Lo stallo portoghese

Le elezioni portoghesi si sono concluse con un con un risultato di sostanziale parità tra il Partito Socialista (28,63) e l’Alleanza Democratica (28,66); il primo a 77 deputati il secondo 79, ma mancano al conteggio finale i risultati relativi ai quattro collegi elettorali dei residenti all’estero che potrebbero portare all’assoluta parità, considerato che nelle passate elezioni erano appannaggio dei socialisti. La situazione è complicata dal fatto che l’ago della bilancia per la formazione del governo è il partito Chega, di estrema destra, con 48 deputati, votato dal 18% dell’elettorato. Alleanza Democratica (AD), frutto di un accordo elettorale tra partito socialdemocratico, Partito Popolare e il Partito Popolare Monarchico, guidata da Luis Montenegro, che si è affrettato a dichiarare che non accetterà di formare un governo di coalizione con Chega. A questa dichiarazione ha fatto seguito quella di Pedro Nuno Santos, laeder socialista, che ha Assicurato a Montenegro il sostegno esterno nel caso decidesse di formare un governo di minoranza. Sono stati inoltre eletti 8 deputati di iniziativa liberale con il 5,8 % dei voti; 5 seggi sono andati al blocco di sinistra con il 4,46 % dei voti 4 seggi all’alleanza comunisti e verdi CDU-PCP, con 3,30 % dei voti e infine 4 deputati al partito ambientalista Livre con il 3,26 % è 1 seggio al partito animalista PAN. Si è registrata una partecipazione maggiore rispetto alle elezioni precedenti, con un’affluenza del 66,23%. Rispetto ai 10, 8 milioni aventi diritto al voto.
Le elezioni anticipate si sono rese necessarie al seguito di uno scandalo relativo allo sfruttamento di una miniera di litio nel quale sono stati coinvolti numerosi ministri socialisti. Il Presidente del consiglio Antonio Costa, coinvolto anch’egli nella vicenda è invece risultato estraneo ai fatti; in un primo momento imputato, perché omonimo di un ministro, ha mantenuto per coerenza le proprie dimissioni, benché in 10 anni di buona amministrazione abbia risanato il bilancio del paese e la sua economia senza ricorrere alla macelleria sociale facendone pagare il costo alle classi meno abbienti.
Il partito Chega guidato da un avvocato ex giornalista sportivo, ha sfruttato il malcontento popolare, dovuto al progressivo deteriorarsi dei servizi, alla crisi della sanità, alle politiche di contenimento della spesa pubblica, al crescente problema dell’emigrazione, alla trasformazione del Portogallo in paese-rifugio per i pensionati d’Europa, il che ha inciso
sul mercato immobiliare e contribuito a far trasferire verso le periferie delle città meno servite la popolazione autoctona.

Effetto Olanda

È possibile che il conteggio finale dei voti veda il partito socialista ottenere la maggioranza dei seggi: come spiegare allora il riconoscimento della vittoria di Alleanza Democratica ? Ciò avviene perché l’intento principale del Partito Socialista è evitare che si formi un governo frutto dell’alleanza fra il principale partito avversario e il partito neofascista Chega: la dichiarata disponibilità ad un sostegno esterno ad un governo di Alleanza Democratica
permetterebbe di far funzionare la preclusione ad escludendum verso l’ingresso al governo di Chega, consentendo contemporaneamente ai socialisti di condizionare pesantemente il governo, costretto a cercare di volta in volta le maggioranze occorrenti per approvare ogni provvedimento.
A ben vedere siamo di fronte ad una situazione di stallo, in parte simile a quella verificatasi in Olanda con la vittoria di Wilders, che dopo 3 mesi dalle elezioni non è riuscito a formare un governo e si prepara a dar vita a un governo cosiddetto extraparlamentare (una sorta di governo tecnico all’italiana. Quanto avviene dimostra che la vittoria elettorale delle destre si traduce spesso in una situazione di immobilismo e di stallo, caratterizzata da programmi irrealistici di ristrutturazione dei rapporti sociali ed economici tra le classi che alla prova dei fatti si rivelano impossibili da realizzare.
Non è improbabile che in Portogallo come in Olanda la situazione si chiarirà e si sbloccherà definitivamente solo dopo le elezioni europee che costituiranno di fatto una verifica degli orientamenti dell’elettorato rispetto alle elezioni nazionali e daranno la conferma o smentiranno l’avanzata della destre e il loro successo tra gli elettori. D’altra parte le politiche nazionali hanno ormai poco respiro in tutti i paesi d’Europa, poiché la gestione dei bilanci dipende pressoché totalmente dalle politiche comunitarie, a causa della gestione dei flussi finanziari, del coordinamento delle politiche economiche, della divisione internazionale del lavoro e della ripartizione delle quote di produzione sui territori.
Una inversione di tendenza e un superamento di questa fase politica è indissolubilmente legato alle politiche relative alle spese militari, al riarmo dell’Europa e alle scelte relative all’adozione di un’economia di guerra sulla quale, per il momento, i paesi europei appaiono divisi tra una parte di essi che accetta il diktat statunitense e della NATO, di portare ad almeno il 2 % del PIL le spese militari e un’altra parte dei paesi che punta al riarmo attraverso la realizzazione di un’economia di scala che, standardizzando le produzioni e i sistemi d’arma, mira a realizzare delle economie da destinare a nuovi investimenti, muovendo dalla constatazione che già oggi la spesa in armamenti dei paesi Ue è superiore in volume rispetto a quella russa, ma consegue minori risultati a causa del mancato coordinamento delle produzioni e della non compatibilità dei sistemi d’arma.
Ciò che i partiti della sinistra dovrebbero capire è che la loro sconfitta politica è indissolubilmente legata alla visione che di esse e del loro ruolo ha l’elettorato il quale li indentifica “geneticamente” protesi alla pace e quindi non li riconosce nella veste di guerrafondai.

G. L.