Le cariche a freddo, in un fine febbraio,dove il freddo meteorologico sembra essere scomparso, della polizia a Pisa e Firenze non sono in sé una novità. Da quando esiste la polizia, e, in particolare, da quando in Italia esiste la celere per la “tutela dell’ordine pubblico” quello ha sempre fatto. Manganellare chi protesta. O, meglio, manganellare chi protesta da una certa parte.
Quindi, quella carica contro ragazzini di 15 anni sembra portare nessuna particolare innovazione. Come nel 2001, senza risalire ancora indietro (ma il 2001 fu un anno particolare) si manganella non solo per reprimere ma, anche e soprattutto, per educare. La pedagogia del manganello, molto in voga nel ventennio, serve a far passare la voglia di
tornare in piazza.
Ma qui, esattamente, come a Genova, c’è un di più. Non si tratta solo di educare a botte frange minoritarie di protestatari.
No. Come nel 2001, una larga parte della popolazione italiana, malgrado il monopolo assoluto dell’informazione, un ostracismo e una censura televisiva mai viste, un pensiero unico raccapricciante, si trova in disaccordo con le scelte dei propri rappresentanti. E non in disaccordo su questioni spicciole, o, sui salari (su quelle sembra spesso aleggiare una
rassegnazione decennale). No il disaccordo è sulla politica internazionale. Sulla pace e sulla guerra. A dispetto di chi ripete luoghi comuni e lancia strali sulle giovani generazioni. Il genocidio palestinese è materia troppo grossa, enorme, per poter essere lasciata da parte. Anche perché, sommata alla guerra in Ucraina segna un salto di qualità non da poco rispetto alle politiche dell’intera Unione Europea. Una unione che ormai si è lanciata nella guerra come “normalità”. Nella questione Ucraina, dove le responsabilità USA e NATO sono ormai così lampanti che l’interlocutore di Putin è direttamente Biden e il presidente Ucraino è una comparsa destinata a scomparire a guerra finita.
In questa vicenda, dicevo, la scelta della UE è stata, fin da subito, di sostenere una delle due parti. Neppure si è provata a far valere una qualche azione diplomatica. E in questo conflitto per procura si è amputata dei propri interessi economici e strategici. Nella tragedia palestinese, invece, supporta, eccetto poche voci, più di circostanza che altro, il
raccapricciante massacro senza fine che sta commettendo Israele. Ebbene in entrambi i casi la popolazione è in maggioranza critica. È quello lo snodo fondamentale per cui la repressione violenta torna utilissima.
Anche perché la destra al governo (ricordo: la destra direttamente erede del partito fascista) ha stipulato un patto non scritto con la UE e pure con gli USA: lo sdraiamento completo sulle politiche atlantiste e liberiste della NATO e della UE in cambio della mano libera all’interno.
La favola della “destra sociale” si è liquefatta in pochi giorni. Del resto pure Benito Mussolini, nella politica economica, adottò una ortodossia finanziaria che non dispiaceva alla “City” sulla quale riversava parole “socialnazionaliste”, nel mentre tagliava salari ed eliminava le libertà sindacali e politiche.
Quello della Meloni è n governo completamente grigio, anonimo che fa i compiti della vituperata Bruxelles senza sbavature, ubbidendo in maniera quasi imbarazzante. Riempie questo vuoto con proclami privi di consistenza, se non la vecchia idea dello Stato “forte” di Bava Beccaris e Umberto I.
Anche l’appoggio acritico ad Israele, perfino (o forse proprio) al suo governo più razzista e reazionario di sempre (quello di Nethanyau, rientra in questo percorso. La destra fascista, erede diretta di chi gli ebrei lì mandò nei campi di sterminio (ricordo che Almirante scriveva su un giornale che si chiamava “La difesa della Razza”) è ammirata dalla violenza che lo Stato di Israele scatena contro i palestinesi, che per la destra fascista hanno sostituito egregiamente gli ebrei nel ruolo di capri espiatori del loro razzismo (e, visto che Israele ha il supporto degli USA, la cosa torna anche bene: meglio stare con chi comanda).
Ma FdI viene da una realtà di un micropartito che, grazie alla demenza della sinistra (che si distingue della destra ormai per il più colorito bricolage), e ad un astensionismo ormai strutturale, ha conquistato un potere inusitato. Un potere che non può perdere. Non può tornare nelle periferie a sbraitare.
Per questo si accinge a stravolgere la Costituzione (anche qui preceduta dai deficienti della “sinistra”), stringere le maglie della repressione, criminalizza il dissenso, da una lezione a chi volesse osare.
Mal gliene colse. Le manifestazioni continuano, e il terrore (come già accadde decenni addietro) è che le lotte sulla questione internazionale si saldino con quelle interne. Un pericolo che va fermato, in qualche modo. Ecco quindi che ritorna il mai scomparso “pericolo anarchico”. Addirittura il pericolo “anarchico antisionista”. Ci si richiama un “clima
pericoloso”. La stampa di destra è una cloaca degna dei peggiori fogliacci del ventennio, che produce articoli e titoli così raccapriccianti che, negli anni ‘70 del secolo scorso (quando la protesta era meno “gentile”) non sarebbero comparsi neppure sul diario privato di qualche giornalista destrorso.
Ma l’altra stampa, quella borghese, non è da meno ed è assai più pericolosa.
Intanto un fatto dovrebbe essere chiaro. Le politiche di guerra della UE, degli USA e della NATO non piacciono alla maggioranza della popolazione italiana, mentre ci accingiamo al secondo anno di governo di estrema destra con una sinistra balbettante e ridicola che spera di risalire la china dopo il delirio renziano che, in pratica, l’ha demolita.
Forse bisognerebbe tornare a dare ascolto a quelli che in piazza ci vanno e meno a chi sta a fare distinguo sulle parole.
Andrea Bellucci