di Hidalgo Xóchitl Gálvez ha ottenuto il 28% delle preferenze, mentre Álvarez Máynez, il candidato del centrista Movimiento Ciudadano, a ottenuto il 10%. La Sheinbaum, è una politica stimata e di grande esperienza per essere già stata sindaco di Città del Messico, una città Stato di circa 15 milioni di abitanti. La sua forza è quella di raccogliere l’eredità di, Andrés Manuel López Obrador, Presidente uscente, molto popolare tra le fasce più disagiate della popolazione. Rivolgendosi ai suoi elettori ha dichiarato; “Immaginiamo un Messico plurale, diversificato e democratico. Il nostro dovere è e sarà sempre quello di prenderci cura
di ogni messicano, senza distinzioni”.
Il voto chiude la campagna elettorale più violenta della storia moderna del paese, con più di 30 candidati uccisi e centinaia di altri che hanno abbandonato, sotto il peso delle minacce dei narcos e dei gruppi criminali. Malgrado ciò si sono registrati per votare più di 100 milioni di elettori, mentre un caldo soffocante avvolgeva il paese, L’elezione di una donna in un paese dove domina una cultura ‘machista’ e – con una media di 15 femminicidi al giorno – fa del Messico uno dei paesi più pericolosi al mondo per il genere femminile. La Presidentessa dovrà impegnarsi molto per combattere l’impunità per gli assassini in un paese che sostiene per le donne valori e ruoli ancorati alla tradizione conservatrice, alimentata dall’orientamento cattolico della gran parte della popolazione, che permea di sé il sentire sociale. Resta da vedere se la Presidente saprà utilizzare i 35 milioni di voti ricevuti per seguire le orme del suo predecessore nella lotta alla corruzione e nel dare attuazione alla politica della cosiddetta “quarta Trasformazione” che prevede sostegni agli anziani e alle madri single, rafforzamento dello stato sociale per alleviare le disuguaglianze tra la popolazione, progetti infrastrutturali nelle regioni storicamente povere. Il suo slogan “prima i poveri”, non ha modernizzato il sistema produttivo e ha aumentato il deficit, ma ha razionalizzato le risorse pubbliche, ridotto gli eccessi della burocrazia e migliorato le condizioni di vita dei lavoratori agricoli e delle popolazioni indigene. Sotto il precedente governo la povertà, nonostante la pandemia e la conseguente crisi economica, si è ridotta di quasi il 6%, il peso messicano si è rafforzato.
Il nodo certamente più difficile della sua politica sarà assicurare e garantire la sicurezza e decidere quale politica adottare verso l’uso dell’esercito chiamato dal presidente uscente a ricoprire funzioni tradizionalmente assegnate ai civili per far fronte alla criminalità. Questo perché a volte in alcuni territori l’esercito ha finito per essere uno dei tanti cartelli che si contendono il controllo del territorio e dell’economia. La forza della criminalità organizzata appare stabile e il suo sradicamento lontano.
L’altro grande problema del paese è costituito dalla sua lunghissima frontiera (2000 Km) con gli Stati Uniti che costituisce l’ultimo ostacolo da superare per il flusso ininterrotto di migranti che da tutto il continente e soprattutto dal paesi poverissimi del centro America, si dirigono verso gli Stati Uniti, in lunghe colonne che periodicamente si mettono in marcia verso quello che è considerato il confine della speranza, verso un mondo migliore. Al Messico gli Stati Uniti chiedono di fermare il flusso migratorio e fare da filtro al passaggio continuo di migranti verso il territorio statunitense.
Questo traffico, inoltre, alimenta la criminalità e costituisce per le organizzazioni di passeur, i cosiddetti coyote, che operano lungo il confine, una lucrosa occasione di guadagno, alla quale nessuno vuole rinunciare. C’è da aggiungere che le difficoltà nel controllo del territorio facilitano la localizzazione in Messico dei laboratori che producono il Fentanyl, una droga sintetica che ha invaso gli Stati Uniti producendo migliaia di morti.
La scommessa messicana del nearshoring Le prospettive di sviluppo del Messico si basano principalmente sulla possibilità che il paese divenga il principale beneficiario del nearshoring dell’economia statunitense, ovvero della scelta delle aziende USA di esternalizzare la produzione in Paesi geograficamente più vicini, fenomeno questo che sta guadagnando sempre più terreno nel post pandemia.
In questo scenario di ridefinizione delle catene produttive e crescenti tensioni geopolitiche, il Messico potrebbe essere il principale beneficiario del nearshoring statunitense, poichè è favorito dalla sua vicinanza agli Usa e dall’accordo di libero scambio Stati Uniti-Messico-Canada (USMCA), Ciò fa sì che il Paese si prospetti, come uno dei principali destinatari di questa tendenza emergente. Con una popolazione di quasi 130 milioni di abitanti, il Messico è la decima nazione più popolosa del mondo ed è, subito dopo il Brasile, il Paese più popolato dell’America Latina. Il 60% della sua popolazione è costituito da meticci, di discendenza mista europea (prevalentemente spagnola) e indigena. Gli amerindi, appartenenti a varie nazioni indigene (come i maya), rappresentano il 20% dei messicani. Ciò consente al paese di disporre di manodopera abbondante e a buon mercato.
Per una buona parte del XX secolo la principale fonte di ricchezza del Paese è stato il petrolio, anche se il processo di industrializzazione del Paese ha permesso la diversificazione dell’economia. Le rimesse dei lavoratori dall’estero sono aumentate di anno in anno e rappresentano il 3% del PIL, costituendo un’importante fonte di valuta estera, accanto ai proventi delle esportazioni di petrolio e del turismo. Una riflessione attenta sugli effetti della delocalizzazione verso paesi molto lontani dai mercati ai quali le merci sono destinate ha indotto l’industria statunitense, che aveva delocalizzato verso l’Asia, ad un ripensamento; così circa il 79% delle aziende manifatturiere statunitensi che operano in Asia hanno già avviato o hanno in programma di trasferire parte delle loro operazioni in Nord America ed hanno individuato come possibile destinazione il Messico.
Secondo le stime della Inter-American Development Bank (IDB), le opportunità di nearshoring a breve e medio termine per l’America Latina significherebbero fino a 78 miliardi di dollari all’anno in nuove esportazioni di prodotti e servizi, in particolare da settori come quello farmaceutico, delle energie rinnovabili, tessile e automobilistico, tra gli altri.
Di questo totale, al Messico potrebbero toccare circa 35 miliardi di dollari, il che indubbiamente fa del Paese latinoamericano uno dei maggiori beneficiari del fenomeno.
Già alla fine del 2022, gli insediamenti industriali al confine con il Messico —come a Tijuana, Mexicali, Ciudad Juárez e Nuevo Laredo— e le regioni nord-orientali e occidentali del Paese —nelle aree intorno a Monterrey e Guadalajara— hanno registrato cifre storiche di locazione per superfici industriali. Questi dati riflettono il trasferimento massiccio di aziende di vari settori che, come misura per ridurre il rischio di chiusure parziali o totali delle attività in Asia, sbarcano in città e Stati che dispongono di manodopera qualificata, nonché di infrastrutture e servizi di livello mondiale, per iniziare le loro operazioni.
La macroregione detta di El Bajío —che comprende Stati con un alto livello di infrastrutture come Guanajuato, Querétaro, San Luis Potosí e Aguascalientes— e che attualmente ha un inventario disponibile di circa il 3% di strutture industriali di livello mondiale, è praticamente pronta ad accogliere le aziende che cercano di stabilirsi in Messico e costituisce certamente l’area di maggiore sviluppo del Paese poiché El Bajío offre servizi sofisticati nel campo dell’energia, dell’acqua e della sicurezza, della connettività, tra molti altri, senza dimenticare le localizzazioni strategiche e la connettività per il trasferimento delle merci al confine, al centro e al sud del Paese, che consentono di stabilire
operazioni redditizie ed efficienti quasi immediatamente.
L’incognita Trump
Se la nuova Presidenza messicana punta ad utilizzare questa congiuntura favorevole, accresciuta dal fatto che scelte simili stanno facendo, ad esempio, i cinesi, investendo in Messico, consapevoli della vicinanza del paese al territorio statunitense e delle particolari condizioni alle quali le merci qui prodotte vengano esportate sul mercato continentale: proprio per queste ragioni il principale pericolo è costituito dalle intenzioni di Trump di denunciare l’accordo di libero scambio tra il Messico, gli Stati Uniti e il Canada (NAFTA). Nella sua narrazione demagogica del rilancio degli Stati Uniti il tycoon sostiene che la delocalizzazione delle industrie statunitensi in Messico impoverisce il lavoro negli Stati Uniti e quindi si ripropone di imporre dazi doganali alle importazioni da Messico e Canada che danneggerebbe enormemente le economie di questi paesi. Così facendo Trump e i suoi consiglieri sembrano ignorare gli effetti negativi di una tale scelta sulla competitività dell’economia degli Stati Uniti e non si rendono conto che favorire lo sviluppo del Messico è il solo modo di arginare la tendenza all’emigrazione incontrollata negli Stati Uniti che potrebbe trovare nel mercato del lavoro del Messico uno sbocco per la crescente domanda di lavoro che viene dai paesi poveri del continente. È un dato di fatto che negli ultimi tre anni, il Messico è diventato il più grande esportatore di manufatti negli Stati Uniti (dati US Census Bureau al 30/09/2023) evidenziando l’importanza che la localizzazione, gli accordi commerciali, i salari competitivi e il sostegno politico degli Stati Uniti rivestono nella razionalizzazione e nel rafforzamento delle reti della catena di approvvigionamento, tanto che , il Messico detiene ora una quota di mercato del 15,9% delle esportazioni in USA, avendo scalzando la Cina, che è scesa al 13,3 per cento (dati di Redwheel al
31/10/2023). Le esportazioni manifatturiere dal Messico (attualmente pari a circa il 40% del PIL, secondo i dati della World Bank e dell’FMI al 31/10/2023) potrebbero entrare in una nuova fase di espansione grazie all’accelerazione della crescita dei cluster manifatturieri esistenti e alla nascita di nuovi ecosistemi al punto che le esportazioni messicane
potrebbero aumentare di 155 miliardi di dollari (pari a oltre il 10% del PIL).
La posta in gioco è dunque altissima e la nuova presidente del Mexico dovrà fare di tutto per rafforzare con determinazione la posizione del paese in politica estera, contrastando ogni tentativo da parte statunitense di lasciare il paese in una situazione di vassallaggio, in continuità con la politica degli Stati Uniti di sempre che hanno ritagliato per sé una posizione egemone rispetto a quella di tutti i paesi dell’America Latina in applicazione della Dottrina Monroe.
Anche se le principali risorse della Sheinbaum saranno dedicate a promuovere lo sviluppo del paese, la riduzione della diseguaglianza, una più equa distribuzione delle ricchezze, la difesa della vita delle donne e il superamento della società patriarcale che caratterizza il paese, attenzione sarà certamente dedicata alla tutela del clima e dell’ambiente, essendo ben note le posizione ambientaliste della Presidente, uno dei capi di Stato tecnicamente in grado di affrontare il problema in un paese particolarmente ricco di biodiversità e di bellezze naturali. In ogni caso un segnale incoraggiante in un panorama internazionale nel quale sembrano prevalere i populismi di destra e le soluzioni autoritarie e dittatoriali.
G.L.