SARDEGNA AL VOTO

Il 24 febbraio si vota in Sardegna e si fa un gran parlare di candidature, ma poco si sa e poco si dice dei problemi dell’isola e dei programmi che le diverse forze politiche propongono. Piuttosto che dividersi sulle inchieste che riguardano il governatore uscente Solinas, che sembra abbia pensato più agli affari suoi che a quelli dell’isola e che si è distinto per una gestione del COVID decisamente fallimentare e ha lasciato l’isola largamente indifesa – forse per le sue note simpatie no vax – sarebbe opportuno affrontare i problemi reali di una regione a statuto speciale che di speciale conserva una crisi profonda della sua economia e marcia spedita verso lo spopolamento.
Nell’isola, l’indice di povertà relativa è passato dal 13,9% del 2020 al 16,1%, il 2,2% in più nell’anno successivo.
Circa 110mila famiglie sarde sono in grande difficoltà. A certificarlo sono i dati del 17/o Report su povertà ed esclusione sociale in Sardegna elaborato dalla delegazione regionale della Caritas. La popolazione legale dell’isola, riferita al 31 dicembre, 2021 ammonta a 1.587.413 residenti ed è diminuita del 3,2% rispetto al 2011; ad eccezione della Città metropolitana di Cagliari, dove si registra un lieve incremento (+0,2%), tutte le altre province hanno subito significative diminuzioni. Oristano è la provincia più colpita con il 7% di decremento. Rispetto al 2020 i dati censuari evidenziano un decremento di 2.631 persone nella regione. A livello provinciale Nuoro perde 1.141 residenti e registra anche il maggiore decremento relativo (-0,6%), mentre a Cagliari e Sassari la popolazione rimane stabile. L’età media della popolazione è 46,8 anni contro i 45,2 dell’Italia. Il confronto con i dati del Censimento 2011 evidenzia un progressivo invecchiamento della popolazione, con ritmi superiori alla media nazionale. Tutte le classi di età sotto i 45 anni vedono diminuire il proprio peso relativo rispetto al 2011.(dati Censimento Istat 2022).
Nel 2021 il 53,6% di persone in Sardegna sono risultate occupate. L’occupazione femminile si attesta intorno al 46,3%; migliora anche il dato relativo all’occupazione maschile (60,7% al 2021 rispetto al 59,0% del 2020). Il trend degli occupati nei servizi è in diminuzione, mentre aumenta nel settore industriale. La maggiore occupazione femminile dopo la fine del covid si concentra nel settore dei servizi e del turismo con la ripresa dei flussi turistici verso l’isola. Se guardiamo ai settori di occupazione che caratterizzano il mercato del lavoro e la struttura produttiva dell’isola, notiamo che l’economia della Sardegna si basa prevalentemente sul settore terziario, benché un ruolo di una certa rilevanza venga svolto sia dal settore minerario e industriale che da quello agropastorale e soprattutto dal turismo.

La Regione e l’economia sarda

Pur essendo una regione a statuto speciale la Sardegna non è riuscita ad utilizzare i poteri di cui dispone per dotare l’isola di una rete infrastrutturale essenziale al suo sviluppo. Le comunicazioni sono estremamente carenti e l’isola è percorribile da nord a sud con difficoltà. La viabilità non consente rapidi collegamenti tra le 5 province e lascia isolate molte aree dell’isola. Una maggiore vivacità si registra durante la stagione estiva quando il turismo riversa sull’isola migliaia di residenti temporanei che occupano le strutture realizzate sulle coste dell’isola, molte delle quali di alta classe, al punto che in queste località si concentra la vita notturna e la presenza di una clientela ricca. Non è un caso che lo sviluppo dell’occupazione che segnalavamo riguarda quella femminile e si dirige prevalentemente verso i servizi alberghieri e di supporto al turismo.
Lo sviluppo turistico ha preso il posto di quella estrattiva che era storicamente l’attività prevalente nell’isola che è dotata del più alto numero di giacimenti minerari del paese. Tuttavia le attività estrattive nell’isola si sono andate nel tempo riducendo perché le miniere sono risultate progressivamente poco competitive e produttive, ma anche per assenza di investimenti che ne rinnovassero le tecnologie estrattive. Il risultato è la crisi progressiva e irreversibile nel parco minerario dell’isola con aree di crisi ormai storiche come quella dell’iglesiente e di Porto Torres dove sopravvivono nella fatica e nell’incertezza alcune delle attività industriali.
L’attività agroalimentare rappresenta un altro dei punti di forza dell’isola, con l’allevamento soprattutto di ovini. I prodotti caseari dell’isola hanno mantenuto a fatica un rapporto positivo di collocazione sul mercato, ma anche qui mancano reti infrastrutturali e investimenti per consentire una collocazione più efficace e competitiva del prodotto sul mercato. Gli stessi problemi presenta la pesca che pure costituisce una delle attività che potrebbero consentire, anche utilizzando aree di coltivazione ittica, una più moderna attività produttiva e una collocazione sul mercato del pescato a condizione di realizzare reti di comunicazione efficaci e veloci che mancano totalmente.
A causa della crisi generale che coinvolge il trasporto aereo e quello marittimo sono infatti entrati in crisi i collegamenti con l’isola e anche in questo settore non vi sono stati significativi investimenti e convincenti interventi della Regione volti ad affrontare e risolvere questo grave problema che lascia l’isola abbandonata a se stessa e vede un rifiorire della comunicazione sia pur parziale e difficoltosa, solamente nei mesi estivi con lo sviluppo del flusso turistico.
Una gestione attenta e responsabile della struttura regionale dovrebbe distinguersi per l’adozione di un piano di investimenti. La giunta uscente è stata estremamente carente nel proporre e progettare investimenti, sfruttando l’occasione del PNRR ed ora l’isola dovrà affrontare i suoi problemi in una situazione di carente disponibilità di capitali sul mercato finanziario e degli investimenti.
Sul piano politico la gestione di destra del governo dell’isola si è rivelata fallimentare, anche perché è avvenuta snaturando il ruolo di una forza politica importante nella storia dell’isola che è quella del Partito d’Azione, partito di orientamento socialista fondato da Lussu, che ha visto totalmente stravolta la sua impostazione politica con il passaggio
sul fronte della destra, il che ha consegnato l’isola a questa parte politica.
Il possibile rilancio dello sviluppo economico dell’isola non può che passare attraverso un rinnovo delle linee politiche di governo e da una maggiore partecipazione e coinvolgimento delle popolazioni dell’isola nella gestione delle scelte e nello sviluppo sociale, che passa necessariamente da un riesame nelle posizioni da assumere nei confronti degli investimenti turistici nell’isola, a tutela dell’ambiente e per l’adozione di uno sviluppo sostenibile che privilegi la salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente e al tempo stesso consenta lo sviluppo di una più diffusa distribuzione del flusso turistico che coinvolga i territori interni dell’isola sia facendo riscoprire un paesaggio e un ambiente spesso incontaminato, ma anche creando le infrastrutture che colleghino l’interno dell’isola alle sue coste, in modo da consentire un utilizzo diffuso e differenziato delle risorse offerte dal territorio. La Sardegna ha anche da offrire al turista una
alimentazione sana e genuina e un’alta qualità della vita.
Si tratta di aspirazioni diffuse fra la popolazione delle quali tuttavia non si trova traccia nei programmi dei partiti, il che fa pensare che il tasso di astensione dell’elettorato, anche in questa occasione, non farà che crescere, prova ne sia che alle ultime elezioni un elettore sardo su due ha scelto di non votare. Infatti l’affluenza si è fermata al 52,5 per cento: tredici punti percentuali in meno rispetto delle politiche del 2018. Non hanno votato gli elettori delle grandi città, ma neppure quelli di centri più piccoli dove funziona ancora il porta a porta e il rapporto diretto coi candidati. Il gap, rispetto al dato nazionale che per l’isola sfiora gli undici punti percentuali (terz’ultima nella classifica nazionale). Sulla partecipazione al voto pesa tra l’altro un sistema elettorale farraginoso (con l’impossibilità di esprimere le preferenze) il che accresce il distacco tra gli elettori e i partiti, visti come troppo lontani dalla gente e sempre più autoreferenziali

G.L.