Cosa c’è di nuovo – La trappola della rassegnazione

Sempre più si assiste, sgomenti, al crescere della rassegnazione. Le persone e soprattutto i lavoratori sembrano aver perduto ogni capacità di reazione e di risposta ad una pressione costante e continua che caratterizza la vita di ognuno e che produce il deterioramento delle condizioni di vita, sia dal punto di vista retributivo e lavorativo, che da quello della tutela della salute, che della ricerca di una vita dignitosa. Spesso ci domandiamo da che cosa dipenda il crescente senso di frustrazione che si concretizza in una mancanza di reazione a soprusi e ingiustizie, nella non partecipazione al voto, nella consapevolezza che nulla cambia, sia che al governo vengano chiamati i fascisti o altri; è sempre più diffusa la sensazione che uno vale l’altro e che quindi ed è del tutto inutile partecipare e combattere.
Qualche ragione perché ciò che avviene c’è, anche se non è proprio così, perché destra e sinistra hanno priorità ed obiettivi diversi ma, si fa notare, la sostanza, il nocciolo dei problemi rimane, quello è lo stesso, e dunque perché reagire, perché combattere.
La responsabilità è della sinistra, sedicente riformista, che opponendosi sia alla rivoluzione sia al conservatorismo, ha operato nelle istituzioni affermando di voler modificare l’ordinamento politico, economico e sociale esistente attraverso l’attuazione di una politica riformatrice, ma invece ha preso atto del fallimento della sua visione del mondo e ha considerato il dominio politico ed economico della società capitalistica come il solo valido, e comunque quello vincente, non trovando altra strada che quella di proporsi come gestore di queste politiche, pur di mantenere e gestire il potere. Le cose inaccettabili, quel che non va sono così tante che non si sa da dove cominciare per fare qualcosa.
Quanto è avvenuto fatto sì che prevalesse lo sconforto, la stanchezza, il senso di frustrazione, la coscienza della impossibilità che un’alternativa reale è possibile. Da qui la scelta di smettere di combattere, di subire, proni, gli eventi, aspettando e sperando che qualcosa cambi. Di questo comune sentire è frutto l’oscillazione continua di gran parte dell’elettorato da destra a sinistra, nella speranza di intercettare gli attori del cambiamento, per presto di piegarsi, dopo il voto, su sé stessi, e ritornare a brancolare nel buio.
C’è da aggiungere il perdurare nel tempo di questa situazione produce l’adesione ad una visione conservatrice del mondo e della politica, ovvero porta alla conclusione che nell’impossibilità di cambiare è meglio tenersi quello che si ha ed affidarsi allo scorrere degli eventi e, consapevoli dell’impotenza nel contribuire a mutare le cose attrezzarsi individualmente per tutelare sé stessi e i propri personali interessi.
Siamo così consapevoli di questa situazione che ascoltiamo e guardiamo con sorpresa, accompagnata da scetticismo, ad episodi che segnano la vita del proletariato nei vari paesi, scioperi improvvisi, rivolte inaspettate, tentativi disperati di risolvere specifiche situazioni, ma quando avviene non vale a scuoterci, a farci capire che è arrivato il momento di iniziare un nuovo ciclo di lotte che deve rispondere al cambiamento che il
capitale sta mettendo in atto, e alla stretta alla quale i costi di questo cambiamento sottopongono i lavoratori, comprimendo i loro diritti e le loro condizioni di vita.
Il disagio profondo che vivono le società dei paesi occidentali non è riuscito a produrre un aggregato di uomini e di donne che assumano su di sé, grazie alla propria credibilità, conquistata con azioni concrete e visibili. l’incarico di essere gestori di questo processo di rinascita della fiducia in sé stessi, della consapevolezza di essere classe, del bisogno di agire e lottare collettivamente per far rinascere la speranza.
Il fatto è che per raggiungere questi obiettivi una delle condizioni essenziali è la presa d’atto che il riformismo, come metodologia politica, che opera nelle istituzioni, al fine di modificare l’ordinamento politico, economico e sociale esistente attraverso l’attuazione di organiche, ma graduali riforme, ha fallito, né più né meno che il conservatorismo.
È perciò che non resta altro che preparare e mettere in atto la rivoluzione, intesa come cambiamento radicale e progressivo dei rapporti produttivi e sociali, in modo da consentire alle componenti positive di uomini e donne di emergere ed imporsi sullo sfruttamento altrui. Una società solidale è l’obiettivo che è bene prefiggersi come da raggiungere, ma per farlo non serve l’esplosione immediata di rabbia, la semplice
distruzione dell’esistente, o per dirla con altre parole l’insurrezione, ma occorre preparare con metodo e con pazienza, con intelligenza e con perspicacia, con determinazione e con convinzione, una strategia fatta di piccoli e grandi passi che possiamo anche chiamare riformismo, ma ben finalizzato a costruire le condizioni per
la rivoluzione dei rapporti sociali e produttivi, con obiettivi chiari e intelligibili, e perciò capace di coinvolgere uomini e donne facendogli uscire da quello Stato di apatia e di rinuncia che oggi caratterizza il comportamento delle masse e del quale parlavamo, iniziando a discutere del nostro comune sentire.