Saranno 3.715 su 7.896 l comuni italiani (il 47,0%), tra quelli delle Regioni a statuto ordinario e speciale chiamati alle urne l’8 e il 9 giugno, per un totale di quasi 17 milioni di votanti. Tra le città ci sono 27 i capoluoghi di provincia: Ascoli Piceno, Avellino, Bergamo, Biella, Caltanissetta, Cremona, Ferrara, Forlì, Lecce, Livorno, Modena, Pavia, Pesaro, Pescara, Prato, Reggio Emilia, Rovigo, Sassari, Verbania, Vercelli e Vibo Valentia, ai quali vanno aggiunti sei capoluogo di regione: Bari, Cagliari, Campobasso, Firenze, Perugia e Potenza. In Piemonte, sono chiamati alle urne circa tre milioni e 600mila elettori per l’elezione del Consiglio Regionale.
Nei comuni con popolazione superiore a 15mila abitanti le elezioni del sindaco avvengono congiuntamente all’elezione del consiglio; se un candidato sindaco ottiene la maggioranza assoluta dei voti validi è subito proclamato eletto altrimenti si procede al ballottaggio che si svolgeranno il 23 e il 24 giugno 2024. Queste norme non si applicano alle regioni e alle province autonome.
Entro 7 giorni dal primo turno le liste dei candidati che non sono andati al secondo turno possono accordarsi con uno dei candidati ancora in corsa, sostenendolo ufficialmente per il secondo turno. Nei comuni con più di 5mila abitanti il genere più rappresentato non può superare i due terzi e i voti di preferenza possono essere 2, ma in questo caso vale la doppia preferenza di genere. Diverse e specifiche norme sono previste per i comuni delle Regioni a statuto speciale.
Inoltre i regolamenti elettorali prevedono premi di maggioranza.
Nei comuni con più di 15.000 abitati se un candidato sindaco viene eletto al primo turno, le liste che lo sostengono ricevono il 60% dei seggi. Questo a patto che non ne abbiano ottenuti di più attraverso la ripartizione proporzionale, oppure se hanno ottenuto meno del 40% dei voti, per permettere la governabilità. Questa ipotesi può
verificarsi nel caso in cui la maggioranza assoluta degli elettori abbia votato per un candidato sindaco e che, allo stesso tempo, molti elettori abbiano espresso un voto disgiunto, oppure non abbiano votato affatto per il consiglio. 60% è la quota di seggi assegnata come premio di maggioranza al gruppo di liste a sostegno del candidato sindaco risultato eletto.
Anche nel caso in cui un candidato è eletto al secondo turno, le liste che lo sostengono ricevono il 60% dei seggi, sempre che non ne abbiano ottenuti di più.
Tra astensionismo e partecipazione
Questo, sommariamente, quanto stabilisce la legge elettorale in un paese dove la partecipazione al voto decresce a ritmo crescente, di fatto distorcendo il ruolo delle istituzioni e consegnando l’amministrazione locale nelle mani di sempre più ristretti gruppi di interesse che, pur rappresentando una percentuale ridotta di cittadini, raccolgono un numero di consensi sufficiente a garantire loro il potere. Il risultato è che basta disporre del 30% circa del voto elettorale complessivo per governare. In questa situazione si inserisce il proliferare delle liste, facilitato dal meccanismo elettorale che induce nei comuni più grandi alla presentazione di liste collegate, meccanismo che permette ai gruppi portatori di interesse di organizzarsi per pesare nella gestione dell’amministrazione. Anche se potrebbe sembrare che una tal organizzazione del voto stimoli la partecipazione, la crescita costante dell’astensionismo ci dice che quello ottenuto è l’effetto contrario.
A fronte dei crescenti problemi di gestione delle amministrazioni locali, chiamate ad occuparsi in primo luogo della gestione del territorio, sempre più problematica, a causa del degrado dell’ambiente e del bisogno di organizzazione dei servizi, si assiste invece al proliferare delle attività speculative che, più o meno ovunque, cercano di gestire le città, svuotando i centri storici a fini speculativi, rafforzando la grande distribuzione, distruggendo il tessuto sociale connesso ad una distribuzione diffusa, di fatto cancellando il ceto medio dal tessuto urbano più pregiato. Il risultato è quello della
trasformazione dei centri storici in fast food e sede di Bed & breakfast, ovvero in quartieri dormitorio consegnati alla speculazione turistica-alberghiera, privi di un tessuto sociale, che di notte si svuotano di vita propria per ospitare i turisti di turno.
In questa situazione che caratterizza il paese a macchia d’olio non c’è una soluzione unica da sperimentare, una strada che porti alla partecipazione e al coinvolgimento dei cittadini, ma occorre cercare luogo per luogo, situazione per situazione, quartiere per quartiere, soluzioni possibili di partecipazione, in modo da poter incidere sulle scelte che le amministrazioni adottano, qualunque sia il risultato elettorale.
È possibile produrre la rinascita della partecipazione solamente se gli eletti vengono costantemente incalzati da cittadine e cittadini mobilitati in difesa dei loro bisogni e dei loro interessi, i quali, attraverso un comportamento attivo e rivendicativo, vigilano sulle scelte di gestione del territorio e intervengono con la mobilitazione e le proposte,
contribuendo alla mobilizzazione, per imporre soluzioni alternative a quelle messe a punto dalla speculazione.
Un tale modo di procedere richiede attenzione costante, presenza attiva, proposte, dalle quali può, col tempo, rinascere l’attenzione ad una sana partecipazione alla gestione delle istituzioni locali che non può che passare dalla mobilitazione dei cittadini e dall’adozione di strumenti costanti di consultazione e partecipazione, che intervenendo sul modus operandi delle amministrazioni locali, riconoscano istanze e momenti di partecipazione sul territorio che superino la delega, sottoponendo gli eletti ad un controllo costante e a una verifica del mandato.
Le forze politiche sanno bene che queste esigenze sono presenti nella società e, non a caso, cercano di dare una risposta a questo bisogno di partecipazione attraverso l’autonomia differenziata, che è lo strumento più sbagliato fra quelli possibili, in quanto, incidendo sulla distribuzione della ricchezza prodotta, crea una gestione egoistica delle risorse che prescinde dalla possibilità di distribuirle in modo equo e renderle disponibili per realizzare una crescita equilibrata e ponderata del territorio che vada incontro agli interessi di tutti i suoi abitanti.
In questa situazione, in risposta ad un’esigenza sentita sui territori, si finisce per accrescere le attuali distorsioni istituzionali, attraverso un falso strumento, quello del rafforzamento delle Regioni, che diventano degli Stati in piccola scala, con tutte le caratteristiche negative di accentuazione burocratica, di frammentazione delle competenze e di appesantimento istituzionale che sono proprie di una burocrazia miope, ottusa e tutt’altro che funzionale allo sviluppo dei territori.
Bisogno di riforme
Il paese ha bisogno di una riforma degli enti locali che parta dal basso, che si caratterizzi per la partecipazione, anche perché questo sarebbe il miglior antidoto all’astensionismo. Siamo di fronte ad una situazione emergenziale nella quale bisogna prendere atto della riduzione della popolazione sul territorio e dell’esigenza di una sua diversa distribuzione. Non sono pochi i piccoli centri che si vanno estinguendo e quindi le amministrazioni andrebbero accorpate per restituire la gestione amministrativa del territorio a strumenti più efficienti ed efficaci, commisurati alla dimensione dei servizi da erogare, ai bisogni degli utenti.
Ciò significa ridisegnare confini e compiti degli enti locali, introducendo una gestione moderna del territorio che tenga conto della effettiva allocazione degli abitanti, e che sia in grado di provvedere ai loro effettivi bisogni in una struttura sociale che si trasformi con una rapidità superiore a quella alla quale siamo abituati, adattandosi come un guanto al mutare della situazione e delle domande che provengono fagli abitanti. Coinvolgendoli nella gestione ed erogazione dei servizi alla persona che andrebbero potenziati e migliorati.
Si impongono nuovi compiti per le amministrazioni locali che riguardano l’occupazione, l’organizzazione sociale finalizzata al lavoro, e quindi la viabilità e i servizi. Per le amministrazioni locali diviene cruciale la realizzazione e gestione degli asili al fine di consentire alle famiglie la gestione e l’educazione dei figli, la messa a punto di servizi per gli anziani, a fronte della crescita del loro numero e della incapacità ormai evidente della struttura familiare a supplire ai bisogni derivanti dalla loro gestione. Un diverso approccio delle amministrazioni locali è anche necessario in relazione ai servizi sanitari distribuiti sul territorio e all’erogazione dell’assistenza e della medicina di prossimità, soprattutto a fronte del progressivo ritirarsi delle istituzioni pubbliche da una presenza organizzata sul territorio. Un potenziamento delle competenze va previsto nella gestione del territorio, delle attività economiche che in esso si svolgono che vanno
presidiate per evitare la delocalizzazione e la desertificazione delle attività produttive.
Al di là delle scelte contingenti imposte dalle scadenze elettorali, noi comunisti anarchici abbiamo bisogno di sviluppare una profonda riflessione sul nostro rapporto con la gestione del territorio, facendo chiarezza su quale gestione vogliamo, su come pensiamo che debba svilupparsi la partecipazione, su come devono essere adottate le necessarie scelte strategiche di più ampio respiro, riflettendo sui criteri della rappresentanza e della partecipazione, in modo da recuperare all’interesse pubblico e alla gestione pubblica del bene comune cittadine e cittadini, ma anche residenti, dei quali non possiamo ignorare le esigenze, in quanto rappresentano una parte crescente di coloro che vivono sul territorio e che lavorando e prestando la loro opera, ne permettono la vita.
Oggi il territorio è abitato da un insieme differenziato di soggetti, non tutti in possesso degli stessi diritti e non solo per capacità economica o censo, ma anche per il mancato possesso della cittadinanza, per cui di fronte al rarefarsi progressivo della popolazione residente autoctona, cresce sul territorio il numero di persone residenti non in possesso del diritto di partecipazione al voto e soprattutto a vedere difesi e, in qualche modo, rappresentati i propri interessi nelle istituzioni. Da questo ulteriore dato di fatto deriva un sempre maggiore impoverimento della capacità delle istituzioni di rappresentare efficacemente il territorio e gli interessi che in esso si sviluppano, con il risultato di un deperimento progressivo e di una caduta di rappresentanza delle istituzioni.
Nessuno di questi fattori preoccupa i diversi partiti che partecipano alla campagna elettorale, nessuno di essi si pone questi problemi della gestione di un territorio la cui composizione sociale è fortemente mutata ed è soggetta ad ulteriori profondi mutamenti. Questa situazione ci dice dell’inadeguatezza politica dei diversi partiti, per cui si assiste al paradosso che se è vero che da parte nostra non vi è ancora una nostra strategia matura rispetto alla gestione del territorio, è anche vero che le altre forze politiche non si accorgono nemmeno dell’esistenza del problema e quindi non si chiedono come sia possibile intervenire e risolverlo.
Dare una risposta è sempre più urgente se non si vuole che il prossimo sicuro referendum sull’autonomia differenziata non si risolva a vantaggio dei leghisti, ai quali bisogna opporre una proposta forte di rifondazione delle istituzioni, di partecipazione, che abbia come elemento distintivo il coinvolgimento a pieno titolo dei residenti nella
gestione degli interessi e dei bisogni pubblici o attraverso l’attribuzione con regole mutate della cittadinanza o comunque consentendo la partecipazione dei residenti ad organismi di gestione del territorio e delle attività pubbliche che lo riguardano in modo da garantire una appartenenza partecipata alla vita istituzionale.
La Redazione